venerdì 7 dicembre 2007

Degrado morale, indignazione profetica e cattolicesimo italiano

Intervento / don Giorgio Morlin*

"Rivoltatela come vi pare, prima viene lo stomaco, poi viene la morale!". Questa cita­zione di Brecht, che intende rappresentare cinicamente il modello oggi vincente di società, m'introduce ad alcune riflessioni personali, in riferimento anche ai compiti di magistero etico che la Chiesa è chiamata a svolgere in una fase storica in cui la società italiana, da un punto di vista culturale oltre che politico, sembra aver perso alcuni valori di fondo che costituirono essenziali punti di riferimento negli anni della nascita della democrazia in Italia, subito dopo l'esperienza tragica del fascismo e della guerra.

Durante questa estate, un libro di grande successo, "La Casta", ha registrato 26 edizioni in pochi mesi con più di un milione di copie vendute. In questo bestseller si compie un'analisi spietata e documentata sul ceto politico italiano, di destra e di sinistra sia a livello nazionale che periferico. Sono pagine amare che lasciano un senso di sgomento e di sconfitta rispetto ad un'oligarchia diventata arrogante e insaziabile, proprio come una "casta" privilegiata, appunto. "Che futuro può avere un Paese così?" sì chiedono indignati gli autori dell'inchiesta. Indignati come do­vrebbero indignarsi i cittadini italiani nei confronti di molti "servitori della polis" che, a circa 15.000 euro al mese, si sono appropriati di una funzione pubblica, peraltro necessaria, trasformandola però in una condizione di effettivo privilegio per una élite esclusiva.

Al di là di una facile demagogia su un tema tanto cruciale da rischiare di portarci a pericolose forme di antipolitica, vorrei proporre una mia riflessione sulla diffusa si­tuazione sociale ed etica che affligge il nostro Paese, a partire soprattutto dai compiti della Chiesa nei confronti di una situazione nazionale dove, da un certo numero di anni a questa parte, sembra essersi introdotto un "virus" che ha contagiato, in alto e in basso, una parte consistente di società italiana. Dalla cosiddetta "Calciopoli" (un sistema fraudolento messo in piedi da un certo Luciano Moggi e dalla sua banda a danno del calcio italiano!) alla cosiddetta "Vallettopoli"(il mondo effìmero dello spettacolo e della TV inquinato dalla cocaina e dalla prostituzione!), dai "furbetti del quartierino" alla scalata di grandi istituti bancari, in deleteria sinergia tra grandi immobiliaristi e alcuni politici, anche purtroppo di sinistra! A maggio 2007 è uscito un altro libro del giornalista Oliviero Beha dal significativo titolo "Italiopoli", quasi a indicare un paese, l'Italia, che sembra andare sempre più alla deriva. È un viaggio della mente e del cuore per denunciare una società italiana malata e per richiamare la necessità d'indispensabili "anticorpi per una nuova resistenza" in una stagione di decadenza etica - culturale da basso impero. Nel libro si parla di una marea montante che dilaga ovunque e che ha la sua spinta propulsiva in un modello culturale dove il profitto sfrenato diventa l'unica direzione di marcia per tutti, dai capi ai sudditi. E una melma vischiosa che rende invivibile questo Paese e dentro la quale stiamo len­tamente sprofondando. Ciò avviene mentre metà degli italiani faticano dalla mattina alla sera per pagare fino all'ultimo euro quelle tasse che l'altra metà rifiuta di pagare. È uno scivolamento verso l'illegalità di massa di fronte alla quale alcuni plaudono e altri s'infuriano. E la Chiesa, in merito a questo sconquasso etico collettivo che ha superato le soglie dell'emergenza, rimane inspiegabilmente muta, assorta in un religioso e prolungato silenzio inframmezzato da interventi sulla crisi della famiglia o sulla scuola privata o sulla messa in latino. I nuovi movimenti di massa apparsi sullo scenario nazionale dell'ultimo quindicennio, come il leghismo e il berlusconismo, sono stati i contenitori politici dove ha trovato feconda incubazione un processo culturale di esasperato neoliberismo individualista, veicolato e metabolizzato non solo dentro le istituzioni pubbliche ma anche, grazie all'invadenza omologante di una TV a servizio del padrone di turno, dentro le teste degli italiani. Tale modello, oggi imperante e vincente su tutti i fronti, sembra essersi trasformato purtroppo in una specie di nuovo identikit antropologico nazionale, ben consolidato dall'assuefazione e dall'indifferenza, dall'appiattimento morale e dall'omologazione culturale, da una religiosità di pura cornice e da una Chiesa italiana più politica che profetica. Rileggendo l'Antico Testamento si nota che la profezia biblica è nata molto spes­so impastandosi con la quotidianità dell'esistenza e con i problemi della "polis", nell'impegno ad offrire speranze e cammini nuovi per il popolo ebraico angariato dai vari poteri. Nei profeti si possono cogliere alcune prevalenti caratteristiche: la passione per l'uomo, la forza dell'indignazione, la difesa a oltranza dell'orfano, della vedova e dello straniero, l'amore per la giustizia e per la pace, la denuncia spietata dell'ipocrisia religiosa e della corruzione politica.

