mercoledì 30 giugno 2010

Preti pedofili perché il Papa difende Sodano?


di Vito Mancuso (la Repubblica, 30 giugno 2010)

Ieri il papa ha sottolineato che il pericolo più grande per la Chiesa viene dal fronte interno: "Il danno maggiore lo subisce da ciò che inquina la fede e la vita cristiana dei suoi membri e delle sue comunità". Ma allora perché, due giorni fa, ha pubblicamente umiliato il cardinale Christoph Schönborn, finora il più coraggioso degli uomini di Chiesa nel lottare contro il terribile inquinamento interno che è la pedofilia del clero?

Io quasi non volevo crederci, non poteva essere vero che Benedetto XVI, dopo aver più volte affermato di voler fare tutto il possibile per stabilire la verità e perseguire la giustizia nello scandalo pedofilia, avesse costretto l’arcivescovo di Vienna a una specie di Canossa vaticana.

Eppure era vero. Benedetto XVI aveva costretto il presule, nonché stimato teologo di orientamento conservatore a lui molto vicino, a una conciliazione forzata con il cardinal Sodano. La logica del potere romano è la forza che ancora domina la Chiesa cattolica.

Quello che però a mente fredda colpisce di più è il disinteresse mostrato dal papa per il merito delle accuse mosse pubblicamente da Schönborn il 28 aprile scorso contro il cardinale Angelo Sodano, Segretario di Stato sotto Giovanni Paolo II, accusandolo di aver insabbiato il caso Groer.

Hans Hermann Groer (1919-2003), monaco benedettino, arcivescovo di Vienna e cardinale, fu costretto a dimettersi nel 1995 per aver molestato un seminarista minorenne (in seguito a suo carico emersero molti altri casi).

Immediato successore di Groer nella diocesi di Vienna, Schönborn quando accusava Sodano parlava di cose che conosce molto bene. Ma diceva la verità oppure mentiva? È vero o non è vero che Sodano da Roma ostacolò le indagini di Vienna? Il papa semplicemente non se ne è curato, non è entrato nel merito, alla verità ha preferito la forma ricordando che solo a lui è concesso accusare un cardinale. Così il comunicato ufficiale: "Nella Chiesa, quando si tratta di accuse contro un cardinale, la competenza spetta unicamente al papa".

Ma se è così, allora il papa è tenuto ad andare fino in fondo verificando se le accuse di Schönborn a Sodano sono fondate o sono solo calunnie. Lo farà? Non lo farà, per il motivo che dirò alla fine di questo articolo.

Nella predica a conclusione dell’Anno sacerdotale a piazza San Pietro l’11 giugno Benedetto XVI aveva detto di "voler fare tutto il possibile affinché un tale abuso non possa succedere mai più". Alla luce del trattamento riservato a Schönborn queste parole appaiono molto sfuocate, mera retorica di stato. Di che cosa stiamo parlando, infatti? Stiamo parlando (occorre ricordarlo sempre!) di migliaia e migliaia di giovani vittime.

Oltre all’Austria scandali sono emersi ovunque. Negli Stati Uniti finora sono stati pagati indennizzi per 1.269 miliardi di dollari, con il conseguente fallimento di non poche diocesi.

In Irlanda nel 2009 sono usciti documenti come il Rapporto Murphy e il Rapporto Ryan, quest’ultimo sugli abusi del clero dagli anni ’30 agli anni ’70 (notare: anni ’30, altro che responsabilità della rivoluzione sessuale del postconcilio come scrive Benedetto XVI nella "Lettera ai cattolici irlandesi"): il risultato è che la Chiesa irlandese deve versare 2.100 milioni di euro di risarcimenti.

Poi c’è la Germania del papa: abbazia benedettina di Ettal in Alta Baviera, coro di Ratisbona, dimissioni di mons. Mixa vescovo di Augusta per molestie sessuali su minori, collegio Canisius dei gesuiti a Berlino...

C’è il Belgio con le dimissioni del vescovo di Bruges per i medesimi tristi motivi e le perquisizioni delle tombe nella cattedrale di Malines con le conseguenti deplorazioni pontificie.

Ci sono Polonia, Svizzera, Olanda, Danimarca, Norvegia, Inghilterra, Australia...

Don Ferdinando Di Noto, il prete da anni in prima linea contro la pedofilia, simbolo della rettitudine della gran parte dei preti, dichiarava il 18 febbraio scorso che in Italia i casi accertati sarebbero un’ottantina. Da allora, vista la frequenza delle notizie sui giornali, temo che la cifra sia aumentata non poco.

Di fronte a questi dati due cose sono sicure. Primo: se non fosse stato per la forza dei giornali e delle tv tutto sarebbe rimasto sconosciuto e insabbiato; se la Chiesa riuscirà un giorno a fare pulizia al proprio interno lo dovrà alla forza delle scomode verità fatte emergere dalla libera informazione.

Secondo: fino a poco tempo fa la linea tenuta dal cardinal Sodano sul caso Groer era la prassi abituale, come appare anche dalla Epistula de delictis gravioribus inviata il 18 maggio 2001 dall’allora cardinal Ratzinger ai vescovi di tutto il mondo che imponeva il secretum Pontificium per tutte le gravi trasgressioni del clero (notare: il caso Groer risale a sei anni prima!). È proprio questa la peculiarità dello scandalo, non tanto la pedofilia di preti e vescovi, quanto l’insabbiamento da parte delle gerarchie, il fatto incredibile che i vertici ecclesiastici sapevano di questi crimini e, per non indebolire il potere politico della Chiesa, tacevano e insabbiavano.

