Cara Settimana,
mi porto dentro un magone che davvero turba e spesso rattrista le mie giornate: certe gravi carenze - a me sembrano tali - della chiesa come isti-tuzione umana. La vorrei più povera, meno trionfalista. Mi disturbano queste vesti paonazze, rosse, dorate che svolazzano, guardie svizzere, gentiluomini di sua santità in cerimonie imponenti, grandiose, costose, così lontane dalle nudità di Cristo in croce e dalla nudità dei tanti crocifissi della terra. E poi tutti quei titoli altisonanti: "santità" - "eminenza" - "eccellenza" - "monsignore"...
Tanto che mi sto domandando se le due grosse umiliazioni che ultimamente, come chiesa, abbiamo sofferto: la diffusione della pedofilia fra tanti preti e lo scandalo delle finanze vaticane denunciato e puntigliosamente documentato da un recente volume -diffuso da tempo in migliaia di copie e mai contraddetto autorevolmente -non siano un richiamo che Dio rivolge alla sua chiesa perché ritorni, per quanto oggi possibile, alla sua nativa semplicità. Prego tanto, tanto spesso perché si converta. Anche perché ho ben presente una osservazione fattami in questi giorni: «Voi parlate dei lontani. Ma dovreste chiedervi se sono lontani da Dio o lontani da questa chiesa».
E vero, possediamo la verità che il Cristo ci ha rivelato. Ma non abbiamo finito di scoprirla fino in fondo; a volte l'abbiamo anche gravemente fraintesa. Dobbiamo quindi - noi preti, vescovi, papi - restare discepoli, in vero ascolto, lasciandoci insegnare anche dal mondo, cercando di discernere i segni dei tempi e quindi anche queste nuove culture che sembrano tutte e sempre dissacranti e che invece alle volte sono, possono essere, "semina Verbi". Il concilio l'aveva scritto.
E poi abbiamo ancora un clericalismo e un gerarchismo dominanti e invasivi che continuano ad occupare presuntuosamente competenze tipicamente laicali. Anche questo il concilio l'aveva detto.
Lo stesso primato di Piero - se vogliamo davvero l'ecumenismo che stava tanto a cuore al Cristo fino a quell'ultima sera - aspetta con crescente urgenza di essere ripensato e ridimensionato. Papa Giovanni Paolo II lo aveva promesso. La sinodalità, la collegialità fra papa e vescovi fanno parte del DNA della chiesa che Cristo voleva.
Ancora: mi domando, di conseguenza, se davvero continua ad esserci bisogno di disseminare dovunque il supercontrollo dei nunzi pontifici sulle conferenze episcopali del mondo, continuando un accentramento di potere che non pare fosse nel disegno di Cristo quando volle il "collegio apostolico".
E tanti altri problemi che stanno creando un disagio diffuso, sofferto dentro la chiesa, anche se qualche autentico "profeta" cerca ogni tanto di trasmettere certe attese di Dio e forse anche di tanti cosiddetti "lontani". Cercando almeno di attuare quanto il con-cilio aveva detto. Ma mi domando: dove sono i profeti fra i nostri vescovi?
Enzo Bianchi parlava qualche anno fa di "pavidità ecclesiale"; forse è questa la causa che sembra paralizzare le nostre stesse conferenze episcopali? Lo so; è una domanda tanto impertinente, ma nella mia intenzione è amore per la chiesa di un ormai vecchio prete e speranza che anche il crescente disagio intraecclesiale possa esprimersi.
Come scrive Enzo Bianchi: «Non è credibile una chiesa che si dice in dialogo con gli uomini non credenti e con le religioni, ma non è capace di suscitare in sé dibattiti, confronti seri nella libertà e nell'accoglienza reciproca. Perché ogni cristiano che coltivi la pro-pria appartenenza a Cristo attraverso l'inserimento nell'esperienza orante ed ecclesiale è autorizzato a parlare con la necessaria franchezza nella comunità: il dialogo fra cristiani e non cristiani richiede dunque franchezza e umiltà anche all'interno della stessa communitas» (Per un'etica condivisa, p. 121).
Dio illumini i nostri vescovi e faccia nascere profeti anche fra loro.
don Fernando Pavanello (91 anni) Breda di Piave (TV)
da settimana/26 settembre 2010/n. 34
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