Sono molteplici le invettive con l'intento di smascherare comportamenti individuali e collettivi che offendono Dio e l'uomo. Sono richiami morali molto forti contro i legislatori che fanno leggi inique (Isaia 10, 1) e i commercianti che imbrogliano (Amos 8, 4-6), contro gli arricchiti a danno dei poveri (Geremia 22, 13-17) e coloro che frodano il salario al lavoratore (Malachia 3, 5), contro i prepotenti (Giobbe 24, 2-12) e chi non pratica la giustizia (Isaia 1, 16-20), contro chi opprime il povero (Proverbi 22, e chi maltratta lo straniero (Esodo 22, 20), contro chi fa usura (Levitieo 25, 35-37) e chi dice il falso (Levitieo 19, 12), contro i ricchi che comprano i giudici (Proverbi 17, e chi agisce con avarizia (Siracide 8, 2), ecc.

È una sequela travolgente di "-guai a voi!" che risuona impetuosa nelle pagine del libro sacro dove l'annuncio-denuncia viene storicizzato dentro un preciso contesto di situazioni culturali e geografiche, politiche e sociali, economiche e religiose. Non ci sono scontati e innocui richiami moralistici dispensati da pulpiti evanescenti ma precise accuse dove sono chiamati per nome i misfatti che deturpano l'immagine di Dio impressa sul volto dell'uomo.

Nella bibbia, infatti, l'esperienza religiosa è sempre stata vissuta all'interno di un binomio che è vitale per il credente: cielo e terra, Dio e uomo, fede e storia. E da uno sguardo di "com-passione" sulle ferite dell'uomo, quindi, che nasce l'indigna­zione profetica. Questa non si esprime affatto con un comportamento aggressivo e violento verso una persona in particolare ma piuttosto manifesta la sofferenza intima, viscerale e gridata per lo scempio arrecato al povero e all'orfano, alla "polis" defraudata e al bene comune calpestato. L'indignazione è un sentimento in cui "le viscere" - per usare una ricorrente metafora biblica - si contorcono nello sdegno e urlano con forza: "-Basta!". Basta al degrado civile e al sopruso del forte sul debo­le, basta al potente che si fa leggi di comodo, basta alla depenalizzazione sul falso in bilancio che mina in radice il comune senso della legalità oltre che del pudore, basta ai cosiddetti "atei devoti"che si servono delle Chiese e basta alle Chiese che si servono degli "atei devoti".

Nel libro del profeta Isaia si sente ripetere il grido del passante che alza lo sguardo verso la sentinella sulle mura della città: "Sentinella, quando finisce la notte? Dim­mi, quanto manca all'alba?" (Isaia 21,11). A chi oggi noi possiamo rivolgere questa domanda? Chi autorevolmente e profeticamente è in grado di darci una risposta di speranza? Come vorremmo fosse la Chiesa quella sentinella che, in nome di Dio e dell'uomo e vigilando attentamente dentro la storia, potesse offrirci spiragli di coraggio e di luce!

Come vorremmo fosse l'istituzione ecclesiale, definita mater et magistra da Giovanni XXIII, a sostenere con una mano il cammino faticoso degli uomini {mater) e, con l'altra mano, additare profeticamente il traguardo ideale {magistra). Maternità e magisterialità, quindi, come duplice missione orientata sempre a favore dell'uomo. Però, la Chiesa italiana, con i suoi complessivi 991 milioni di uro che riceverà dallo Stato nel corso del 2007 in base al gettito derivante dall'8 per mille dell'irpef, ha credibilità sufficiente per fungere da "sentinella" che vigila e che indica l'alba dopo il buio della notte? E in grado di proporsi non tanto come forza sociale proiettata ad ottenere la massima rilevanza pubblica ma piuttosto come sale e lievito dentro la storia? E in grado di affermare con forza il motto di don Milani "I care!", cioè "m'interessa e mi sta a cuore la sorte del Paese!"?... Per essere precisi, la Chiesa ita­liana ha già espresso nel recente passato un'attenzione preoccupata per le sorti della società italiana in un magistrale documento in cui si può leggere che "Fino a quando non prenderemo atto del dramma di chi ancora chiede il riconoscimento effettivo della propria persona e della propria famiglia, non metteremo le premesse necessarie ad un nuovo cambiamento sociale". Allora, nel 1981, questo documento fu accolto con grande speranza.

Oggi la situazione culturale ed ecclesiale è radicalmente cambiata. Si registra un cattolicesimo italiano mediaticamente e politicamente imponente ma profeticamente fragilissimo. E un cattolicesimo, ad esempio, che, il 12 maggio 2007, riesce a radu­nare un milione d'italiani per il "Family day" a Roma ad affermare con forza: "No ai DICO!"ma che non riesce a mobilitare nemmeno qualche migliaio di cittadini credenti, nelle piazze di Palermo o di Napoli o di Milano o di Venezia, per procla­mare, con altrettanta forza, "No alla mafia!".

