venerdì 24 dicembre 2010
mercoledì 8 dicembre 2010
Non vi credo
Una ragazzina di 13 anni è molto probabilmente morta. E’ anche probabile che il suo sequestro ed il suo omicidio avessero moventi di violenza sessuale. Il principale sospettato, immigrato in Italia, è stato rilasciato perché gli indizi a suo carico sono insufficienti. I cartelli cominciano a vacillare, o ne innalzerete altri contro la magistratura, i principi del diritto, l’assurda presunzione di innocenza per chiunque sino a che se ne provi la colpevolezza? Mannaggia, avevano preso l’uomo giusto, uno dei quei disgustosi Mohamed, e lo lasciano andare.
Non credo al vostro sdegno, non credo alla vostra compassione. Nella vostra regione, Milano vanta l’infamante primato di uno stupro al giorno (84° Congresso della Società italiana di ginecologia e ostetricia, novembre 2010). La metà delle vittime sono donne straniere: stuprate, nel 23% dei casi, da italiani. Che proteste avete inscenato, il mese scorso? Avete fatto caroselli automobilistici gridando “Via gli stupratori dall’Italia”? 115 donne, nei primi undici mesi di quest’anno, sono state uccise in Italia dalla gelosia, dalla rabbia inconsulta, dall’idea di possesso dei loro amici, fidanzati, mariti, compagni. Dov’erano i vostri striscioni? Avete raccolto firme, organizzato convegni, sfilato in manifestazione?
Sempre in novembre, ha raggiunto i media la notizia che molti Centri antiviolenza italiani, strangolati da una manovra economica che impedisce agli enti locali di mantenerli in funzione, alle prese con leggi regionali dalle splendide intenzioni ma disattese e non finanziate, stanno chiudendo.
Circa 13.500 donne, nel 67% dei casi italiane, si sono rivolte ad essi nel 2009, con un incremento di oltre il 14% rispetto all’anno precedente: dove andranno l’anno prossimo? La “piacente donna vittima del maschilismo” (sono queste le parole con cui l’onorevolissima e competente Ministra per le Pari Opportunità si presenta) aveva promesso 20 milioni di euro per sostenere i Centri: dove sono? Ma di sicuro voi vendicatori avete già preparato il mail-bombing per chiedere conto a Miss Gradevole Aspetto delle politiche governative per contrastare la violenza di genere, e ricordarle che quelle attuali sono in aperto contrasto con le raccomandazioni delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea.
tratto da http://lunanuvola.wordpress.com/
mercoledì 10 novembre 2010
Cari veneti, io non dico arrangiatevi Ma ora anche a voi serve l’Italia
di Peppino Caladarola
Ad un meridionale come me verrebbe voglia di dire «Arrangiatevi!» ai veneti colpiti dalla terribile alluvione di questi giorni. Non eravate voi a scrivere sui muri «Forza Etna!» quando il vulcano mandava a valle la sua lava distruggendo case e raccolti? Non eravate voi a incitare il Vesuvio, lo ha fatto anche Guido Bertolaso, per punire i napoletani insultati da striscioni infamanti sugli spalti dello stadio di Verona? Non siete voi a chiedere di abbandonare il Mezzogiorno e l’Italia in nome della purezza etnica e della vostra superiorità economica? Non è il vostro governatore leghista Luca Zaia a dire che «è una vergogna spendere 250 milioni per quei quattro sassi di Pompei»? Non siete voi a mantenere al governo da tre lustri una classe politica che non ha fatto nulla per salvaguardare il vostro territorio?
Sono questi pensieri stupidi e vendicativi che mi sono venuti in mente quando ho ascoltato al Tg7 Enrico Mentana che, con il Corriere della sera, invitava alla sottoscrizione nazionale per un primo aiuto alla gente rovinata dalla furia delle acque.
«Fate come noi, fate da soli», ci avete detto nei convegni accademici e nelle parole dure dei comizi leghisti. Eppure oggi scoprite che da soli non si può, da soli non si va da alcuna parte, che senza l’Italia il Veneto è piccola cosa.
Noi meridionali ci siamo fatti fregare tante volte. Quante passerelle di ministri e presidenti del Consiglio che ci hanno dato una pacca sulle spalle, che hanno arricchito alcuni di noi e se ne sono tornati a Roma carichi di voti e di bugie. La vostra “questione settentrionale” assomiglia alla nostra “questione meridionale” perché è stata alimentata da uno Stato che non ha fatto il suo dovere, da una classe dirigente priva di una visione nazionale, da cittadini che hanno pensato ai fatti loro convinti di essere padroni in casa propria mentre l’Italia perdeva la corsa verso il futuro.
venerdì 5 novembre 2010
Vorrei una chiesa più semplice e più profetica
Cara Settimana,
mi porto dentro un magone che davvero turba e spesso rattrista le mie giornate: certe gravi carenze - a me sembrano tali - della chiesa come isti-tuzione umana. La vorrei più povera, meno trionfalista. Mi disturbano queste vesti paonazze, rosse, dorate che svolazzano, guardie svizzere, gentiluomini di sua santità in cerimonie imponenti, grandiose, costose, così lontane dalle nudità di Cristo in croce e dalla nudità dei tanti crocifissi della terra. E poi tutti quei titoli altisonanti: "santità" - "eminenza" - "eccellenza" - "monsignore"...
Tanto che mi sto domandando se le due grosse umiliazioni che ultimamente, come chiesa, abbiamo sofferto: la diffusione della pedofilia fra tanti preti e lo scandalo delle finanze vaticane denunciato e puntigliosamente documentato da un recente volume -diffuso da tempo in migliaia di copie e mai contraddetto autorevolmente -non siano un richiamo che Dio rivolge alla sua chiesa perché ritorni, per quanto oggi possibile, alla sua nativa semplicità. Prego tanto, tanto spesso perché si converta. Anche perché ho ben presente una osservazione fattami in questi giorni: «Voi parlate dei lontani. Ma dovreste chiedervi se sono lontani da Dio o lontani da questa chiesa».