Per anni e anni. Per interi decenni è stata preferita l’onorabilità della struttura politica della Chiesa rispetto alla giustizia verso le vittime, e quindi verso Dio. Le dichiarazioni del cardinal Sodano che riduceva a "chiacchiericcio" le accuse erano esattamente in linea con questa politica dell’insabbiare, e l’umiliazione inferta dal papa al cardinale Schönborn per averlo criticato è una conferma che questa politica non è terminata. La subdola peculiarità di questo scandalo mondiale è purtroppo ancora in vita.

Salvare la Chiesa prima di tutto. Prima dei bambini e della loro vita psichica e affettiva. Prima dei genitori e del loro inestirpabile dolore. Prima del senso di giustizia di tutta una società. Prima della giustizia di cui rendere conto davanti a Dio. Prima di tutto, la Chiesa e la sua immagine, e il conseguente potere che ne deriva.

Per questo l’ordine era (anzi è, perché altrimenti non si sarebbe salvata l’onorabilità del potente cardinal Sodano) coprire, insabbiare, dissimulare, mentire, negare, comprare. Tra l’ottantina di cardinali della Chiesa solo uno aveva avuto il coraggio e l’onestà di puntare il dito contro il vertice della nomenclatura. Il papa l’ha messo a tacere, l’ha fatto rientrare tra le fila, imponendogli una bella dichiarazione di facciata.

Ma com’è possibile che nella Chiesa tanti crimini siano stati occultati e che all’interesse delle vittime sia stato preferito quello dei loro aguzzini? La risposta a mio avviso consiste nella teologia elaborata lungo i secoli che ha condotto a una vera e propria idolatria della struttura politica della Chiesa, a una sorta di sequestro dell’intelligenza da parte della struttura per affermare se stessa sopra ogni cosa, il cui inizio si può emblematicamente collocare, come già intuito da Dante, nella stesura del falso documento conosciuto come "Donazione di Costantino" da parte della cancelleria papale (documento svelato come falso da Lorenzo Valla nel 1440).

Questa teologia ecclesiastica ha condotto a fare dell’obbedienza alla Chiesa gerarchica il segno distintivo dell’essere cattolico: il cattolico è anzitutto colui che obbedisce al papa e ai vescovi. Se non obbedisci, non sei cattolico. Dante non lo sarebbe più, neppure san Paolo, che ebbe l’ardire di opporsi pubblicamente a Pietro, non potrebbe far parte di questa Chiesa cattolica. Al termine degli Esercizi spirituali così Ignazio di Loyola illustrava il rapporto con la verità che deve avere il cattolico: "Quello che io vedo bianco, lo credo nero se lo stabilisce la Chiesa gerarchica".

Da tempo immemorabile la bilancia è il simbolo della giustizia. Su un piatto della bilancia ci sono le vite di migliaia di bambini, ragazzi e giovani irrimediabilmente deturpate da uomini di Chiesa. Sull’altro, che cosa mette la Chiesa? Oggi è costretta a mettere i nomi dei colpevoli, e tantissimi soldi. Ma si ferma qui, e non basta. Essa infatti deve aggiungere se stessa, la struttura di potere che l’ha fatta precipitare in questo abisso. Solo a questa condizione i due piatti possono tornare in equilibrio e generare la vera giustizia, quella che Gesù diceva di cercare sopra ogni altra cosa.

domenica 27 giugno 2010

COMPAGNI



Cari compagni, sì, compagni, perché è un nome bello e antico, che non dobbiamo lasciare in disuso; deriva dal latino "cum panis", che accomuna coloro che mangiano lo stesso pane. Coloro che lo fanno condividono anche l'esistenza. Mario Rigoni Sterm

Lettera aperta al cardinale Sepe


da donvitaliano in personale

Signor cardinale,

io non sono tra quelli che, come ha fatto il portavoce del Vaticano che ha parlato di una gestione attuale dei beni della Congregazione, di cui lei è stato Prefetto, “diversa dalla precedente”, scaricano su di lei ogni responsabilità delle scelte poco chiare che oggi emergono nelle varie inchieste della magistratura.

Lei oggi è alla ribalta della cronaca per una vicenda che non fa onore alla nostra Chiesa. Una vicenda sulla quale non spetta certamente a me - né a nessun altro che non sia la magistratura - emettere un verdetto anticipato, ma rispetto alla quale, però, mi sento nel pieno diritto di fare e suggerire alcune riflessioni.

Voglio partire - e fermarmi - dalla presunzione della sua innocenza.

In questo momento lei ha su di sé i riflettori accesi e l’attenzione di stampa e televisione. Da innocente, quale occasione migliore per rendere, di fronte ai molti milioni di persone che la ascoltano e la guardano, un’autentica testimonianza cristiana, un messaggio chiaramente diverso da quello che molti inquisiti potenti hanno mandato in questi anni. Lei è un cardinale, un “cardine” su cui poggia la Chiesa, uno dei prescelti a testimoniare fino all’estremo, fino al sangue, che il rosso porpora della sua veste le ricorda continuamente; è uno dei prìncipi della Chiesa e essere principe nella Chiesa è diverso da essere potenti nel mondo, è essere uno dei prìncipi di quel re, Gesù Cristo, che si è lasciato processare dagli uomini come l’ultimo dei delinquenti. Ma tutto questo non devo essere io a ricordarglielo.

