Gianni...Blog
di tutto un po' ... per continuare a resistere
domenica 29 giugno 2014
mercoledì 13 marzo 2013
Papa Francesco, le sue parole dal balcone
Fonte: Corriere della Sera 13.03.13
lunedì 7 maggio 2012
Il mondo drogato della vita a credito
C'era una volta il Paese dei sindaci
martedì 27 settembre 2011
Il falso testamento
Testamento biologico Amare la vita senza crociate
di Pax Christi
Amore per la vita, relazione di cura e dignità umana: si tratta di temi di grande rilievo etico in quanto vanno a incidere nella relazione con il medico, con i parenti e non solo, in quelle situazioni delicatissime in cui il paziente non è in grado di manifestare una sua propria volontà per una grave invalidità come quando egli versa in uno stato vegetativo. Inoltre si tratta di casi relativamente nuovi in quanto sono stati resi possibili dai recenti e positivi successi della medicina che hanno consentito di strappare alla morte sempre nuove tipologie di ammalati. E paradossalmente numerosi tra i casi in questione sono in parte provocati dai progressi della scienza medica e dagli sviluppi della tecnica.
L’importanza etica di tali temi, unita alla loro novità, ha determinato un clima di contrapposizione che non ha favorito la ricerca delle soluzioni più ragionevoli e maggiormente orientate al bene comune. Così come è probabile che anche l’approvazione definitiva da parte del Senato della Repubblica della legge sul fine vita in realtà sarà solo una prima tappa di un percorso che si annuncia controverso anche in considerazione del quadro costituzionale, giurisprudenziale e politico in cui si inserisce.
In questo contesto, ci sembra opportuno, come cristiani appartenenti a Pax Christi, di farci carico della condizione di incomprensione e di disagio determinatasi nella compagine ecclesiale e nella società civile a seguito delle modalità con cui si è giunti al voto in Parlamento. È importante che noi cristiani favoriamo un dibattito pubblico in cui sia ridotta la polemicità del confronto, siano mostrati i limiti di posizioni ideologiche (che potrebbero addirittura condurre alla diffusione di tesi dichiaratamente favorevoli all’eutanasia) e sia favorita la formazione di una convergenza di alto profilo attorno ai valori della persona, specialmente se malata, nella convinzione secondo cui «tutti gli uomini, credenti e non credenti, debbano contribuire alla retta edificazione di questo mondo, entro il quale si trovano a vivere insieme: il che non può avvenire senza un sincero e prudente dialogo» (Gaudium et spes, 21).
Anzitutto ci richiamiamo con forza all’imperativo che riassume tutti gli altri imperativi: l’amore che è dovuto al fratello specie quando è solo, debole, ammalato. Questo significa che la vita, la concreta vita di chi soffre, deve essere costantemente sostenuta, protetta, tutelata nella sua interezza. E la vita può essere criminosamente sottratta dall’eutanasia, ma può essere gravemente offesa anche nella situazione opposta dell’accanimento terapeutico in cui essa viene vanamente protratta attraverso – per usare le espressioni del Catechismo della Chiesa cattolica (n. 2278) – procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi. E va anche ribadito (più di quanto lo si sia fatto finora) che la vita è altresì minacciata nelle ancora più frequenti ipotesi di abbandono terapeutico in cui, per ragioni ultimamente economiche, al paziente non vengono offerte la cura e l’assistenza richieste. E l’abbandono terapeutico è la vera emergenza bioetica nei Paesi più poveri del nostro (cioè per la grande maggioranza della popolazione mondiale). Chi oggi difende l’attuale legge, esibendo l’intenzione di difendere il valore della vita, deve porsi con coerenza il problema di garantirne sempre le condizioni in vari contesti: nella cooperazione internazionale, oggi sollecitata a ridurre il dramma della fame nel Corno d’Africa; nella politica estera, dove l’intervento militare si arroga il diritto di scegliere quali vite difendere a scapito di altre; nell’economia nazionale, dove la manovra finanziaria colpisce pesantemente la vita di moltissime famiglie anche nell’ambito della sanità.