E vero, possediamo la verità che il Cristo ci ha rivelato. Ma non abbiamo finito di scoprirla fino in fondo; a volte l'abbiamo anche gravemente fraintesa. Dobbiamo quindi - noi preti, vescovi, papi - restare discepoli, in vero ascolto, lasciandoci insegnare anche dal mondo, cercando di discernere i segni dei tempi e quindi anche queste nuove culture che sembrano tutte e sempre dissacranti e che invece alle volte sono, possono essere, "semina Verbi". Il concilio l'aveva scritto.
E poi abbiamo ancora un clericalismo e un gerarchismo dominanti e invasivi che continuano ad occupare presuntuosamente competenze tipicamente laicali. Anche questo il concilio l'aveva detto.
Lo stesso primato di Piero - se vogliamo davvero l'ecumenismo che stava tanto a cuore al Cristo fino a quell'ultima sera - aspetta con crescente urgenza di essere ripensato e ridimensionato. Papa Giovanni Paolo II lo aveva promesso. La sinodalità, la collegialità fra papa e vescovi fanno parte del DNA della chiesa che Cristo voleva.
Ancora: mi domando, di conseguenza, se davvero continua ad esserci bisogno di disseminare dovunque il supercontrollo dei nunzi pontifici sulle conferenze episcopali del mondo, continuando un accentramento di potere che non pare fosse nel disegno di Cristo quando volle il "collegio apostolico".
E tanti altri problemi che stanno creando un disagio diffuso, sofferto dentro la chiesa, anche se qualche autentico "profeta" cerca ogni tanto di trasmettere certe attese di Dio e forse anche di tanti cosiddetti "lontani". Cercando almeno di attuare quanto il con-cilio aveva detto. Ma mi domando: dove sono i profeti fra i nostri vescovi?
Enzo Bianchi parlava qualche anno fa di "pavidità ecclesiale"; forse è questa la causa che sembra paralizzare le nostre stesse conferenze episcopali? Lo so; è una domanda tanto impertinente, ma nella mia intenzione è amore per la chiesa di un ormai vecchio prete e speranza che anche il crescente disagio intraecclesiale possa esprimersi.
Come scrive Enzo Bianchi: «Non è credibile una chiesa che si dice in dialogo con gli uomini non credenti e con le religioni, ma non è capace di suscitare in sé dibattiti, confronti seri nella libertà e nell'accoglienza reciproca. Perché ogni cristiano che coltivi la pro-pria appartenenza a Cristo attraverso l'inserimento nell'esperienza orante ed ecclesiale è autorizzato a parlare con la necessaria franchezza nella comunità: il dialogo fra cristiani e non cristiani richiede dunque franchezza e umiltà anche all'interno della stessa communitas» (Per un'etica condivisa, p. 121).
Dio illumini i nostri vescovi e faccia nascere profeti anche fra loro.
don Fernando Pavanello (91 anni) Breda di Piave (TV)
da settimana/26 settembre 2010/n. 34
mercoledì 13 ottobre 2010
La bestemmia di Stato ha rotto l' incantesimo
LE CAMPAGNE contro la bestemmia che imperversava nelle osterie venete, e non solo, anche agli esordi della seconda rivoluzione industriale costituivano un assillo ricorrente dell' episcopato italiano dalla fine degli anni Cinquanta. Ma dinanzi alla bestemmia più infausta nella storia del "paese cattolico" - l' escandescenza ridanciana da Asino di Podrecca in bocca al primo ministro di una nazione che ospita la sede del papato romano, - il Vaticano ha messo da parte i toni concilianti, le pazienze concordatarie, gli equilibrismi tattici e persino gli interessi della sua alleanza concreta con il centro-destra. E ha reagito. Lo stesso "Osservatore romano" che in passato aveva tributato a Berlusconi incensi per molti sorprendenti e comunque compromettenti, ha cambiato inchiostro ed è passato all' invettiva: battute "deplorevoli" - ha scritto il giornale vaticano - che "offendono indistintamente il sentimento dei credenti e la memoria sacra di sei milioni di vittime della Shoah". Un fatto inedito, cui anche il giornale dei vescovi italiani "Avvenire" accompagna la propria riprovazione - "una bestemmia insopportabile" - negandone il carattere privato. Il significato di questa reazione è tema di discussione: un semplice scatto d' ira, doveroso per redarguire l' autore della goliardata e richiamarlo ad un linguaggio appropriato alla carica che riveste e, dopo le dovute penitenze, tutto come prima? Oppure, uno strappo dalle dimensioni più serie, che potrebbero raggiungere, dopo una inquieta tregua, il livello di una crisi istituzionale, come effetto del ritiro del consenso cattolico non solo alla persona del leader ma anche alla sua coalizione? Per discernere la portata non banale di questa che non appare appena una tirata d' orecchi per la trasgressione del fairplay, è consigliabile mettere in testa ad ogni valutazione un dato: è la prospettiva delle celebrazioni ormai alle porte dei 150 anni dell' unità d' Italia. A questo appuntamento storico e politico lo stesso pontefice si augura di poter partecipare, e ciò comporta un clima politico e delle condizioni istituzionali appropriate all' evento. Sarebbe la chiusura simbolica di un ciclo storico, nel quale si è prolungata la "questione risorgimentale", al di là della sua formale liquidazione nei Patti Lateranensi. La presenza del segretario di Stato vaticano cardinale Tarcisio Bertone accanto al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano alla cerimonia del 20 settembre a Porta Pia non era che l' aperitivo di questo evento. La bestemmia di Stato è insorta a rompere l' incantesimo e a turbare la creazione del clima adeguato a questo gesto