"Diario" di Don Olivo Bolzon
Pochi anni prima della contestazione giovanile del secolo scorso, e precisamente nel 1964, un prete trevigiano di 32 anni si ritrovò a girare per le strade della città tedesca di Colonia, indossando una divisa e lavorando come spazzino: aveva già nove anni di "messa" sulle spalle e conosceva bene il mondo dell'emigrazione italiana, soprattutto in Belgio, ma volle comunque fare quell'esperienza che gli rivelò come fosse alienante, duro, monotono e senza alcuna prospettiva per il futuro, il lavoro dei nostri emigranti all'estero.
Quell'esperienza è stata ora raccolta in un volume e l'autore è don Olivo Bolzon ("Diario", Ogm editore 2007, isbn 978-88-95500-01-0, pp. 80, euro 8,00) che in tal modo offre ai suoi lettori, soprattutto a quelli delle nuove generazioni, l'immagine di una Chiesa che sa stare accanto agli ultimi. Un'esigenza, questa, che per l'Autore è fondamentale quando, ad esempio, scrive: "Ho il desiderio ardente che la Chiesa si accorga dei poveri e per questo vorrei stare con essi, anche se la vita qui è dura, terribilmente dura, banale, monotona, triste, inutile. Alle volte ho il dubbio di star facendo qualcosa di assolutamente inutile, stupido e vorrei che qualcuno mi parlasse. Ma per questo non potrò avere che silenzio e ancora silenzio. Mi sento veramente solo".
Quelle del "Diario" di don Olivo Bolzon, ora parroco emerito di San Floriano, sono pagine che fanno riflettere, così come riconosce il sindaco di Castelfranco Veneto, Maria Gomierato, che nella presentazione al volume ha sottolineato come don Olivo abbia fatto una scelta difficile, quella di "andare e predicare il Vangelo a tutte le creature" che abitano nella terra lontano "dentro" l'uomo, e continua: "Nel terzo millennio infatti l'uomo, che vive straordinarie opportunità, rischia lo spaesamento, provato com'è da continue sollecitazioni a vivere il suo presente secondo le mode, i "last-minute", la competizione esasperata, l'apparire piuttosto che l'essere... Qui e ora c'è bisogno di testimonianze credibili, c'è bisogno di un libro come questo, dove don Olivo ci obbliga a fermarci un po', a riflettere, a porci di nuovo gli interrogativi più profondi, quelli che fanno emergere i valori che danno senso alla nostra esistenza, valori cristiani ma anche profondamente umani". (Carlo Silvano, carlo.silvano@poste.it)
Il volume è disponibile presso la libreria di Danilo Zanetti di Montebelluna, Libreria Costeniero di Castelfranco e presso ed. Tredieci di Ponzano Veneto (tel. 0422 440031; fax 0422 963835); altre informazioni si possono richiedere inviando una e mail a centrostudipaoli@libero.it.
Memoria di realtà intraviste
Storia di vita di un prete e sette senegalesi
E’ forse l’ultimo prete che ancora lavora, occupandosi sia della rilegatura che della riparazione di libri. Si chiama don Claudio Miglioranza e vive in una vecchia casa di contadini in un silenzioso e remoto angolo della campagna che circonda Castelfranco Veneto. Con lui abitano sette senegalesi di fede islamica: vivono insieme da anni ma di loro don Claudio sa ben poco.
La storia di don Claudio Miglioranza, una vita sacerdotale spesa soprattutto tra i poveri dell’America latina, è stata ora raccolta dalla giornalista Giulia Cananzi per essere pubblicata - insieme alle testimonianze di altri preti della diocesi di Treviso - nel libro curato da don Olivo Bolzon e Marisa Restello intitolato “Memorie di realtà intraviste” (Ogm editore 2008, pp. 112, euro 10.00).
Seguendo l’esempio di altri suoi compaesani, don Claudio entra in Seminario 1954. «Se mi giro indietro - racconta don Claudio - mi faccio tenerezza da solo perché mi vedo imbranato, senza infamia e senza lode. Non ho mai coltivato virtù eroiche ma neanche eccessiva trasgressività. Credo che la mediocrità mi abbia salvato dalla rigida disciplina del Seminario, dove si dava il voto anche sulla “diligenza” e sul “passeggio”. Al liceo non mi si chiarificava la vocazione. Mi spremevo nevroticamente il cervello e l’anima davanti al Santissimo: “Signore cosa vuoi da me?”. Ma niente. La risposta non mi è venuta da dentro, come io mi aspettavo, ma da fuori. Non è venuta per me ma per il mondo. È stata la mia rivoluzione copernicana. Uno shock, un’illuminazione. La Chiesa non era più solo Treviso ma era quella universale. Il grande Concilio Vaticano II mi ha investito come un fiume in piena. Non era più possibile amare Dio senza amare l’uomo».
