lunedì 7 maggio 2012

Il mondo drogato della vita a credito



di ZYGMUNT BAUMAN

Un quotidiano britannico ha pubblicato la storia di un cinquantunenne che ha accumulato un debito di 58mila sterline su 14 carte di credito e finanziamenti vari. Con l'impennata dei costi del carburante, dell'elettricità e del gas non riusciva più a pagare gli interessi. 

Deplorando, col senno di poi, la sconsideratezza che lo ha gettato in questa situazione spiacevole se la prendeva con chi gli aveva prestato il denaro: parte della colpa è anche loro, diceva, perché rendono terribilmente facile indebitarsi. In un altro articolo pubblicato lo stesso giorno, una coppia spiegava di aver dovuto drasticamente ridurre il bilancio familiare, ma esprimeva anche preoccupazione per la figlia, una ragazza giovane già pesantemente indebitata. Ogni volta che esaurisce il plafond della carta di credito subito le viene offerto in prestito altro denaro. A giudizio dei genitori le banche che incoraggiano i giovani a prendere prestiti per acquistare, e poi altri prestiti per pagare gli interessi, sono corresponsabili delle sventure della figlia. 

C'era un vecchio aneddoto su due agenti di commercio che giravano l'Africa per conto dei rispettivi calzaturifici. Il primo inviò in ditta questo messaggio: inutile spedire scarpe , qui tutti vanno scalzi. Il secondo scrisse: richiedo spedizione immediata di due milioni di paia di scarpe, tutti qui vanno scalzi. La storiella mirava ad esaltare l'intuito imprenditoriale aggressivo, criticando la filosofia prevalente all'epoca secondo cui il commercio rispondeva ai bisogni esistenti e l'offerta seguiva l'andamento della domanda. Nel giro di qualche decennio la filosofia imprenditoriale si è completamente capovolta. Gli agenti di commercio che la pensano come il primo rappresentante sono rarissimi, se ancora esistono. La filosofia imprenditoriale vigente ribadisce che il commercio ha l'obiettivo di impedire che si soddisfino i bisogni, deve creare altri bisogni che esigano di essere soddisfatti e identifica il compito dell'offerta col creare domanda. Questa tesi si applica a qualsiasi prodotto, venga esso dalle fabbriche o dalle società finanziarie. La suddetta filosofia imprenditoriale si applica anche ai prestiti: l'offerta di un prestito deve creare e ingigantire il bisogno di indebitarsi. 

L'introduzione delle carte di credito è stata un segno premonitore. Le carte di credito erano state lanciate sul mercato con uno slogan rivelatore e straordinariamente seducente: "Perché aspettare per avere quello che vuoi?". Desideri una cosa ma non hai guadagnato abbastanza per pagarla? Beh, ai vecchi tempi, ora fortunatamente andati, si doveva procrastinare l'appagamento dei propri desideri: stringere la cinghia, negarsi altri diletti, essere prudenti e parchi nelle spese e depositare il denaro così racimolato su un libretto di risparmio nella speranza di riuscire, con la cura e la pazienza necessarie, ad accumularne abbastanza per poter realizzare i propri sogni. Grazie a Dio e al buon cuore delle banche non è più così! Con la carta di credito si può invertire l'ordine: prendi subito, paghi dopo. La carta di credito rende liberi di appagare i desideri a propria discrezione: avere le cose nel momento in cui le vuoi, non quando te le sei guadagnate e te le puoi permettere. 

Questa era la promessa, ma sotto c'era anche una nota in caratteri minuscoli, difficile da decifrare anche se facile da intuire in un momento di riflessione: quel perenne "dopo" ad un certo punto si trasformerà in "subito" e bisognerà ripagare il prestito. Il pagamento dei prestiti contratti per non aspettare e soddisfare subito i vecchi desideri, renderà difficilissimo soddisfarne di nuovi... Non pensare al "dopo", significò , come sempre, guai in vista. Si può smettere di pensare al futuro solo a proprio rischio e pericolo. Sicuramente il conto sarà salato. Più presto che tardi arriva la consapevolezza che allo sgradevole differimento dell'appagamento si è sostituito un breve differimento della vera terribile punizione per l'essere stati precipitosi. Ci si può togliere uno sfizio quando si vuole, ma anticipare il diletto non lo renderà più abbordabile... In ultima analisi, sarà differita solo la presa di coscienza della triste realtà. 