epocale. Inopinatamente questa caduta ha posto sul tappeto dei rapporti tra Chiesa e Stato in Italia la questione ultimativa: se la presenza della figura del Papa a queste celebrazioni sia compatibile con la permanenza al vertice dell' esecutivo di un personaggio che, nell' esercizio delle sue funzioni pubbliche, offende il sentimento religioso del popolo italiano. È questa la contraddizione radicale che il giornale vaticano denuncia. Non si tratta più di misurare il consenso ad una linea politica, fosse anche sensibile all' agenda bioetica e ai valori "non negoziabili" che stanno a cuore alla Chiesa. Qui è stata posta in questione la soglia invalicabile di un decoro semplicemente laico nella considerazione dei valori religiosi, secondo lo spirito della Carta Costituzionale. Dietro al corsivo vaticano è possibile decrittare poi uno smottamento politico ai livelli elevati della gerarchia ecclesiastica riguardo alla questione italiana. Da tempo il neutralismo politico difeso dal Papa in nome del "primato dello spirituale" nella Chiesa veniva manipolato dalla destra per consolidare i rapporti con il ceto al comando. Il potere di monsignor Fisichella, autore di cicliche dichiarazioni a favore del governo, e della stessa Lega, si era nutrito in questa ambiguità. Nemmeno le politiche securitarie sull' immigrazione, sulle quali incombevano le bestemmie contro la dignità umana dei respinti in mare, avevano potuto innervosire la Santa Sede quanto questo episodio di incontinenza sacrilega. Il massimo della presa di distanza di cui abbia saputo dar prova la Cei è stato il giudizio di "angustia", "di grande sconcerto", di "acuta pena" manifestato dal cardinale Bagnasco nella prolusione al Consiglio di Presidenza dell' episcopato lunedì scorso per le "polemiche inconcludenti" dell' estate tra Berlusconi e Fini. In compenso era uscita inalterata la sostanziale sintonia della Chiesa su alcuni contenuti strategici del suo accordo col governo, in particolare sul "federalismo solidale", su una riforma fiscale ispirata a criteri di equità e sulle misure a protezione della famiglia e della scuola cattolica. È storicamente paradossale, ma politicamente un valore che a far quadrato intorno all' unità della nazione italiana sia proprio l' episcopato di una Chiesa che si era arroccata al momento della sua costruzione fulminando scomuniche ai suoi fondatori. In realtà una lettura più attenta dei risultati delle elezioni politiche del 12 aprile 2008 ha portato la Chiesa a individuare una situazione di gravissimo allarme per il futuro della fede cristiana in Italia. I dati sono stati infine analizzati come indici del trionfo di una visione individualistica, del tutto irriducibile alla dimensione solidaria della fede cristiana, il segnale di una raggiunta egemonia delle dottrine politiche ispirate al materialismo pratico nel Paese, di un suo sostanziale "ateismo" quale Machiavelli era riuscito a decifrare già nel XVI secolo. E materialismo equivale a una riproduzione delle idolatrie secolari, che rendono persino fisiologiche, addirittura allegre le bestemmie contro Dio in un paesaggio di idoli. Le fila di questo riassestamento della linea politica della Chiesa in Italia passano in gran parte per un processo di riacculturazione democratica del movimento cattolico. Una vasta azione di educazione politica alla luce della dottrina sociale della Chiesa è in cantiere alla Cei e la Settimana Sociale dei Cattolici, in programma a Reggio Calabria dal 14 al 17 ottobre, è attesa come l' occasione per una larga consultazione fra tutte, e non solo alcune, forze culturali, spirituali, pastorali e teologiche di cui è ricco il cattolicesimo in Italia. Rispetto al quale il degrado del linguaggio politico dominante ripropone drammaticamente un problema di rappresentanza di valori largamente incompiuta. - GIANCARLO ZIZOLA
Repubblica — 03 ottobre 2010 pagina 1 sezione: PRIMA PAGINA
domenica 10 ottobre 2010
Nessuno tocchi il 55%
Si può aderire all'appello con una firma o con un post, se avete un blog.
domenica 29 agosto 2010
Il lascito di una crisi
di Leonardo Boff, teologo
(traduzione di R. Baraglia)
Nel secolo 16º, quando in Roma era al culmine il potere dei papi del Rinascimento, coinvolti in scandali di ogni ordine, si levò un clamore in tutta la Chiesa per la “riforma del capo e delle membra”. Questo clamore veniva dai laici, dal basso clero e da teologi quali Lutero, Zwinglio e altri ancora. Come risposta venne la controriforma che trasformò la Chiesa cattolica in baluardo contro il movimento dei riformatori, irrigidendo ancor più la sua struttura di potere.
Adesso lo scandalo dei preti pedofili in vari paesi cattolici ha fatto sì che sorgesse pure un forte clamore come richiesta di riforme strutturali nella Chiesa, clamore che non viene soltanto dal basso come al tempo della riforma, ma principalmente dall’alto, da cardinali e vescovi.
Innanzitutto, questo peccato e questo crimine ha generato una disastrosa gestione vaticana. Inizialmente si è tentato di squalificare i fatti come “chiacchiericcio televisivo”. In seguito si è cercato di occultarlo, usando perfino il “sigillo pontificio” col pretesto di salvaguardare la presunta santità intrinseca della Chiesa, in seguito si sono minimizzati i fatti e si è creato un facsimile di complotto di oscure forze laiciste contro la Chiesa e infine, davanti all’impossibilità di qualsiasi via di scusa e di fuga, la verità scomoda è venuta a galla.