Sono certo che lei non si difenderà “egoisticamente” gettando facile discredito su magistrati inquirenti e giornalisti, come solitamente fanno i potenti; e sono certo che lei non si difenderà abusando della sua posizione e del ruolo che ricopre.

Alcuni anni fa, quando lei era stato scelto da papa Giovanni Paolo II per preparare il Giubileo del 2000, e cominciavano ad essere evidenti le contraddizioni e gli sprechi che si stavano manifestando nella preparazione di quell’evento, le scrissi una lettera, ripresa da alcuni giornali, per ricordarle la condizione di precarietà di ogni povero. Con la mia Comunità parrocchiale stavo riflettendo in modo sofferto sulle contraddizioni del Giubileo, quando un vecchio, che leggeva da un quotidiano le notizie che si rincorrevano in quei giorni, sui finanziamenti sproporzionati per il Giubileo, sorridendo mi chieste cosa ne pensassi; di fronte ai miei imbarazzati giri di parole per dipingere luci ed ombre di un fenomeno che, da esclusivamente religioso quale dovrebbe essere, stava diventando troppo economico, mi ricordò un detto delle nostre zone che forse anche Lei conosce: “Scialate puttane che sta arrivando il Giubileo”. Il grande appuntamento del 2000 stava cominciando a prendere la mano degli organizzatori e, nello stesso tempo, a sfuggirvi di mano. Dietro l’imponente macchina messa in moto si intravedeva, purtroppo, la grande tentazione farisaica dell’esteriorità.

Il Grande Giubileo stava diventando un grande circo, sempre più simile alle olimpiadi o ai mondiali di calcio, ma di ben più grandi proporzioni. Era diventato un treno sul quale chiunque aveva la possibilità di gestire qualcosa stava cercando di salire, non importava se con urti e spintoni, non importava a cosa fossero davvero finalizzati i progetti e quale ne fosse l’utilità e la qualità.

Oggi i nodi vengono al pettine. Spero sinceramente che la sua posizione giudiziaria venga chiarita senza ulteriori conseguenze e che lei risulti estraneo alla corruzione e ad altri reati. Credo, comunque, che questa triste vicenda vada vista come provvidenziale e sia lo stimolo per lanciare nella Chiesa, semmai a partire da lei, una approfondita riflessione sul giusto rapporto che deve intercorrere tra i vertici della Chiesa e quelli civili, tra i vescovi e i potenti, tra il Vaticano e i potentati economici e finanziari, tra i beni terreni che la Chiesa gestisce e i poveri, soprattutto in un tempo di crisi economica globale che l’umanità sta subendo.

Approfittiamo per liberarci dalla frenesia delle cose inutili che ci fanno perdere di vista quelle davvero necessarie; approfittiamo per riconciliarci con la terra, che non deve più essere oggetto di sfruttamento, e con gli uomini e le donne che la abitano, che non devono essere più sfruttati. “Spalancate le porte a Cristo” è stato lo slogan dell’ultimo Giubileo: spalanchiamo le porte ai poveri cristi; spalanchiamo, ad esempio, le porte delle case di proprietà della Chiesa, e lasciamoci entrare i tanti, i troppi senzatetto.

Spalanchiamo le porte delle favelas e di tutte le periferie, delle case di cartone dei barboni, dei campi profughi, dei reparti d’ospedale dove chiudono i loro giorni i malati terminali, delle celle dei prigionieri politici, delle case dei disoccupati e degli sfruttati, di ogni luogo dove è vivo il dolore e troppo debole la speranza. Porte attraverso cui poter entrare, porte attraverso cui qualcuno, grazie anche a noi, potrà finalmente uscire.

Se, anziché queste porte, permetteremo ancora che si aprano le porte delle banche, degli uffici dei progettisti e delle mega imprese, dei burocrati, dei politicanti e degli affaristi, se lasceremo che si aprano ancora di più le porte dei ricchi, allora le porte di Dio resteranno davvero chiuse, soprattutto per noi!