Dopo gli studi presso il Seminario di Treviso, don Claudio passa al Seminario teologico per l’America Latina di Verona per poi, nel 1970, partire per l’Argentina.
«L’Argentina - riprende don Claudio - mi ha sconvolto la vita. Non era solo la povertà che ti provocava, era l’ingiustizia fatta sistema. Ho vissuto tutta la dittatura militare, fino a Videla. Ero andato a vivere in una villa miseria, una baraccopoli, dal nome ameno “Jardin”, cioè giardino. Non c’era solo povertà, c’era paura, incertezza, tensione. La guerriglia bruciava sotto la cenere, mentre le autorità vivevano con lo spettro del comunismo».
Nel 1976 don Claudio e tornato in Italia e a Castelfranco Veneto si è confrontato con un gruppo di preti che si incontrava ogni settimana per portare avanti un lavoro in comune. Un’esperienza molto forte. Dal 1978 don Claudio vive in affitto nella casa colonica: all’inizio insieme a giovani che avevano problemi con la droga, in seguito con i senegalesi. «Avevo il pallino dello scambio culturale - spiega don Claudio riferendosi alla sua scelta di ospitare dei lavoratori provenienti da un altro continente e appartenenti ad un’altra fede - ma loro avevano semplicemente bisogno di un tetto e di un lavoro. Io volevo parlare, loro per cultura stanno zitti. E poi c’è l’ostacolo enorme della lingua. La nostra convivenza si basa sul condividere le spese e sul vivere assieme. Da loro ho imparato che si può comunicare anche col silenzio».
La testimonianza di don Claudio raccolta nel volume “Memorie di realtà intraviste” è una chiara testimonianza di una scelta di vita intesa come dono. Dono ricevuto e a sua volta restituito, nella convinzione che non sono gli insegnamenti teorici né le prediche moralistiche a cambiare la società. Ed è una testimonianza importante soprattutto ora che è finito il tempo in cui si diventava cristiani per nascita: il problema oggi è che essere cristiano è frutto di una scelta che deve avvenire con dei percorsi consapevoli. La sfida è che l’evangelizzazione non sia un insegnamento illuministico, fatto di idee, ma che sia un radicamento sempre più profondo in Dio, nel Vangelo di Gesù Cristo e nel bene delle persone. E in questa direzione la testimonianza di vita di don Claudio rappresenta un prezioso sostegno.
Pochi anni prima della contestazione giovanile del secolo scorso, e precisamente nel 1964, un prete trevigiano di 32 anni si ritrovò a girare per le strade della città tedesca di Colonia, indossando una divisa e lavorando come spazzino: aveva già nove anni di "messa" sulle spalle e conosceva bene il mondo dell'emigrazione italiana, soprattutto in Belgio, ma volle comunque fare quell'esperienza che gli rivelò come fosse alienante, duro, monotono e senza alcuna prospettiva per il futuro, il lavoro dei nostri emigranti all'estero.
Quell'esperienza è stata ora raccolta in un volume e l'autore è don Olivo Bolzon ("Diario", Ogm editore 2007, isbn 978-88-95500-01-0, pp. 80, euro 8,00) che in tal modo offre ai suoi lettori, soprattutto a quelli delle nuove generazioni, l'immagine di una Chiesa che sa stare accanto agli ultimi. Un'esigenza, questa, che per l'Autore è fondamentale quando, ad esempio, scrive: "Ho il desiderio ardente che la Chiesa si accorga dei poveri e per questo vorrei stare con essi, anche se la vita qui è dura, terribilmente dura, banale, monotona, triste, inutile. Alle volte ho il dubbio di star facendo qualcosa di assolutamente inutile, stupido e vorrei che qualcuno mi parlasse. Ma per questo non potrò avere che silenzio e ancora silenzio. Mi sento veramente solo".
Quelle del "Diario" di don Olivo Bolzon, ora parroco emerito di San Floriano, sono pagine che fanno riflettere, così come riconosce il sindaco di Castelfranco Veneto, Maria Gomierato, che nella presentazione al volume ha sottolineato come don Olivo abbia fatto una scelta difficile, quella di "andare e predicare il Vangelo a tutte le creature" che abitano nella terra lontano "dentro" l'uomo, e continua: "Nel terzo millennio infatti l'uomo, che vive straordinarie opportunità, rischia lo spaesamento, provato com'è da continue sollecitazioni a vivere il suo presente secondo le mode, i "last-minute", la competizione esasperata, l'apparire piuttosto che l'essere... Qui e ora c'è bisogno di testimonianze credibili, c'è bisogno di un libro come questo, dove don Olivo ci obbliga a fermarci un po', a riflettere, a porci di nuovo gli interrogativi più profondi, quelli che fanno emergere i valori che danno senso alla nostra esistenza, valori cristiani ma anche profondamente umani". (Carlo Silvano, carlo.silvano@poste.it)
Il volume è disponibile presso la libreria di Danilo Zanetti di Montebelluna, Libreria Costeniero di Castelfranco e presso ed. Tredieci di Ponzano Veneto (tel. 0422 440031; fax 0422 963835); altre informazioni si possono richiedere inviando una e mail a centrostudipaoli@libero.it.