Il Papa ha adottato, contro i pedofili, severe misure, considerate insufficienti da molti della chiesa stessa. Infatti non bastano la “tolleranza zero” e le punizioni canoniche civili. Tutto questo viene a posteriori, a delitto compiuto. Non si dice niente come evitare che tali scandali si ripetano né quali riforme introdurre nella vivenza del celibato e nell’educazione del candidato al sacerdozio. Non si mette come prioritaria la salvaguardia delle vittime innocenti: molte di queste rivelano un tenebroso vuoto spirituale, frutto del tradimento che hanno sentito da parte della Chiesa in un misto di colpa e di vergogna.
In seguito alte autorità si sono accusate reciprocamente. Il cardinale Cristof Schönborn di Vienna ha accusato il cardinale Angelo Sodano, quando era Segretario di Stato (il primo posto dopo quello del Papa) di aver occultato la pedofilia del suo antecessore nella sede, il cardinale Hans-Herrman Groër. Vescovi tedeschi hanno criticato la conferenza episcopale per non essere stata sufficientemente vigilante davanti ai notori abusi sessuali del vescovo di Augsburg Walter Mixa, obbligato a rinunciare. Lo stesso si riferisce al vescovo di Bruges del Belgio che ha abusato per otto anni di un suo nipote.
Sconvolgente è l’autocritica fatta da arcivescovo di Canberra Mark Coleridge, che riconosce che la morale della Chiesa riguardo al corpo e alla sessualità è rigida e di stile jansenista e crea nei seminaristi “una immaturità istituzionalizzata”, oltre alla tendenza alla discrezione e al segreto davanti ai delitti, per mantenere il buon nome della Chiesa, frutto di trionfalismo ipocrita. Il primate d’Irlanda Diarmuid Martin si è interrogato sinceramente sul futuro della Chiesa del suo paese, tanto grande il numero dei pedofili nelle istituzioni e per molti e lunghi anni. Riconosce che le riforme sono urgenti, dato che la Chiesa “non può rimanere prigioniera del suo passato” ma deve introdurre cambiamenti fondamentali nella sua struttura che impediscano tali sviamenti. Forse il documento più lucido e coraggioso è venuto dal vescovo ausiliare di Canberra Pat Power. Questi “richiede una necessaria riforma sistemica e totale delle strutture della Chiesa”. Afferma che nella conduzione della Chiesa, completamente maschile, non risiede tutta la sapienza ma che essa deve ascoltare la voce dei fedeli. Con coraggio riconosce che “se le donne avessero avuto più potere di decisione non saremmo arrivati alla crisi attuale.
Potremmo addurre altre voci di alte autorità ecclesiastiche. Ma l’importante è constatare che questo scandalo che ha investito il capitale di etica e di fiducia della Chiesa-Istituzione, paradossalmente ha lasciato un legato positivo: ha suscitato la questione delle riforme di base, approvate dal concilio Vaticano II. Queste tuttavia furono boicottate dalla Curia vaticana e dagli ultimi due Papi che si sono allineati una visione conservatrice contraria a tutta la modernità.
Tutti noi che amiamo la Chiesa con le sue luci e le sue ombre, vogliamo intendere l’attuale crisi come un’opportunità suscitata dallo Spirito Santo perché la Chiesa-Istituzione realmente trovi la forma migliore di trasmettere la buona novella di Gesù e aiuti l’umanità ad affrontare una crisi ancora maggiore quella del sistema-Vita e del sistema-Terra, terribilmente minacciati.
Pubblicato il 5 agosto 2010 da assviottoli
Com’é ambiguo il tribunale di Vito Mancuso
da il manifesto, 24 agosto 2010
I fasti della Mondadori non sono dovuti solo al cast di brillanti professionisti di cui essa si avvale ma derivano anche dal radicamento più o meno sotterraneo, già a partire dal ben noto lodo Mondadori, nell’humus torbido del sistema di potere berlusconiano. La cosiddetta “legge ad aziendam”, varata di recente, che in forma estragiudiziale solleva quasi interamente l’azienda dal pagamento al fisco di un’enorme somma, 350 milioni di euro, è solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Messa così, diventa un po’ più credibile e forse anche coraggiosa l’esternazione dei turbamenti di coscienza di Vito Mancuso (la Repubblica di sabato scorso – si veda di seguito). L’autore di libri di successo su temi di etica e teologia si domanda come continuare a far parte quale consulente editoriale e autore di un’azienda che calpesterebbe elementari principi etici e di diritto. E quasi in una implicita chiamata in correo chiede di contribuire a risolvere i suoi turbamenti di coscienza ad altri autori della Mondadori e di aziende ad essa collegate: nientemeno che Augias, Citati, Saviano, Scalfari, Zagrebelski ….
Ho stima di Mancuso, condivido molti aspetti della sua etica e rispetto la sua intelligenza, qualcosa però della sua esternazione non mi convince. Sembra che egli dormisse sonni tranquilli fino al momento in cui non ha letto la denuncia della “legge ad aziendam” fatta da Giannini (la Repubblica di giovedì scorso – si veda di seguito).
Eppure era ben noto anche a lui che autori come Carlo Ginsburg e Corrado Stajano avevano mollato la Mondadori fin dall’inizio della proprietà berlusconiana per non essere complici di un sistema di potere corrotto. E non c’è solo questo. M’inoltro in un terreno troppo complesso e ampio per una breve riflessione come questa, ma non si può evitare di scavare un po’ in profondità.
Il successo di aziende editoriali e di autori come Mancuso non piove dal cielo limpido di una capacità intellettuale e comunicativa. E’ sempre interno a un’etica della competizione globale. La quale ha come postulato fondamentale il compromesso con le spietate regole del mercato che produce e deve produrre vincitori, una piccola elite, e vinti, le grandi maggioranze senza volto né voce.