Con cristiana franchezza
don Vitaliano Della Sala
Mercogliano, 20 giugno 2010

martedì 15 giugno 2010

Vaticano Spa: la Chiesa è questione di fede, ma direi anche di soldi


10-06-2010
di don Paolo Farinella

Ho visto Report su Rai 3, una riserva indiana dove è ancora possibile avere qualche sprazzo di informazione. Nulla di nuovo, in verità, ma fatti conosciuti attraverso gli atti giudiziari, le testimonianze e i documenti di mons. Dardozzi, dirigente Ior, che morendo ha lasciato il suo archivio al giornalista Gianluigi Nuzzi che ne ha pubblicato parte nel terrificante libro «Il Vaticano Spa». Vedere però tutti insieme quei fatti, infilati uno dopo l’altro, come un rosario, in una sintesi stringata senza respiro, mi ha fatto male e mi ha fatto vergognare. Il cardinale Nicora, in evidente stato di disagio imbarazzante, ha cercato di mettere una pezza facendo passare il messaggio che in fondo, la Chiesa è una «questione di fede». Eccome se lo è, signor cardinale. Solo che lei avrebbe dovuto ricordarsene quando, in rappresentanza della chiesa italiana nel 1984, ha fatto parte della commissione del concordato che è il vero peccato originale dei fatti e dei misfatti che hanno coinvolto, a cominciare dalle alte sfere vaticane, una parte del personale ecclesiastico in ogni sorta di malaffare, di reati e anche di delitti.
Certo, la Chiesa è di Cristo, ma se chi la gestisce non ha etica, ma intrallazza con mafia, corrotti e speculatori; se butta via i poveri sulla strada per affittare speculando; se l’IDSC di Genova fornica con una immobiliare a danno della comunità di Recco; come è possibile sostenere ancora che la Chiesa è di Cristo? I pastori, custodi dei poveri, sono diventati lupi rapaci, di fatto complici di uomini assatanati, travestiti da «gentiluomini» del papa, per meglio delinquere e peccare dentro e fuori il recinto del tempio. Gli uomini di Chiesa (o solo impiegati atei?) hanno preso le cose sante e le hanno gettate ai porci, diventando porci essi stessi, complici e responsabili di buona parte dell’ateismo di oggi. Il Vaticano II senza mezzi termini asserisce che «nella genesi dell’ateismo possono contribuire non poco i credenti, nella misura in cui, per aver trascurato di educare la propria fede, o per una presentazione ingannevole della dottrina, od anche per i difetti della propria vita religiosa, morale e sociale, si deve dire piuttosto che nascondono e non che manifestano il genuino volto di Dio e della religione» (Gaudium et Spes, n. 19).
Mentre scorrevano immagini e commenti di Report ho pensato alla mia esperienza personale. Per la mia libertà di pensiero e di testimonianza di una teologia non omologata a quella romana, come anche per la indipendenza della mia coscienza, sono tenuto ai margini della chiesa locale da oltre 30 anni, segregato come un delinquente pericoloso e infido. Ho sempre piegato le ginocchia per obbedienza, non ho mai piegato la schiena per opportunità, interesse o baratto, pagando senza rimpianti il prezzo alla verità. Ancora oggi aspetto un risarcimento morale, di cui lo stesso Bagnasco è a conoscenza. Nessuno, nemmeno il papa, può farmi una chiosa da un punto di vista dottrinale perché sono coerente con l’insegnamento tradizionale della Chiesa e sfido chiunque a dire che il mio modo di pensare e di essere non sia cattolico.
Sono infatti parroco di una parrocchia di fatto senza parrocchiani e senza territorio. La gerarchia cattolica non vuole preti pensanti, ma preferisce fornicare con i gentiluomini immorali; fare affari con mafiosi; appoggiare presidenti del consiglio e partiti immondi da qualunque parte si girino; far fare carriere a prelati atei e pedofili, anche cerimonieri di papi, purché accettino di «avere la testa svitabile» (parola del card. Siri). Lo scisma attraversa la Chiesa e la gente con la gerarchia, rinnega anche Gesù Cristo. Impossibile fidarsi di giocolieri che usano Dio per la loro tronfia vanità, amando travestirsi come faraoni egiziani del sec. VI a.C., pretendendo anche di rappresentare Dio! Non sanno che hanno già ricevuto la loro ricompensa di pagani e il ripudio di Dio.

Un nuovo credo

di Frei Betto*
Credo nel Dio liberato dal Vaticano e da tutte le religioni esistenti e che esisteranno. Il Dio che è antecedente a tutti i battesimi, pre-esistente ai sacramenti e che và oltre tutte le dottrine religiose. Libero dai teologi, si dirama gratuitamente nel cuore di tutti, credenti e atei, buoni e cattivi, di quelli che si credono salvati e di quelli che si credono figli della perdizione, e anche di quelli che sono indifferenti al mistero di ciò che sarà dopo la morte.
Credo nel Dio che non ha religione, creatore dell’universo, donatore della vita e della fede, presente in pienezza nella natura e nell’essere umano. Dio orefice di ogni piccolo anello delle particelle elementari, dalla raffinata architettura del cervello umano fino al sofisticato tessuto dei quark.
Credo nel Dio che si fa sacramento in tutto ciò che cerca, attrae, collega e unisce: l’amore. Tutto l’amore è Dio e Dio è il reale. E trattandosi di Dio, non si tratta dell’assetato che cerca l’acqua ma del’acqua che cerca l’assetato.
Credo nel Dio che si fa rifrazione nella storia umana e riscatta tutte le vittime di tutti i poteri capaci di far soffrire gli altri. Credo nella teofania permanente e nello specchio dell’anima che mi fa vedere gli altri diversi dal mio io. Credo nel Dio, che come il calore del sole, sento sulla pelle, anche se non riesco a contemplare la stella che mi riscalda.
Credo nel Dio della fede di Gesù, Dio che si fa bambino nel ventre vuoto della mendicante e si accosta nell’amaca per riposarsi dalle fatiche del mondo. Il Dio dell’arca di Noé, dei cavalli di fuoco di Elia, della balena di Giona. Il Dio che sorpassa la nostra fede, dissente dei nostri giudizi e ride delle nostre pretese; che si infastidisce dei nostri sermoni moralisti e si diverte quando il nostro impeto ci fa proferire blasfemie.
Credo nel Dio che, nella mia infanzia, piantò una acacia in ogni stella e, nella mia giovinezza, si mise in ombra quando mi vide baciare la mia prima innamorata. Dio festeggiatore e bisboccione, lui che creò la luna per adornare la notte della delizia e l’aurora per incorniciare la sinfonia del volo degli uccelli all’albeggiare.
Credo nel Dio dei maniaci-depressi, dell’ossessione psicotica, della schizofrenia allucinata. Il Dio dell’arte che denuda il reale e fa risplendere la bellezza pregna di densità spirituale. Dio ballerino che, sulla punta dei piedi, entra in silenzio sul palcoscenico del cuore e, cominciata la musica, ci afferra fino alla sazietà.
Credo nel Dio dello stupore di Maria, del camminare laborioso delle formiche e dello sbadiglio siderale dei fiorellini neri. Dio spogliato, montato su un asino, senza una pietra dove appoggiare il capo, atterrato dalla sua stessa debolezza.
Credo nel Dio che si nasconde nel rovescio nella ragione atea, che osserva l’impegno dei scienziati per decifrare il suo gioco, che si incanta con la liturgia amorosa dei corpi che giocano per ubriacare lo spirito.
Credo nel Dio intangibile all’odio più crudele, alle diatribe esplosive, al cuore disgustoso di quelli che si alimentano con la morte altrui. Dio, misericordioso, si fa quatto fino alla nostra piccolezza, supplica un soave messaggio e chiede una ninna nanna, esausto davanti alla profusione delle idiozie umane.
Credo, soprattutto, che Dio crede in me, in ognuno di noi, in tutti gli esseri generati per il mistero abissale di tre persone unite per amore e la cui sufficienza traboccò in questa creazione sostenuta, in tutto il suo splendore, dal filo fragile del nostro atto di fede.
*Frei Betto, domenicano brasiliano, teologo e scrittore.