Memoria di realtà intraviste
Storia di vita di un prete e sette senegalesi
E’ forse l’ultimo prete che ancora lavora, occupandosi sia della rilegatura che della riparazione di libri. Si chiama don Claudio Miglioranza e vive in una vecchia casa di contadini in un silenzioso e remoto angolo della campagna che circonda Castelfranco Veneto. Con lui abitano sette senegalesi di fede islamica: vivono insieme da anni ma di loro don Claudio sa ben poco.
La storia di don Claudio Miglioranza, una vita sacerdotale spesa soprattutto tra i poveri dell’America latina, è stata ora raccolta dalla giornalista Giulia Cananzi per essere pubblicata - insieme alle testimonianze di altri preti della diocesi di Treviso - nel libro curato da don Olivo Bolzon e Marisa Restello intitolato “Memorie di realtà intraviste” (Ogm editore 2008, pp. 112, euro 10.00).
Seguendo l’esempio di altri suoi compaesani, don Claudio entra in Seminario 1954. «Se mi giro indietro - racconta don Claudio - mi faccio tenerezza da solo perché mi vedo imbranato, senza infamia e senza lode. Non ho mai coltivato virtù eroiche ma neanche eccessiva trasgressività. Credo che la mediocrità mi abbia salvato dalla rigida disciplina del Seminario, dove si dava il voto anche sulla “diligenza” e sul “passeggio”. Al liceo non mi si chiarificava la vocazione. Mi spremevo nevroticamente il cervello e l’anima davanti al Santissimo: “Signore cosa vuoi da me?”. Ma niente. La risposta non mi è venuta da dentro, come io mi aspettavo, ma da fuori. Non è venuta per me ma per il mondo. È stata la mia rivoluzione copernicana. Uno shock, un’illuminazione. La Chiesa non era più solo Treviso ma era quella universale. Il grande Concilio Vaticano II mi ha investito come un fiume in piena. Non era più possibile amare Dio senza amare l’uomo».
Dopo gli studi presso il Seminario di Treviso, don Claudio passa al Seminario teologico per l’America Latina di Verona per poi, nel 1970, partire per l’Argentina.
«L’Argentina - riprende don Claudio - mi ha sconvolto la vita. Non era solo la povertà che ti provocava, era l’ingiustizia fatta sistema. Ho vissuto tutta la dittatura militare, fino a Videla. Ero andato a vivere in una villa miseria, una baraccopoli, dal nome ameno “Jardin”, cioè giardino. Non c’era solo povertà, c’era paura, incertezza, tensione. La guerriglia bruciava sotto la cenere, mentre le autorità vivevano con lo spettro del comunismo».
Nel 1976 don Claudio e tornato in Italia e a Castelfranco Veneto si è confrontato con un gruppo di preti che si incontrava ogni settimana per portare avanti un lavoro in comune. Un’esperienza molto forte. Dal 1978 don Claudio vive in affitto nella casa colonica: all’inizio insieme a giovani che avevano problemi con la droga, in seguito con i senegalesi. «Avevo il pallino dello scambio culturale - spiega don Claudio riferendosi alla sua scelta di ospitare dei lavoratori provenienti da un altro continente e appartenenti ad un’altra fede - ma loro avevano semplicemente bisogno di un tetto e di un lavoro. Io volevo parlare, loro per cultura stanno zitti. E poi c’è l’ostacolo enorme della lingua. La nostra convivenza si basa sul condividere le spese e sul vivere assieme. Da loro ho imparato che si può comunicare anche col silenzio».
La testimonianza di don Claudio raccolta nel volume “Memorie di realtà intraviste” è una chiara testimonianza di una scelta di vita intesa come dono. Dono ricevuto e a sua volta restituito, nella convinzione che non sono gli insegnamenti teorici né le prediche moralistiche a cambiare la società. Ed è una testimonianza importante soprattutto ora che è finito il tempo in cui si diventava cristiani per nascita: il problema oggi è che essere cristiano è frutto di una scelta che deve avvenire con dei percorsi consapevoli. La sfida è che l’evangelizzazione non sia un insegnamento illuministico, fatto di idee, ma che sia un radicamento sempre più profondo in Dio, nel Vangelo di Gesù Cristo e nel bene delle persone. E in questa direzione la testimonianza di vita di don Claudio rappresenta un prezioso sostegno.
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