Per quanto nociva e dolorosa, questa non è l'unica nota in caratteri minuscoli sotto la promessa del "prendi subito, paga dopo". Per evitare di limitare ad un solo prestatore il profitto derivante dalle carte di credito e dai prestiti facili, il debito contratto doveva essere (e così è stato) trasformato in un bene che procuri profitto permanente. Non riesci a ripagare il tuo debito? Non preoccuparti: a differenza degli avidi prestatori di denaro vecchio stile, ansiosi di veder ripagate le somme prestate entro termini ben precisi e non differibili, noi prestatori di denaro moderni e disponibili non ti chiediamo indietro i nostri soldi, bensì ci offriamo di prestartene altri per pagare il vecchio debito e avere un po' di disponibilità (cioè di debito) in più per toglierti nuovi sfizi. Siamo le banche che dicono "sì", le banche disponibili, le banche col sorriso, come diceva una delle pubblicità più geniali. 

Quello che nessuno spot diceva apertamente, lasciando la verità ai cupi presagi del debitore, era che le banche prestatrici in realtà non volevano che i debitori pagassero i debiti. Se lo avessero fatto entro i termini non sarebbero stati più in debito, ma sono proprio i loro debiti (il relativo interesse mensile) che i moderni, disponibili (e geniali) prestatori di denaro hanno deciso, con successo, di riciclare come fonte prima del loro profitto costante, assicurato (e si spera garantito). I clienti che restituiscono puntualmente il denaro preso in prestito sono l'incubo dei prestatori. Le persone che si rifiutano di spendere denaro che non abbiano già guadagnato e si astengono dal prenderlo in prestito, non sono di alcuna utilità ai prestatori - perché sono quelli che (spinti dalla prudenza o da un senso antiquato dell'onore) si affrettano a ripagare i propri debiti alle scadenze. Una delle maggiori società di carte di credito presenti in Gran Bretagna ha suscitato pubbliche proteste (che certo avranno vita breve) nel momento in cui ha scoperto il suo gioco rifiutando il rinnovo delle carte ai clienti che pagavano ogni mese il loro intero debito, senza quindi incorrere in sanzioni finanziarie. 

L'odierna stretta creditizia non è risultato del fallimento delle banche. Al contrario, è il frutto del tutto prevedibile, anche se nel complesso inatteso, del loro straordinario successo: successo nel trasformare una enorme maggioranza di uomini e donne, vecchi e giovani, in una genìa di debitori. Perenni debitori, perché si è fatto sì che lo status di debitore si auto-perpetui e si continuino a offrire nuovi debiti come unico modo realistico per salvarsi da quelli già contratti. Entrare in questa condizione, ultimamente, è diventato facile quanto mai prima nella storia dell'uomo: uscirne non è mai stato così difficile. Tutti coloro che erano nelle condizioni di ricevere un prestito, e milioni di altri che non potevano e non dovevano essere allettati a chiederlo, sono già stati ammaliati e sedotti a indebitarsi. E proprio come la scomparsa di chi va a piedi nudi è un guaio per l'industria calzaturiera, così la scomparsa delle persone senza debiti è un disastro per l'industria dei prestiti. Quanto predetto da Rosa Luxemburg si è nuovamente avverato: comportandosi come un serpente che si mangia la coda il capitalismo è nuovamente arrivato pericolosamente vicino al suicidio involontario, riuscendo ad esaurire la scorta di nuove terre vergini da sfruttare... 

Negli Usa il debito medio delle famiglie è cresciuto negli ultimi otto anni - anni di apparente prosperità senza precedenti- del 22 per cento. L'ammontare totale dei prestiti su carta di credito non pagati è cresciuto del 15%. E , cosa forse più minacciosa, il debito complessivo degli studenti universitari, la futura élite politica, economica e spirituale della nazione, è raddoppiato. L'insegnamento dell'arte di "vivere indebitati", per sempre, è ormai inserito nei programmi scolastici nazionali... Si è arrivati a una situazione molto simile in Gran Bretagna. Il resto dei Paesi europei segue a non grande distacco. Il pianeta bancario è a corto di terre vergini avendo già sconsideratamente dedicato allo sfruttamento vaste estensioni di terreno sterile. 