Perché i fedeli non danno più i soldi dell’8 per mille alla Chiesa di Roma

di don Paolo Farinella

Tutti i giornali riportano la ricognizione prevista dalla legge sull’8xmille che prevede la chiusura contabile e la conseguente ripartizione delle quote ogni tre anni. Nell’anno 2010 si chiude la partita del 2007, relativa all’anno fiscale del 2006. Questo tempo è necessario perché lo Stato non ha la certezza contabile delle sue entrate immediatamente, ma gli occorrono tre anni, segno inequivocabile di un carrozzone che non è certo nemmeno se è vivo o morto. Così vano le cose. Al comando però c’è «il governo del fare»! Cosa succederebbe se ci fosse un governo appena normale?
La ricognizione contabile ha sancito che in modo uniforme e costante sono diminuite le firme a favore della Chiesa cattolica e anche le offerte liberali direttamente deducibili sono calate di circa 100 mila unità. Un salasso che preoccupa la gerarchia cattolica, unica responsabile e colpevole. Se la presidenza della Cei fosse onesta, dovrebbe far pagare i 35 milioni in meno a Ruini, a Bagnasco, a Bertone e loro collaboratori perché responsabili «in solido» per le loro continue ingerenze destabilizzanti nella vita democratica della Nazione italiana.
Essi infatti non si limitano a dire e a proporre la loro idea di società, di morale, di progettualità umana, ma operano, anche sottobanco, per imporre la loro visione ai parlamenti e ai governi con misure di scambio e contrattazione illecita. Bisogna però dire che la loro visione del mondo e il loro modo di essere credenti non sono gli unici possibili, perché altri modi e forme di cristianesimo cattolico hanno uguale diritto di cittadinanza senza per questo essere modelli teologici inferiori.
Il 31maggio 2010 scrivevo al cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei e vescovo di Genova: «Molti cominciano a lasciare la Chiesa e a devolvere l’8xmille ad altre confessioni religiose: lei sicuramente sa che le offerte alla Chiesa cattolica continuano a diminuire; deve, però, sapere che è una conseguenza diretta dell’inesistente magistero della Cei che ha mutato la profezia in diplomazia e la verità in servilismo». (Lettera di Paolo Farinella al Card. Angelo Bagnasco in data 31 maggio 2009).
Non ci voleva l’arte dello sciamano per capire che l’irruenza micidiale con cui il card. Ruini nel 2004 impedì che si svolgesse il referendum sulla procreazione assistita, intimando ai cattolici di non recarsi alle urne, fu un boomerang micidiale per la Gerarchia cattolica. Una vittoria di Pirro che fece cadere Romano Prodi, presidente del Consiglio, il quale ebbe l’ardire di affermare in pubblico di «essere un cristiano adulto» e quindi che sarebbe andato a votare, come d’altronde fece il sottoscritto, prete fin nel midollo dal cuore laico. La corte di Strasburgo, infatti, ha modificato la legge, rendendola vana. Una battaglia inutile.
Non è necessario avere l’arte della divinazione per concludere che l’imposizione al parlamento, posseduto da Silvio Berlusconi, dittatorello da strapazzo e uomo finto dalla testa ai piedi, di cassare qualsiasi legge sulle coppie di fatto (DICO, ecc.) e testamento biologico, fu letta dal popolo cattolico pensante come un «vulnus» terrificante nell’ordinamento giuridico e istituzionale. Il risultato dell’8xmille di oggi deve collegarsi a quelle scelte per capire che i vescovi devo tornare a fare i vescovi, ad esercitare la profezia e non continuare a commettere atti impuri con Berlusconi e questo parlamento formalmente prono al bacio della sacra pantofola, ma pronto e deciso a strozzare la voce della Chiesa che così è destinata ad essere schiava di un potere perverso, eversivo, immorale e antidemocratico.
La gerarchia cattolica ha abdicato al suo ruolo di guida del popolo di Dio ed è diventata serva di un uomo pagano, corruttore, corrotto, malato e impresentabile moralmente e politicamente. Ladro di professione insozza ciò che tocca e per colpa della gerarchia ha insozzato anche la veste bianca della Chiesa del vangelo e della fede. I vescovi in questi anni di misfatti e di soprusi, di stupri istituzionali e di simonia hanno sempre taciuto, qualche volta belato, ma mai parlato con il mano il «vincastro» del pastore a difesa dei poveri, degli immigrati e dei socialmente deboli, costretti a pagare il lusso sfrenato di una classe politica che è la vergogna della Nazione. Se sono colpevoli questi, sono complici recidivi chi li sostiene e li appoggia.
La mia profezia dell’anno scorso si è dunque avverata e ancora si avvererà perché come confermai nel colloquio del 13 agosto 2009 al card. Angelo Bagnasco, nei prossimi anni vi sarà un crollo verticale dell’8xmille. Il popolo di Dio giudica dai frutti e usa i mezzi di cui dispone. Non può eleggere rappresentanti parlamentari perché è stato esautorato del voto democratico, non può parlare nemmeno nella Chiesa perché deve solo ascoltare e ubbidire; giudica e condanna attraverso la firma sulla dichiarazione dei redditi, consapevole che per la gerarchia ecclesiastica «più che ’l dolor, poté ’l digiuno» (Dante, Inferno, XXXIII, 75). Ora forse vi sarà una maggiore prudenza nell’esporsi a sostegno di una maggioranza che paga pronta cassa, ma annienta la credibilità pastorale e morale di una gerarchia che, a questo punto, dovrebbe dimettersi in blocco e ritirarsi a vita di penitenza e cominciare a leggere il vangelo dimenticato.
fonte: domani arcoiris