E’ corrotto in radice il sistema del mercato, anche di quello editoriale. Lo dice con lucido cinismo lo stesso John. M. Keynes, noto economista inglese, considerato il padre dello stato sociale, quando, nel 1930, getta per una volta lo sguardo nel lungo periodo e si pone il problema delle Prospettive economiche per i nostri nipoti: “Almeno per altri cento anni dobbiamo fingere noi e tutti gli altri che ciò che è giusto è cattivo e ciò che è cattivo è giusto; perché il male è utile mentre ciò che è giusto non lo è. L’avarizia, l’usura e l’astuzia debbono essere i nostri dèi ancora per un certo tempo, perché essi soli possono farci uscire dal tunnel del bisogno economico e portarci verso la luce del giorno” (da Esortazioni e profezie, Il Saggiatore, Milano 1968).
Che fare? Mancuso su la Repubblica di ieri replica così alla Mondadori: “Voi sapete che oltre al tribunale esteriore esiste un tribunale interiore. Col tribunale esteriore si può venire a patti pagando qualche milione di euro. Col tribunale interiore no”. Caro Vito, il tribunale interiore chiede che si paghi un prezzo per limitare i danni della inevitabile complicità.
Lo sanno bene ad esempio i redattori di questo giornale e dell’Editrice Manifestolibri e i loro autori e lettori, i quali realizzano un prodotto culturale di alto rilievo ma devono fare acrobazie incredibili per restare in piedi con la schiena dritta. Lo sanno quanti impegnano la loro vita non tanto per il loro successo personale quanto per far emergere le soggettività popolari dall’anonimato, dall’invisibilità e dalla afonia.
Custodire il creato, per coltivare la pace
sabato 28 agosto 2010
L'attacco a Eco e l'indulgenza col potere
di GAD LERNER
RIMINI - Sono venuto al Meeting di Rimini per capire cos'è questo detestabile "moralismo" che tanto fastidio suscita nei cattolici moderati di Comunione e Liberazione. Per i discepoli di don Giussani, ormai giunti alla terza generazione, lo scandalo è "Famiglia cristiana" quando se la prende con Berlusconi.
E perciò stesso va disdegnata come "L'Unità" o "Il Fatto", a detta di Maurizio Lupi; merita viceversa indulgenza il degrado nei comportamenti dei politici al comando: non siamo forse tutti peccatori? Chi di noi ha il diritto di scagliare la prima pietra? "Sia proibita la vendita di 'Famiglia cristianà sul sagrato delle chiese!", invoca lo storico di Cl, monsignor Massimo Camisasca.
La parabola evangelica viene declinata in forme sorprendenti da una folla entusiasta nel tributare applausi indistinti: da Geronzi ai missionari in America Latina. E rivela una sensibilità talmente particolare di questo popolo, reso compatto dall'intimità delle sue liturgie, da configurarlo quasi come una Chiesa privata, ben sintonizzata con gli umori più profondi della destra italiana. Parlo di Chiesa privata perché Cl non solo si contrappone, come e più di sempre, al cosiddetto cattolicesimo democratico. Ma si distanzia dal giudizio critico sulla classe dirigente pronunciato dalla Cei e che perfino il portavoce dell'Opus Dei, Pippo Corigliano, nei giorni scorsi ha consegnato in un'intervista al "Manifesto": "Al momento politici che abbiano una struttura morale tale da interpretare i valori cattolici non se ne vedono. Il punto è che i politici proprio quei valori tentano poi di strumentalizzare". Un atto d'accusa del tutto assente dal Meeting di Rimini.
Proverò a raccontare l'antipatia di Cl per il "moralismo" attraverso alcune istantanee di una festa dominata, come tutti hanno notato, dall'affettuosa confidenza instaurata da Cl con banchieri e imprenditori, pur senza rinunciare, in particolare i giovani, alla centralità degli appuntamenti religiosi, alla politica ecumenica e alla visione internazionale promosse da Carron, del tutto disinteressato alla politica italiana, che resta appannaggio della generazione precedente. I ciellini hanno dato in abbondanza a Cesare quel che è di Cesare, e forse al governo in carica pure qualcosa di più, riservandosi il primato spirituale.
E' Giancarlo Cesana, responsabile laico di Cl divenuto presidente del Policlinico di Milano, a introdurre l'appuntamento più atteso, la lectio del Patriarca di Venezia, Angelo Scola. Tema: "Desiderare Dio. Chiesa e post-modernità". Saranno diecimila, non vola una mosca. Cesana estrae un foglietto per spiegare in due esempi il vizio della post-modernità. Racconta dello studente universitario cui chiese un giudizio sull'aborto: "Ognuno la pensa come vuole", fu la risposta che ancora lo indigna. Del resto, aggiunge, nella Russia comunista, "è lo stesso" non divenne forse l'intercalare più comune?
Preparato il terreno, Cesana vibra il fendente decisivo. Una citazione di Umberto Eco dalle pagine conclusive de "Il nome della rosa", allorquando Guglielmo di Baskerville contempla l'incendio della biblioteca e della chiesa. Eccola.
"Temi i profeti e coloro che sono disposti a morire per la verità, ché di solito fan morire moltissimi con loro, spesso prima di loro, talvolta al posto loro (...) Forse il compito di chi ama gli uomini è di far ridere della verità, fare ridere la verità, perché l'unica verità è imparare a liberarci dalla morbosa passione per la verità".
Applauso scrosciante di riprovazione. Per Cesana quella frase di un romanzo pubblicato trent'anni fa resta, in perfetta buona fede, più grave di qualsiasi misfatto commesso da un politico arraffone della giunta lombarda di Formigoni. Sorriderà distaccato di fronte alle tentazioni umane di un assessore - cosa volete che siano - mentre denuncia implacabile l'agnosticismo dello studente di fronte all'aborto. Colpevole, lui sì. O vittima di Umberto Eco?