La reazione finora, per quanto possa apparire imponente e addirittura rivoluzionaria per come emerge dai titoli dei media e dalle dichiarazioni dei politici, è stata la solita : il tentativo di ricapitalizzare i prestatori di denaro e di rendere i loro debitori nuovamente in grado di ricevere credito, così il business di prestare e prendere in prestito, dell'indebitarsi e mantenersi indebitato, potrebbe tornare alla "normalità". Il welfare state per i ricchi (che a differenza del suo omonimo per i poveri non è mai stato messo fuori servizio) è stato riportato in vetrina dopo essere stato temporaneamente relegato nel retrobottega per evitare invidiosi paragoni. Lo Stato ha nuovamente flesso in pubblico muscoli a lungo rimasti inattivi, stavolta al fine di proseguire il gioco che rende questo esercizio ingrato ma, abominevole a dirsi, inevitabile; un gioco che stranamente non sopporta che lo Stato fletta i muscoli, ma non può sopravvivere senza. 

Quello che si dimentica allegramente (e stoltamente) in quest'occasione è che l'uomo soffre a seconda di come vive. Le radici del dolore oggi lamentato, al pari delle radici di ogni male sociale, sono profondamente insite nel nostro modo di vivere: dipendono dalla nostra abitudine accuratamente coltivata e ormai profondamente radicata di ricorrere al credito al consumo ogni volta che si affronta un problema o si deve superare una difficoltà. Vivere a credito dà dipendenza come poche altre droghe, e decenni di abbondante disponibilità di una droga non possono che portare a uno shock e a un trauma quando la disponibilità cessa. Oggi ci viene proposta una via d'uscita apparentemente semplice dallo shock che affligge sia i tossicodipendenti che gli spacciatori: riprendere (con auspicabile regolarità) la fornitura di droga. 

Andare alle radici del problema non significa risolverlo all'istante. È però l'unica soluzione che possa rivelarsi adeguata all'enormità del problema e a sopravvivere alle intense, seppur relativamente brevi , sofferenze delle crisi di astinenza. 
(Traduzione di Emilia Benghi) 
da La Repubblica 8 ottobre 2008

C'era una volta il Paese dei sindaci



di Ilvo Diamanti

Oggi sono chiamati a votare oltre 9 milioni di elettori, intorno al 20% del totale. Per eleggere i sindaci di quasi mille comuni, di cui 157 sopra i 15 mila abitanti, compresi 26 capoluoghi di provincia. Potrebbe apparire una consultazione minore. Ma in Italia nessuna elezione lo è.

Perché tutte le elezioni - e soprattutto quelle comunali - servono a cogliere e a dare segnali circa il cambiamento sociale e politico. Una considerazione tanto più vera per questa scadenza. La prima consultazione dopo vent'anni di berlusconismo. Mentre il sistema partitico e il rapporto tra politica e società appaiono logori. Marcati da fratture molteplici.

Da questo appuntamento elettorale ci attendiamo indicazioni su quattro diverse questioni.

1. La prima fa riferimento alla tradizionale divisione tra partiti e schieramenti, emersa nella Seconda Repubblica. Centrodestra e centrosinistra, con il Centro, a sua volta, oscillante fra i due poli. All'elezione del 2007, quando vennero eletti gran parte dei sindaci e dei consigli oggi in scadenza, il centrosinistra subì un pesante arretramento. Nei comuni (superiori a 15 mila abitanti) dove si votava allora, governava in 80 comuni, venti più del centrodestra. Oggi, nell'Italia al voto, il rapporto è rovesciato. Il centrodestra amministra 95 comuni (di cui 12 leghisti), il centrosinistra 53. Da qui in poi, faccio riferimento ai dati dell'Osservatorio Elettorale LaPolis-Demos. ll risultato del 2007 annunciò - e accelerò - il profondo mutamento del clima d'opinione, che avrebbe condotto al governo Berlusconi e la Lega, un anno dopo. Non a caso, dopo quelle amministrative, sorge il Pd di Veltroni. Il progetto del partito unico o, comunque, dominante, del centrosinistra. Imitato dal Pdl di Berlusconi, a centrodestra.

Quella stagione è finita. Da un lato, il centrodestra non è più maggioranza. Lo dicono i sondaggi. Ma, soprattutto, lo hanno dimostrato le elezioni amministrative di un anno fa. Quando il centrosinistra ha vinto nelle principali città dove si è votato. Fra le altre: Milano, Napoli e Cagliari. Dove sono stati eletti sindaci espressi da forze diverse dal Pd. Da ciò la spinta, moltiplicata dai referendum, che ha contribuito alla crisi della maggioranza di centrodestra e alla caduta del governo Berlusconi. Alla fine del berlusconismo, in altri termini. E alla conseguente debolezza del Pdl ma anche del Pd. Incapaci di imporsi come soggetti dominanti dei due schieramenti.