Da parte dei cristiani va poi affermato con chiarezza che l’amore verso chi soffre comporta una speciale attenzione alla considerazione della sua dignità di cui è parte essenziale il rispetto della sua ragionevole volontà in ordine all’avvio e prosecuzione delle terapie anche qualora egli non sia competente o capace. L’autodeterminazione del paziente (se intesa come arbitraria disposizione di sé) e il paternalismo del medico (se inteso come unilaterale decisione della terapia più adeguata) sono entrambe posizioni che non rendono conto di ciò che deve caratterizzare la relazione di cura. Il paziente deve potere essere certo che, senza complesse formalità, sarà rispettato nella sua volontà ragionevole anche qualora non potesse più confermarla personalmente. Il medico deve potere, fin che è possibile, dialogare con il suo assistito e quindi con le persone che gli sono vicine per attuare le terapie che egli giudica più opportune con la massima serenità anche sotto il profilo giuridico. In questa prospettiva, l’“alleanza terapeutica” di paziente e medico non deve essere solo un obiettivo programmatico, ma una pratica da realizzare anche nelle situazioni in cui il paziente può apparire come un soggetto passivo rispetto ad interventi altrui.
Aspettando le elezioni nel Deserto dei Tartari
ANCHE IERI si è ripetuto il logoro copione che si recita in Italia, da oltre un anno e forse più. Bersani ha invocato un governo di emergenza. Gli hanno fatto eco Fini e Casini, invocando nuove elezioni. Ma Berlusconi ha ribadito che non ha nessuna intenzione di dimettersi.
Né di anticipare il voto, senza la sfiducia del Parlamento. Anche se ormai la sua parabola è alla fine. O, forse, proprio per questo. Se uscisse di scena, a differenza del passato, stavolta difficilmente riuscirebbe a rientrare in gioco. Parallelamente, nel Pdl, pochi - oltre a Pisanu - sembrano disposti ad accantonare il proprio leader-padrone. A parte il fatto che nessuno ne avrebbe la forza, tutti si rendono conto che senza Berlusconi il Pdl resterebbe privo di identità e organizzazione. La stessa Lega vive con disagio crescente l'alleanza con Berlusconi. Soprattutto i militanti e la base, sempre più insofferenti. Ma Bossi e suoi fidi esitano a staccare la spina.
Il destino dei due leader è reciprocamente legato. Se Berlusconi cadesse, la posizione di Bossi verrebbe compromessa. Senza il Pdl e senza Berlusconi (per non dire senza Bossi), lontano dal governo: la stessa Lega, rischierebbe la marginalità politica e il declino elettorale. Come avvenne dopo la svolta secessionista del 1996. Una prospettiva insopportabile per un partito che ha da difendere (e da perdere) molti posti di governo - e di sottogoverno. Nella pubblica amministrazione e nella finanza. A livello nazionale e locale.
Così Berlusconi e il centrodestra "resistono" in Parlamento. Dove dispongono ancora di una maggioranza precaria. Sufficiente a garantire la "fiducia" quando è necessario. Mentre tra gli elettori oggi sono una minoranza, largamente "sfiduciata" dai cittadini.
Ciò rende il ricorso a elezioni anticipate assai improbabile. Anche se l'ipotesi echeggia, un giorno sì e l'altro pure. Ma le elezioni non le vuole nessuno. Anzitutto nella maggioranza. Figurarsi. Oggi, per il centrodestra, significherebbe perderle. Anche se Berlusconi dà il meglio di sé in campagna elettorale, quando è dato per spacciato. Ma stavolta è diverso. La sua stagione è finita. I valori e i modelli su cui ha fondato il proprio successo: logori e inattuali. La sua immagine non attrae più. Semmai avviene il contrario. La sua "base sociale" l'ha abbandonato. Gli imprenditori piccoli e grandi: ne chiedono le dimissioni da mesi. Ai loro congressi basta inveire contro il governo e il presidente del Consiglio per sollevare grandi boati di approvazione. La stessa Chiesa appare tiepida. Anche se le gerarchie mantengono un atteggiamento fin troppo prudente di fronte ai modelli e agli stili di vita proposti da chi guida il Paese.