Con il patriarca Scola la conversazione si eleva, costellata magistralmente di citazioni cinematografiche e generazionali, come l'"on the road" di Kerouac, richiamo affascinante sebbene gli astanti restino ben lungi dal suo ideale libertario. Neppure il cardinale più amato dai ciellini, difatti, rinuncia alla polemica con i moralisti, i più insidiosi fra i peccatori perché abuserebbero del richiamo a comportamenti esemplari, cioè alla testimonianza.
Ecco come li attacca Scola: "Diventa allora necessario liberare la categoria della testimonianza dalla pesante ipoteca moralista che la opprime riducendola, per lo più, alla coerenza di un soggetto ultimamente autoreferenziale". A chi si riferisce Scola? Forse a coloro che s'illudono di praticare la virtù senza riconoscere la sua implicazione successiva, secondo cui "la Chiesa, in modo diretto o indiretto, diventa condizione indispensabile per desiderare Dio", diventa cioè il luogo "che rende possibile la testimonianza". Come? "Anzitutto, attraverso l'Eucarestia e la liturgia".
Il percorso è chiaro: se la testimonianza si manifesta nell'osservanza religiosa, chi siamo noi per criticare i peccatori osservanti la pratica religiosa nella Chiesa che resta "santa al di là dei peccati, talora terribili, del suo personale"?
Così vengono "sistemati" i moralisti. E per gradire, poco più tardi, intervenendo di nuovo al Caffè letterario del Meeting, lo stesso Scola rivolgerà un pubblico encomio a Renato Farina: "Sono pochi i giornalisti bravi come lui". Come volevasi dimostrare.
Sbaglierò, ma ho colto perfino un pizzico di compiacimento quando il Patriarca sottolineava con voce sofferta quel "terribili", riferito a certi peccati degli uomini di Chiesa. Perché chinandosi amorevole sul frammento d'anima penitente, il testimone disciplinato susciterà in lei nuovamente il desiderio di Dio, la fede che ci è donata nella Chiesa.
Particolarmente ricercati, non a caso, fra gli ospiti del Meeting primeggiano i figliol prodighi che vengono a raccontare il loro avvicinamento a questa idea di Chiesa (privata?). Come il sottosegretario Eugenia Roccella che si dilunga sul suo passato radicale, femminista, anticlericale. O l'assai più tormentato filosofo Pietro Barcellona, sospinto in depressione dal fallimento del comunismo, verso un approdo cristiano.
Aggirandosi fra gli stand non si trovano solo le aziende in rapporto di business con la Compagnia delle Opere o con i politici ciellini. Bisogna fare la fila per visitare la mostra sulla scrittrice cattolica americana Flannery O'Connor, così come vivacissimi sono i dibattiti critici sulla tecnoscienza. E' nel linguaggio di un conservatorismo moderno che si esprime questa strana indulgenza ciellina per i malfattori, contrapposta alla severità con cui additano i moralisti. Al centro dell'installazione dedicata a don Bosco, per esempio, trovo gli stessi luchetti resi popolari fra i giovani da Federico Moccia: reggono nastri devozionali: "O Maria Vergine potente", "Tu nell'ora della morte accogli l'anima in paradiso". L'imprinting di un movimento cresciuto nella contrapposizione all'Utopia del Sessantotto, compare perfino stampato sulle t-shirt: "Non ho nulla per cui protestare, solo da ringraziare".
Ricordo a Roberto Formigoni il nostro incontro di dieci anni fa, all'indomani di una sua trionfale vittoria elettorale in Lombardia. Dopo aver concesso a Comunione e Liberazione "il merito storico di avere generato me, che sono però dotato di una forza politica autonoma ben maggiore", prometteva un prossimo trionfale sbarco a Roma: "Questo nostro modello conquisterà l'Italia". Non è andata così e oggi lo trovo più cauto. Si accontenta di rivendicare una riuscita "fecondazione di idee". I politici ciellini radunati in Rete Italia contano su Maurizio Lupi, pupillo di Berlusconi, e su Mario Mauro al parlamento europeo; ma patiscono nella loro culla lombarda il fiato sul collo della Lega, da cui non sono riusciti a distinguersi più che tanto sul piano culturale e religioso. Quanto ai politici affaristi con cui militano fianco a fianco nel Pdl, la linea resta sempre la stessa: no al moralismo.
Per difendere la loro Verità dalle insidie del moralismo, dunque, scelgono di prendersela con il "potente" Umberto Eco. Peccato che Giancarlo Cesana non abbia riferito anche la frase che l'autore de "Il nome della rosa" mette in bocca al suo protagonista, subito prima di quella incriminata: "L'Anticristo può nascere dalla stessa pietà, dall'eccessivo amor di Dio o della verità, come l'eretico nasce dal santo e l'indemoniato dal veggente".
da La Repubblica del (28 agosto 2010)
lunedì 9 agosto 2010
venerdì 6 agosto 2010
mercoledì 28 luglio 2010
Il solare costa meno del nucleare
sabato 24 luglio 2010
I Paesi più Felici del Mondo
giovedì 22 luglio 2010
Pdl, il Partito del Latrocinio
http://temi.repubblica.it/
lunedì 12 luglio 2010
Ma quale “Obolo”?
di Don Giorgio Morlin
È con crescente disagio, misto a qualche sussulto d'indignazione, che ho seguito sulla stampa italiana le tristissime vicende di corruzione riguardanti anche alcuni uomini di Chiesa. È un disagio che non riesco a mascherare quando parlo con amici di questi temi. Domenica 27 giugno 2010, come avviene ormai da diversi anni, la Cei, in collaborazione con il cosiddetto Obolo di San Pietro, ha organizzato la Giornata per la Carità del Papa. Tutti i parroci italiani sono stati invitati dai vescovi ad illustrare alle rispettive comunità il significato di tale Giornata e a contribuire con offerte al suddetto Obolo.