domenica 13 giugno 2010

Lettera 147 maggio 2010


di Ettore Masina

Una Chiesa vitale?

Nel dicembre del 1992 l’inverno incrudelì sui Balcani. E nel gelo, nella pioggia, nel fango andava morendo l’utopia jugoslava: uno stato multietnico che sembrava avere consolidato pacificamente un’area europea storicamente segnata da conflitti senza fine, adesso s’era nuovamente frantumato sotto la spinta di egoismi locali e correità internazionali. Cominciava un’atroce guerra civile che divideva regione da regione, quartiere da quartiere, villaggio da villaggio, talvolta famiglia da famiglia. L’ONU e i governi europei e quello degli Stati Uniti sembravano (o fingevano di essere) incapaci di fermare il genocidio. Simbolo dell’odio etnico e religioso, la città bosniaca di Sarajevo (300 mila abitanti) veniva assediata dall’esercito serbo. L’8 dicembre di quell’anno terribile, una colonna di 500 italiani riuscì a rompere la cintura di fuoco: erano volontari di Pax Christi e li guidava il loro presidente, Antonio Bello, vescovo di Molfetta. Se lo si rivede nelle fotografie dell’epoca, sembra impossibile che egli abbia partecipato all’impresa, da lui ideata: era stato un uomo bello non soltanto di nome ma anche fisicamente, adesso il suo sorriso illuminava un povero volto che sembrava un teschio, con occhi troppo grandi sotto un passamontagna che non riusciva a liberarlo dal freddo. “Don Tonino”, come voleva essere chiamato rifiutando gli altri titoli della cerimoniosità ecclesiastica, stava morendo di un cancro e lo sapeva, ma voleva mostrare che a una crociata senza spade e senza stendardi, a un “esercito senza armi, come saranno quelli del futuro”, a un’ “ONU dei popoli” era possibile spezzare, almeno per qualche ora , la logica della violenza. L’arrivo a Sarajevo della colonna da lui guidata sembra una pagina dell’Antico Testamento: la città era piena di “cecchini”, tiratori scelti, che sparavano su tutto quello che si moveva per le strade, ma, improvvisamente, una fitta nebbia impedì loro ogni visuale e i volontari passarono indenni.

Mi rallegra la notizia che va avanti la causa di beatificazione di questo vescovo della “Chiesa del grembiule”, come lui la chiamava per richiamare l’umiltà di Gesù nella lavanda dei piedi; e ripensando a questo meraviglioso amico mi confermo nel ritenere assoluta la necessità di atti profetici nel cammino dei cristiani, senza i quali la comunità ecclesiale non rende percepibile né comprensibile né credibile la sua testimonianza del vangelo. Quella che per altre istituzioni può essere ”ordinaria amministrazione”, per la Chiesa è uno stato pre-agonico: lo vediamo tutti, lo sentiamo tutti, ce lo diciamo tutti – o almeno quelli di noi cattolici che hanno il coraggio di guardare oltre i confini della nostra cerchia. Una Chiesa del buonsenso, del galateo, delle idee che galleggiano nell’aria senza ancorarsi all’evidenza dei fatti, che più o meno implicitamente contratta la vaghezza dei suoi “Non ti è lecito!” con l’acquisizione di privilegi mondani è una aggregazione che pare lontanissima dal vangelo, quanto i gemelli d’oro ai polsi del cardinale Bagnasco sembrano lontani dalle vesti di un mondo sconvolto dalla povertà.