2. Oggi, peraltro, insieme ai principali partiti, anche le alleanze di prima sono divenute fragili. Scardinate dal "montismo", che ha gestito il post-berlusconismo. Sostenuto da una maggioranza di governo che associa i tradizionali oppositori, Pd e Pdl, insieme al Terzo polo. Mentre gli alleati di prima oggi stanno all'opposizione. Ciò si riflette sulle coalizioni che si presentano nei comuni. Ma solo in parte. La Lega, coerentemente con l'attuale (op)posizione, si presenta da sola quasi dovunque. Ma gli esempi di "Grande coalizione" sono solo un paio. Mentre il Pdl appare disorientato. Si presenta da solo, talora insieme all'Udc. Spesso diviso in diverse liste. L'Udc stessa, peraltro, si presenta autonomamente in circa 70 Comuni, mentre nei rimanenti si divide equamente fra il Pd o il Pdl. Il Pd, in circa 90 Comuni, riunisce tutte le forze di centrosinistra nella stessa coalizione - allargata in 20 casi all'Udc. Ma in molti Comuni si presenta diviso da almeno uno degli altri partiti di sinistra. Come a Palermo. Ma in altri 20 Comuni è alleato all'Udc, in competizione con Sel e/o l'Idv. Questa consultazione diventa, quindi, un'occasione per testare la tenuta dei partiti, ma anche delle coalizioni prevalenti. O, forse, per avere conferma della frammentazione partitica e della scomposizione delle alleanze, in atto.

3. La terza questione riguarda la frattura fra partiti e società, riassunta, un po' semplicisticamente, nella formula dell'antipolitica. È sottolineata dal moltiplicarsi delle "liste civiche", utilizzate, spesso, per mascherare i partiti, oltre che per proporre formazioni effettivamente autonome e locali. Non-partitiche. Nei Comuni con oltre 15 mila abitanti al voto, infatti, si presentano 2.636 liste - in media, quasi 17 per Comune - e 991 candidati sindaci - oltre sei per Comune. In queste elezioni amministrative scende in campo anche il Movimento 5 Stelle, di Beppe Grillo. Soggetto politico che ha coltivato la protesta antipartitica. Accreditato, dai sondaggi, di un grande risultato, si presenta in poco meno della metà dei Comuni maggiori e in 20 dei 26 capoluoghi. Quasi dovunque corre da solo. Contro tutti.

Ma questa consultazione costituisce una verifica particolarmente importante anche per la Lega. Esprime i sindaci di 12 Comuni con oltre 15 mila abitanti - di molti altri più piccoli - tra quelli dove si vota. Era il principale imprenditore politico del malessere contro lo Stato centrale e contro il sistema dei partiti. Fino a ieri. Occorrerà verificare se gli scandali e le divisioni interne degli ultimi mesi ne abbiano intaccato la credibilità e il radicamento.

4. L'ultima questione riguarda i protagonisti della consultazione. I sindaci. Quasi vent'anni fa, nel 1993, la legge sull'elezione diretta li rese artefici della stagione seguente alla caduta della Prima Repubblica. Interpreti della domanda di autonomia del territorio e della società. Capaci di compensare il crollo di legittimità dello Stato e del sistema politica presso i cittadini. Vent'anni dopo, però, essi si ritrovano soli. Perlopiù sopportati - quanto poco "supportati" - dai partiti. Che li hanno sempre considerati un ostacolo alle proprie logiche oligarchiche e centraliste. I sindaci. Dagli anni Novanta in poi, hanno rivendicato e ottenuto competenze e responsabilità. Ma dispongono di risorse scarse e di poteri inadeguati. Oltre che in costante declino. Berlusconi e la Lega, negli ultimi dieci anni, hanno esibito un "federalismo a parole". Il governo tecnico, legittimato - e spinto - dall'emergenza e dai mercati, non finge neppure di valorizzare il ruolo delle autonomie locali e dei sindaci. Ai quali viene, invece, chiesto di trasformarsi da "attori" a "esattori". Ammortizzatori del dissenso. Addetti a riscuotere tasse impopolari - e a ricucire il rapporto con la società - per conto terzi. Con l'esito di vedersi delegittimati: dallo Stato e dai cittadini.

Da ciò il duplice rischio. Che questa elezione non indichi solo una svolta politica o antipolitica. Ma segni - anche e soprattutto - la fine della "Repubblica dei Sindaci".

da La Repubblica 06 maggio 2012