Insomma, si tratta del momento peggiore per andare al voto, dal punto di vista di Berlusconi e del Pdl. Ma anche dal punto di vista della Lega, in evidente difficoltà nel recitare la parte dell'opposizione, dopo aver sostenuto fedelmente Berlusconi, da dieci anni in qua. Bossi lo ha detto esplicitamente a Pontida. È cambiato il "ciclo politico". A favore della Sinistra. E allora, perché votare? Tanto più che neppure a sinistra - nonostante il vento favorevole - si coglie molta voglia di andare al voto presto. Il Pd non si sente pronto. È diviso sulla questione delle alleanze. L'idea del Nuovo Ulivo, insieme all'Idv e a Sel, a Di Pietro e Vendola, dispiace a una parte del Pd, che preferirebbe la Grande Coalizione con il Terzo Polo. E teme di spingere l'Udc in braccio al centrodestra. A ragione, visto che le sorti della competizione elettorale diverrebbero altamente incerte.
Peraltro, la prospettiva del voto avvicinerebbe le primarie. Su cui nel Pd non c'è armonia di vedute. Quando e come farle? Primarie di partito o di coalizione? Oppure entrambe? Perché le primarie al gruppo del Pd piacciono quando l'esito è scontato. Non se sono davvero "aperte".
Infine, c'è la questione della "legge elettorale". Votare presto costringerebbe a utilizzare il famigerato Porcellum. Proprio mentre l'iniziativa referendaria, promossa da Parisi, volta ad abrogarlo e ristabilire il sistema elettorale precedente, ha ottenuto un massiccio sostegno popolare. Viaggia ben oltre le 500mila firme. Non a caso Alfano, a nome di Berlusconi, nei giorni scorsi, si è detto pronto a riformare l'attuale legge. Presumibilmente, per prendere tempo. E per evitare un nuovo referendum. Rischioso come il precedente, per il centrodestra. Mentre al Terzo Polo non piacciono né il Porcellum né il Mattarellum.
Mi rendo conto che questa ricostruzione, pedante e un po' prolissa, può apparire noiosa e scontata. Persino banale. Tuttavia, mi è parso utile proporla. Non solo a memoria futura - e presente. Ma perché dà il senso di quel che sta capitando nel nostro sistema politico. Mentre tutto intorno ci crolla addosso. Mentre le vicende politiche e i mercati globali richiederebbero - e, anzi richiedono - un governo che governi e un presidente del Consiglio credibile - o almeno non squalificato. Sostenuto da una maggioranza che sia tale non solo in Parlamento - e spesso neppure lì. Ma anche tra i cittadini e gli elettori.
In Italia, invece, viviamo un tempo di elezioni e dimissioni imminenti. Sempre possibili e da molte parti auspicate. Ma puntualmente scongiurate e rinviate. È come fossimo perennemente in crisi di governo. In campagna elettorale permanente. Quando non è possibile decidere nulla, perché è importante inseguire e conquistare ogni segmento di opinione pubblica. Ogni frammento del mercato elettorale. Un giorno dopo l'altro. Un momento dopo l'altro. Così tutto si agita, nel nostro piccolo mondo. Ma tutto resta uguale. Mentre fuori infuria la bufera (politica, monetaria, economica, finanziaria...).
Verrebbe da evocare la fortezza Bastiani, dove l'ufficiale Giovanni Drogo, insieme alla sua guarnigione, attende l'arrivo del nemico. Che non arriva mai. Nel Deserto dei Tartari narrato da Dino Buzzati. Ma si tratterebbe di una citazione troppo nobile, per il nostro povero Paese. Per il penoso spettacolo offerto dalla nostra scena politica. Che mi rammenta, piuttosto, un tapis roulant. Dove cammini e corri, con continui cambi di velocità e di pendenza. Ma resti sempre fermo. Nello stesso posto. Nella tua stanza. Senza una meta. Senza un orizzonte. Mentre il mondo fuori incombe.
La Repubblica (26 settembre 2011)