Mi capita di ripensare spesso al contrasto fra due documenti letterari che descrivono la fede e la prassi della Chiesa. Il primo, scritto all’inizio del secolo scorso, è un brano del “Dedalus” o “Ritratto dell’artista da giovane” di James Joyce. Vi è descritta la predica di un gesuita sul tema dell’inferno. Il secondo è un capitolo di “E non disse neppure una parola”, di Heinrich Böll e racconta di un tedesco, reduce dalla seconda guerra mondiale, il quale, schiacciato dalla sua esperienza, entra in una chiesa e ascolta la predica di un vescovo; a un certo punto è sorpreso da un pensiero che gli pare peccaminoso ma non riesce a respingere: quel vescovo è noioso. Fra questi due documenti corrono cinquant’anni. Il primo è l’esempio di una Chiesa disposta a usare anche una paura primordiale pur di governare le anime; è intriso di superstizione, di volontà di dominio ma è almeno un documento che ha una sua alta tragicità. Il secondo è un documento di pigra tiepidità, incapace sia di scuotere che di rasserenare. Ricordate quella terribile frase dell’Apocalisse? “Il tiepido io lo vomiterò dalla mia bocca”.

L’impressione che molti, moltissimi abbiamo – cattolici come me o “lontani” – è quella che la Chiesa di questi nostri terribili giorni sia tiepida; e i giovani, quelli ai quali viene proposta, molto spesso da insegnanti demotivati, la giudicano noiosa. Chi ha la pazienza di leggere i documenti scritti dai vescovi italiani sa che molti di essi contengono inedite aperture, elenchi minuziosi di validissime possibili opzioni, elenchi minuziosi di comportamenti ingiusti, da sanzionare. Ogni anno la Conferenza episcopale italiana compone una specie di enciclopedia, quattro, cinque, dieci volte più lunga dei quattro evangeli; ma in mancanza di segni, di prassi (di quella che padre Balducci chiamava ortoprassi: comportamenti che rendono evidenti gli imperativi etici della fede) ben pochi dei “fedeli” e dei “lontani” sentono la necessità di andare a leggerli. In una società-spettacolo come la nostra, le biblioteche rimangono assolutamente importanti ma non bastano più, ammesso che qualche volta siano bastate.

Voglio fare qualche esempio. Noi viviamo in una comunità politica in cui, con il consenso di milioni di cattolici, una forza di governo, di peso politico crescente, non soltanto ha bloccato il fortunoso arrivo di disperati alla ricerca di pane e più ancora di pace (e un recentissimo rapporto di Amnesty International denuncia il comportamento in più occasioni inumano delle nostre autorità) ma, con cadenza programmatica, inasprisce la condizione dei “terzomondiali” presenti fra noi e ormai indispensabili alla nostra economia. Il ministro degli Interni, forse il più intelligente esponente di quel partito, ha teorizzato apertamente la necessità della “cattiveria”. Anni addietro la Lega portava la maschera della ragionevolezza: “Aiutiamo i popoli della fame, ma a casa loro”. La maschera è caduta: la cooperazione italiana è ridotta a dimensioni vergognose. I trafficanti di schiavi dei secoli scorsi crearono stati-mercato, come il Dahomey o Zanzibar, per le esigenze del loro infame commercio. Maroni e Berlusconi cercano di creare stati-poliziotto (la Libia, Malta) che facciano il lavoro sporco per noi, magari con la creazione di veri e propri lager. La paura e l’odio usati dalla Lega per la conquista di un consenso “popolare” hanno dato vita a episodi vergognosi, come nel caso delle mense scolastiche. È follia pensare che sarebbe stato bello che qualche vescovo delle diocesi in cui sono avvenuti episodi del genere si fosse recato nelle parrocchie di quei luoghi ricordando, ai fedeli, anche con pastorale durezza, la predicazione di Gesù sul giudizio dell’ Ultimo Giorno: “Io ero forestiero e tu mi hai accolto”?

La diffusione del razzismo leghista avvelena il costume, la politica, la cultura e la testimonianza di fede nel nostro paese. Drena e raccoglie e organizza la paura dei poveri per i più poveri. È follia sperare che qualche vescovo, se non l’intera CEI , abbia il coraggio di citarlo per nome? Lo si è ben fatto quando l’onorevole Cota ha dichiarato che nel “suo” Piemonte la pillola detta “abortiva” sarebbe “rimasta in magazzino”. Allora non un piccolo vescovo “di periferia” ma monsignor Fisichella, tonaca rampante che secondo alcuni si tingerà presto di porpora, dichiarò (cito dal virgolettato di una sua intervista al “Corriere della Sera”) che “bisogna prendere atto dell’affermarsi della Lega, della sua presenza ormai più che ventennale in Parlamento, di un suo radicamento nel territorio che le permette di sentire più direttamente alcuni problemi presenti nel tessuto sociale”. Quanto ai problemi etici (udite, udite!), Fisichella aggiunse. “Mi pare che la Lega manifesti una piena condivisione del pensiero della Chiesa”. Piena condivisione? È come dire che nel pensiero della Chiesa è molto più importante lottare contro le legge dello Stato in materia di aborto (legge che ha diminuito in maniera notevole il numero delle interruzioni di gravidanza del periodo clandestino) che esigere dai fedeli la fratellanza che Gesù ha posto come condizione di salvezza eterna. (Fisichella è lo stesso evangelizzatore che, con qualche contorcimento teologico, ci ha spiegato che Berlusconi può ben fare la comunione perché l’abbandono da parte della seconda moglie lo ha salvato dalla condizione di peccato nella quale si trovava come divorziato risposato…).