Un cattolicesimo nazionale che è richiamato dall'autorità ecclesiastica, giustamente ma anche ossessivamente, all'osservanza del VI° comandamento {non commettere adulterio: quindi, no alle coppie di fatto!) ma che, allo stesso tempo, in merito ai due comandamenti contigui nell'elenco del decalogo, brilla per il suo grande silen­zio: ad esempio sul V° {non uccidere": quindi, no alla guerra, no alla mafia, no alla camorra...) e sul VIP {non rubare: quindi, no all'evasione fiscale, no alla cultura dell'illegalità...). Si verificano situazioni, paradossali e ridicole allo stesso tempo, in cui, ad esempio, i quattro principali leaders politici del centrodestra (Berlusconi' Bossi, Casini, Fini) che si dichiarano pubblicamente cattolici molto ossequienti al papa e strenui difensori della sacralità del matrimonio monogamico, in realtà risul­tano tutti e quattro divorziati.

Una cultura cattolica come questa, chiaramente strumentale e schizofrenica, spegne la speranza e la profezia. È una schizofrenia, comunque, che si registra in molti ambiti della vita civile e religiosa. Da un punto di vista strettamente religioso e popolare, il mondo cattolico, mentre riesce ogni anno a portare da ogni parte d'Italia circa 6 milioni di pellegrini alla tomba di Padre Pio a San Giovanni Rotondo, non solo è incapace a mobilitarsi ma anche incapace ad esprimere un minimo di ribellione morale quando, ad esempio, i servitori della giustizia (come i giudici Costa, Chinnici, Livatino, Falcone, Borsellino, ecc..) sono ammazzati dalla mafia o dalla camorra o dall'ndrangheta. E uno strazio devastante che si abbatte con furia non solo sulla vita dei cittadini ma anche sulla vita della natura stessa attraverso gli incendi dolosi a ripetizione, mirati masochisticamente all'autodistruzione ecologica, economica e urbana delle meravigliose terre del sud.

Tutto questo, tra l'altro, accade con l'omertà colpevole di quelle popolazioni locali, che magari poi sono anche molto devote nel recitare il rosario davanti alle statue di Padre Pio disseminate a migliaia nelle piazze e contrade di città e paesi del meridione, e non solo. Una religiosità come questa è fuori dalla storia e dal vangelo. Anzi, sarà proprio alla storia e al vangelo che, non so come e quando, saremo tutti chiamati come Chiesa a renderne conto. A proposito del giudice Rosario Livatino, ammaz­zato a 38 anni di età nel 1990, lo stesso papa Giovanni Paolo II, durante il famoso anatema contro la mafia ad Agrigento del 1993, ebbe a dire che quel giudice "è stato un martire della giustizia e indirettamente della fede!". Però, al grido profetico e solitario del papa, fece seguito, come sempre, il silenzio imbarazzante di vescovi, preti e popolo, non solo nella Chiesa siciliana ma anche in quella italiana. L'indignazione profetica del cristiano è un atteggiamento che, supportato da una profonda fedeltà a Dio e all'uomo, nasce come forte reazione morale per la dignità offesa della singola persona o del popolo e per l'ipocrisia che copre indecorosamente una diffusa prassi d'immoralità collettiva che grida vendetta a Dio e all'uomo. Un atteggiamento come quello dell'indignazione profetica non s'improvvisa ma va alimentato e fatto crescere attorno ad alcuni fondamentali valori etici che riguardano non solo la vita morale individuale ma anche quella della società civile. Assieme alla famiglia e alla scuola, anche la Chiesa, con la sua capillare ramificazione territoriale delle parrocchie, deve sentirsi destinataria di questo essenziale compito educativo. Da qui, la necessità di un indispensabile magistero etico che miri alla crescita delle singole coscienze e delle comunità ecclesiali perchè siano in grado di farsi "prossimo" alla u polis" e ai suoi bisogni primari.

Naturalmente, tutto questo deve avvenire in un'ottica di laicità, senza alcuna pretesa di accaparramento confessionale ma solo dentro un autentico spirito di servizio alla società civile, in un rapporto disinteressato senza altri fini che non siano quelli, appunto, della dignità dell'uomo e del bene comune. È stato ancora don Lorenzo Milani a ripetere instancabilmente che "bisogna servire l'uomo e non servirsene". Nell'importante e già citato documento GEI del 1981 si legge che "// Paese non crescerà, se non insieme. Ha bisogno di ritrovare il senso autentico dello Stato, della cosa comune, del progetto per il futuro".

Tuttavia, i documenti della Chiesa, che certamente sono numerosissimi e anche importanti, oggi non sono più sufficienti per dare credibilità ad un'azione ecclesiale che voglia mettersi in dialogo con il mondo, al cui servizio la Chiesa stessa è stata posta dal Vaticano IL II teologo della liberazione, il belga brasiliano José Comblin, a tale proposito scrive che l'istituzione fondata da Cristo è chiamata oggi ad esprimere la sua testimonianza evangelizzatrice "non più tramite documenti e discorsi, tutti condannati all'irrilevanza, ma attraverso azioni profetiche di grande visibilità".

* Parroco a Mogliano Veneto (Treviso).

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