Dopo recenti e imbarazzanti esposizioni mediatiche d'illustri ecclesiastici, non sono in grado di sapere se questa proclamazione nelle parrocchie sia veramente avvenuta e quali risultati essa abbia ottenuto. Piuttosto mi preme di sapere come oggi siano realisticamente percepite dall'opinione pubblica nazionale e internazionale due vetuste istituzioni vaticane dal nome medievale e misterioso, quali l'Obolo di San Pietro, appunto, e la Propaganda Fide. Istituzioni che, fino a qualche mese fa, nell'immaginario cattolico erano considerate realtà ecclesiali effettivamente legate alla carità del pontefice e all'incremento delle missioni nel mondo. Ora sono stati scoperchiati alcuni "altarini". Ad esempio, il dicastero vaticano di Propaganda Fide, che sembra abbia un patrimonio immobiliare di 10 miliardi di euro con circa 2mila appartamenti nella sola città di Roma e 50 milioni di utili esentasse, è indagato dai giudici italiani. Fino al Giubileo del 2000 questi appartamenti erano affittati con equo canone a famiglie bisognose della capitale. Dopo il 2000, sembra che l'antico e prestigioso ente ecclesiastico abbia privilegiato e intensificato vantaggiosi rapporti con importanti personaggi della politica e dell'economia nazionale, lucrandone inconfessate prebende di vario genere. Anzi, pare che sia stato proprio nell'anno giubilare che ha preso il via un oscuro intreccio di poteri e sottopoteri, poco ecclesiali e molto affaristici e occulti.
A fronte di questi avvilenti episodi di corruzione e in vista della prossima Giornata Mondiale Missionaria del 2010, mi chiedo quale potrà essere l'appello annuale che la Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli (ex Propaganda Fide) rivolgerà ai cattolici di tutto il mondo nel chiedere aiuti economici a sostegno dei missionari che promuovono la dignità dell'uomo e il messaggio del Vangelo nei posti più poveri e dimenticati della Terra. Mi chiedo anche perché, da un'eccezionale emergenza etica come questa, non possa scaturire un gesto profetico (una specie di purificante kairòs biblico), che faccia finalmente chiarezza e pulizia. Innanzitutto ad opera della Guardia di Finanza. Poi anche, o soprattutto, della Santa Sede. E questo, in nome della giustizia e dello stesso futuro della Chiesa.
Giorgio Morlin
venerdì 9 luglio 2010
Mai vista un'Italia così
mercoledì 30 giugno 2010
Preti pedofili perché il Papa difende Sodano?
di Vito Mancuso (la Repubblica, 30 giugno 2010)
Ieri il papa ha sottolineato che il pericolo più grande per la Chiesa viene dal fronte interno: "Il danno maggiore lo subisce da ciò che inquina la fede e la vita cristiana dei suoi membri e delle sue comunità". Ma allora perché, due giorni fa, ha pubblicamente umiliato il cardinale Christoph Schönborn, finora il più coraggioso degli uomini di Chiesa nel lottare contro il terribile inquinamento interno che è la pedofilia del clero?
Io quasi non volevo crederci, non poteva essere vero che Benedetto XVI, dopo aver più volte affermato di voler fare tutto il possibile per stabilire la verità e perseguire la giustizia nello scandalo pedofilia, avesse costretto l’arcivescovo di Vienna a una specie di Canossa vaticana.
Eppure era vero. Benedetto XVI aveva costretto il presule, nonché stimato teologo di orientamento conservatore a lui molto vicino, a una conciliazione forzata con il cardinal Sodano. La logica del potere romano è la forza che ancora domina la Chiesa cattolica.
Quello che però a mente fredda colpisce di più è il disinteresse mostrato dal papa per il merito delle accuse mosse pubblicamente da Schönborn il 28 aprile scorso contro il cardinale Angelo Sodano, Segretario di Stato sotto Giovanni Paolo II, accusandolo di aver insabbiato il caso Groer.
Hans Hermann Groer (1919-2003), monaco benedettino, arcivescovo di Vienna e cardinale, fu costretto a dimettersi nel 1995 per aver molestato un seminarista minorenne (in seguito a suo carico emersero molti altri casi).
Immediato successore di Groer nella diocesi di Vienna, Schönborn quando accusava Sodano parlava di cose che conosce molto bene. Ma diceva la verità oppure mentiva? È vero o non è vero che Sodano da Roma ostacolò le indagini di Vienna? Il papa semplicemente non se ne è curato, non è entrato nel merito, alla verità ha preferito la forma ricordando che solo a lui è concesso accusare un cardinale. Così il comunicato ufficiale: "Nella Chiesa, quando si tratta di accuse contro un cardinale, la competenza spetta unicamente al papa".
Ma se è così, allora il papa è tenuto ad andare fino in fondo verificando se le accuse di Schönborn a Sodano sono fondate o sono solo calunnie. Lo farà? Non lo farà, per il motivo che dirò alla fine di questo articolo.
Nella predica a conclusione dell’Anno sacerdotale a piazza San Pietro l’11 giugno Benedetto XVI aveva detto di "voler fare tutto il possibile affinché un tale abuso non possa succedere mai più". Alla luce del trattamento riservato a Schönborn queste parole appaiono molto sfuocate, mera retorica di stato. Di che cosa stiamo parlando, infatti? Stiamo parlando (occorre ricordarlo sempre!) di migliaia e migliaia di giovani vittime.
Oltre all’Austria scandali sono emersi ovunque. Negli Stati Uniti finora sono stati pagati indennizzi per 1.269 miliardi di dollari, con il conseguente fallimento di non poche diocesi.