Il razzismo “internazionale” non è il solo peccato collettivo della società italiana. In molti luoghi, anche geograficamente vicinissimi alla sede del Papa, proseguono gli sgomberi forzati dei campi rom. La brutalità di queste operazioni di polizia si aggiunge alla reale mancanza di offerta di sedentarietà ai nomadi che vorrebbero cambiare vita. È follia pensare che sarebbe bello che un vescovo visitasse questi più poveri fra i poveri e magari assistesse di persona a uno sgombero? Ricordo ancora con profondissima emozione la messa di Natale che il futuro Paolo VI andò a celebrare al “Porto di Mare”, una bidonville alla periferia di Milano. Proclamò allora che la baracca trasformata in cappella era diventata quella mattina la cattedrale della diocesi, perché anche Gesù era nato in un’estrema periferia. Quel suo gesto profetico ebbe risvolti importanti anche dal punto di vista della politica cittadina. Certamente destò il volontariato da un suo torpore, fu il momento più alto della Missione di Milano.

E ancora. La guerra guerreggiata per salvare la pace è un ossimoro che segna profondamente il nostro tempo, scavalcando il cinico “Si vis pacem para bellum” dell’antichità romana. Molto al di là della Costituzione e dei patti internazionali, l’Italia è involucrata in questa tragedia. Ricordo i moniti di Giovanni Paolo Secondo contro il primo conflitto “del Golfo”; rottami teologici? Qual è la presenza della Chiesa italiana? Decine di cappellani militari sono mobilitati ad assicurare ai soldati che essi possono usare le armi per difendere la pace. Un vescovo-generale benedice le loro bare, se qualche povero giovane cade in questo lavoro talvolta senza alternative. Ricordo che un suo predecessore dichiarò in televisione che i “suoi” piloti che andavano a bombardare la Serbia compivano un’opera di carità. Non apro qui una discussione sul fatto che la pace come ce la dà il Signore non è come quella che dà il mondo, ma domando: sarebbe follia sperare che la CEI mandasse un sua delegazione alla Marcia della pace Perugia-Assisi, che è la più alta testimonianza collettiva in Italia di un progetto di civiltà dell’amore?

In tutta la cronaca nera economica che ha mostrato, in questi ultimi tempi, la presenza in Italia di una sfrenata corruzione compare immancabilmente qualche prete (o monsignore o “religioso”) affarista, in proprio o come amministratore di opere ecclesiatiche; sono comparsi due “gentiluomini di Sua Santità” (uno era anche un cacciatore di seminaristi) e lo Ior (la banca vaticana) sembra implicato in legami quanto meno imprudenti. Considerata la durezza con la quale le gerarchie ecclesiastiche intervengono sulle “imprudenze” dei preti “dei poveri” (ho in mente, per esempio, il caso della Comunità delle Piagge e dell’arcivescovo Betori), non sarebbe auspicabile che qualche vertice ecclesiastico richiamasse i preti “dei ricchi” a un po’ di castità finanziaria? Che la gestione economica della Chiesa (o almeno dello Stato vaticano) diventasse più trasparente? E poiché i “gentiluomini di Sua Santità” fanno parte della Curia Vaticana, non sarebbe da aggiornare, per così dire, il loro elenco, spiegando in base a quali requisiti e da chi essi vengono selezionati? E magari, ricordando l’estrazione sociale del primo papa e dei suoi amici, non si potrebbe sopprimere la categoria, il cui nome appare persino ridicolo?

La terribile questione della presenza di pedofili nel clero cattolico ha rivelato non solo la gravità di un problema ma la gestione castale e poi avventata, di quella tragedia. Dico “gestione castale” perché il silenzio che ha circondato, per chissà quanto tempo, l’infamia, ha trascurato il martirio delle vittime, negando loro la parola, per difendere la categoria ecclesiastica. Dico sprovveduta perché, anche quando la tragedia è emersa, è mancato, a quanto sembra, il ricorso ai competenti, cioè agli psicologi, gli unici che avrebbero potuto spiegare alla gerarchia la sofferenza dei bambini abusati e la patologia gravissima del pedofilo. Ancora in non poche recenti dichiarazioni di vescovi sembra invece che la pedofilia venga considerata piuttosto un disordine morale che richiede pentimento e provvedimenti disciplinari. Sarebbe importante sapere se e come sono stati presi provvedimenti “scientifici” per la prevenzione del problema.

A questo proposito, comunque, mi sembra doveroso registrare che non soltanto Benedetto XVI ha gestito il caso con rara fermezza ma anche ha compiuto uno di quei gesti significativi che molti cattolici e non cattolici attendono. Il suo incontro con alcune vittime di abusi, a Malta, è stato per me il punto più alto del suo pontificato. Io credo che la Chiesa non sia mai così grande come quando si inginocchia; e lo stesso vale per il singolo cristiano, come io cerco di ricordare a me stesso.

Io non dimentico che “questa” Chiesa, la “mia” Chiesa, è stata ed è la chiesa dei don Puglisi e dei don Diana, dei don Ciotti e dei don Di Liegro, dei cardinali Martini e Tettamanzi, dei vescovi Nogaro e Bregantini, degli Scoppola e dei Giuntella , dei don Arturo Paoli e di tanti e tanti altri laici e sacerdoti. Ma è proprio il loro esempio, mi pare, che ci spinge ad essere più coraggiosi e ad abbandonare i troppi comodi rifugi della cautela.

Ettore Masina
27 maggio 2010