In Irlanda nel 2009 sono usciti documenti come il Rapporto Murphy e il Rapporto Ryan, quest’ultimo sugli abusi del clero dagli anni ’30 agli anni ’70 (notare: anni ’30, altro che responsabilità della rivoluzione sessuale del postconcilio come scrive Benedetto XVI nella "Lettera ai cattolici irlandesi"): il risultato è che la Chiesa irlandese deve versare 2.100 milioni di euro di risarcimenti.
Poi c’è la Germania del papa: abbazia benedettina di Ettal in Alta Baviera, coro di Ratisbona, dimissioni di mons. Mixa vescovo di Augusta per molestie sessuali su minori, collegio Canisius dei gesuiti a Berlino...
C’è il Belgio con le dimissioni del vescovo di Bruges per i medesimi tristi motivi e le perquisizioni delle tombe nella cattedrale di Malines con le conseguenti deplorazioni pontificie.
Ci sono Polonia, Svizzera, Olanda, Danimarca, Norvegia, Inghilterra, Australia...
Don Ferdinando Di Noto, il prete da anni in prima linea contro la pedofilia, simbolo della rettitudine della gran parte dei preti, dichiarava il 18 febbraio scorso che in Italia i casi accertati sarebbero un’ottantina. Da allora, vista la frequenza delle notizie sui giornali, temo che la cifra sia aumentata non poco.
Di fronte a questi dati due cose sono sicure. Primo: se non fosse stato per la forza dei giornali e delle tv tutto sarebbe rimasto sconosciuto e insabbiato; se la Chiesa riuscirà un giorno a fare pulizia al proprio interno lo dovrà alla forza delle scomode verità fatte emergere dalla libera informazione.
Secondo: fino a poco tempo fa la linea tenuta dal cardinal Sodano sul caso Groer era la prassi abituale, come appare anche dalla Epistula de delictis gravioribus inviata il 18 maggio 2001 dall’allora cardinal Ratzinger ai vescovi di tutto il mondo che imponeva il secretum Pontificium per tutte le gravi trasgressioni del clero (notare: il caso Groer risale a sei anni prima!). È proprio questa la peculiarità dello scandalo, non tanto la pedofilia di preti e vescovi, quanto l’insabbiamento da parte delle gerarchie, il fatto incredibile che i vertici ecclesiastici sapevano di questi crimini e, per non indebolire il potere politico della Chiesa, tacevano e insabbiavano.
Per anni e anni. Per interi decenni è stata preferita l’onorabilità della struttura politica della Chiesa rispetto alla giustizia verso le vittime, e quindi verso Dio. Le dichiarazioni del cardinal Sodano che riduceva a "chiacchiericcio" le accuse erano esattamente in linea con questa politica dell’insabbiare, e l’umiliazione inferta dal papa al cardinale Schönborn per averlo criticato è una conferma che questa politica non è terminata. La subdola peculiarità di questo scandalo mondiale è purtroppo ancora in vita.
Salvare la Chiesa prima di tutto. Prima dei bambini e della loro vita psichica e affettiva. Prima dei genitori e del loro inestirpabile dolore. Prima del senso di giustizia di tutta una società. Prima della giustizia di cui rendere conto davanti a Dio. Prima di tutto, la Chiesa e la sua immagine, e il conseguente potere che ne deriva.
Per questo l’ordine era (anzi è, perché altrimenti non si sarebbe salvata l’onorabilità del potente cardinal Sodano) coprire, insabbiare, dissimulare, mentire, negare, comprare. Tra l’ottantina di cardinali della Chiesa solo uno aveva avuto il coraggio e l’onestà di puntare il dito contro il vertice della nomenclatura. Il papa l’ha messo a tacere, l’ha fatto rientrare tra le fila, imponendogli una bella dichiarazione di facciata.
Ma com’è possibile che nella Chiesa tanti crimini siano stati occultati e che all’interesse delle vittime sia stato preferito quello dei loro aguzzini? La risposta a mio avviso consiste nella teologia elaborata lungo i secoli che ha condotto a una vera e propria idolatria della struttura politica della Chiesa, a una sorta di sequestro dell’intelligenza da parte della struttura per affermare se stessa sopra ogni cosa, il cui inizio si può emblematicamente collocare, come già intuito da Dante, nella stesura del falso documento conosciuto come "Donazione di Costantino" da parte della cancelleria papale (documento svelato come falso da Lorenzo Valla nel 1440).
Questa teologia ecclesiastica ha condotto a fare dell’obbedienza alla Chiesa gerarchica il segno distintivo dell’essere cattolico: il cattolico è anzitutto colui che obbedisce al papa e ai vescovi. Se non obbedisci, non sei cattolico. Dante non lo sarebbe più, neppure san Paolo, che ebbe l’ardire di opporsi pubblicamente a Pietro, non potrebbe far parte di questa Chiesa cattolica. Al termine degli Esercizi spirituali così Ignazio di Loyola illustrava il rapporto con la verità che deve avere il cattolico: "Quello che io vedo bianco, lo credo nero se lo stabilisce la Chiesa gerarchica".
Da tempo immemorabile la bilancia è il simbolo della giustizia. Su un piatto della bilancia ci sono le vite di migliaia di bambini, ragazzi e giovani irrimediabilmente deturpate da uomini di Chiesa. Sull’altro, che cosa mette la Chiesa? Oggi è costretta a mettere i nomi dei colpevoli, e tantissimi soldi. Ma si ferma qui, e non basta. Essa infatti deve aggiungere se stessa, la struttura di potere che l’ha fatta precipitare in questo abisso. Solo a questa condizione i due piatti possono tornare in equilibrio e generare la vera giustizia, quella che Gesù diceva di cercare sopra ogni altra cosa.