sabato 5 febbraio 2011

Le notti di Arcore e la notte italiana

di GUSTAVO ZAGREBELSKY

una sintesi del discorso tenuto alla manifestazione di Libertà e Giustizia a Milano

Perché siamo qui? Che cosa abbiamo da dire, da chiedere? Niente e tutto. Niente per ciascuno di noi, tutto per tutti. Non siamo qui nemmeno come appartenenti a questo o quel partito, a questo o quel sindacato, a questa o quella associazione. Ciò che chiediamo, lo chiediamo come cittadini. Chi è qui presente non rappresenta che se stesso. Per questo, il nostro è un incontro altamente politico, come tutte le volte in cui, nei casi straordinari della vita democratica, tacciono le differenze e le appartenenze particolari e parlano le ragioni che accomunano i nudi cittadini, interessati alle sorti non mie o tue, ma comuni a tutti. Non siamo qui, perciò, per sostenere interessi di parte. Ma non siamo affatto contro i partiti. Anzi, ci rivolgiamo a loro, di maggioranza e di opposizione, affinché raccolgano il malessere che sale sempre più forte da un Paese in cui il disgusto cresce nei confronti di chi e di come governa; affinché i cittadini possano rispecchiarsi in chi li rappresenta e sia rinsaldato il rapporto di democrazia tra i primi e i secondi, un rapporto che oggi visibilmente è molto allentato.

Nulla abbiamo da chiedere per noi. Non chiediamo né posti, né danaro. Non siamo sul mercato. È corruzione delle istituzioni l'elargizione di posti in cambio di fedeltà. E' corruzione delle persone l'elargizione di danaro in cambio di sottomissione e servizi. Crediamo nella politica di persone libere, non asservite, mosse dalle proprie idee e non da meschini interessi personali per i quali si sacrifica la dignità al carro del potente che distribuisce vantaggi e protezione. Anzi, chiediamo che cessi questo sistema di corruzione delle coscienze e di avvilimento della democrazia, un sistema che ha invaso la vita pubblica e l'ha squalificata agli occhi dei cittadini, come regime delle clientele. I cittadini che ne sono fuori e vogliono restarne fuori chiedono diritti e non favori, legalità e non connivenze, sicurezza e non protezione. Non accettano doversi legare a nessuno per ottenere quello che è dovuto. Vogliono, in una parola, essere cittadini, non clienti e non ne possono più di vedersi scavalcati, nella politica, negli affari, nelle professioni, nelle Università, nelle gerarchie delle burocrazie pubbliche, a ogni livello, dal dirigente all'usciere, non da chi merita di più, ma da chi gode di maggiori appoggi e tutele.

Chiediamoci, in questo quadro, perché le notti di Arcore - non parlo di reati, perché per ora è un capitolo di ipotesi ancora da verificare - sono esplose come una bomba nel dibattito politico, pur in un Paese non puritano come il nostro, dove in fatto di morale sessuale si è sempre stati molto tolleranti, soprattutto rispetto ai potenti. Dicono che il moralismo deve restare fuori della politica, che ognuno a casa propria deve poter fare quel che gli aggrada (sempre che non violi il codice penale), che il pettegolezzo non deve mescolarsi con gli affari pubblici. È vero, ma non è questo il caso. Se si trattasse soltanto della forza compulsiva e irresistibile del richiamo sessuale nell'età del tramonto della vita, non avremmo nulla da dire. Forse deploreremmo, ma non giudicheremmo per non dover poi essere, eventualmente, noi stessi giudicati. Proveremmo semmai, probabilmente, compassione e magari perfino simpatia per questa prova di senile, fragile e ridicola condizione di umana solitudine. Ma non avremmo nulla da dire dal punto di vista politico.

Ma la verità non si lascia dipingere in questi termini. La domanda non è se piace o no lo stile di vita di una persona ricca e potente che passa le sue notti come sappiamo. Questa potrebbe essere una domanda che mette in campo categorie morali. La domanda, molto semplicemente, è invece: ci piace o no essere governati da quella persona. E questa è una domanda politica.

La risposta dipende dalla constatazione che tra le mura di residenze principesche, per quanto sappiamo, viene messo in scena, una scena in miniatura, esattamente ciò che avviene sul grande palcoscenico della politica nazionale. Le notti di Arcore assurgono a simbolo facilmente riconoscibile, in versione postribolare, di una realtà più vasta che ci riguarda tutti. È un simbolo che ci mostra in sintesi i caratteri ripugnanti di un certo modo di concepire i rapporti tra le persone, nello scambio tra chi può dare e chi può ottenere. È lo stesso modo che impera e nelle stanze d'una certa villa privata e in certi palazzi del potere. Questo, credo, è ciò che preoccupa da un lato, indigna dall'altro.

Non troviamo forse qui (nella villa) e là (nel Paese), gli stessi ingredienti? Innanzitutto, un'enorme disponibilità discrezionale di mezzi - danaro e posti - per cambiare l'esistenza degli altri attraverso l'elargizione di favori: qui, buste paga in nero, bigiotteria, promozioni in impensabili ruoli politici distribuiti come se fossero proprietà privata; là, finanziamenti, commesse, protezioni, carriere nelle istituzioni costituzionali (la legge elettorale attuale sembra fatta apposta per questo), nell'amministrazione pubblica, nelle aziende controllate. Dall'altra parte, troviamo la disponibilità a offrire se stessi, sapendo che la mano che offre può in qualunque momento ritrarsi o colpirti se vieni meno ai patti. Cambia la materia che sei disposto a dare in riconoscenza al potente: qui, corpi e sesso; là, voti, delibere, pressioni, corruzione. Ma il meccanismo è lo stesso: benefici e protezione in cambio di prove di sottomissione e fedeltà, cioè di prostituzione. Ed è un meccanismo omnipervasivo che supera la distinzione tra pubblico e privato, perché funziona ogni volta che hai qualcosa da offrire che piaccia a chi ha i mezzi per acquisirlo.

Qui e là questo sistema alimenta un mondo contiguo fatto di gente alla ricerca di chi "ci sta" e possa piacere a quello che è stato brillantemente definito "l'utilizzatore finale": lenoni e faccendieri, gli uni per selezionare e reclutare corpi da concorsi di bellezza e luoghi di malaffare e organizzarne il flusso, gli altri per sondare disponibilità e acquisire fedeltà nei luoghi delle istituzioni dove possono essere utili. Analogo, poi, è il rapporto che si instaura tra i partecipanti a questi giri del potere. Poiché la legge uguale per tutti sarebbe incompatibile con un tal modo di concepire il potere, i rapporti di connivenza, molto spesso, anzi quasi sempre, si basano sull'illegalità e, a loro volta, la producono. Tutti cascano così nelle mani l'uno dell'altro e il giro si avviluppa nella reciprocità dei ricatti. Così, chi se ne è messo a capo è destinato, prima o poi, a diventare succubo, a trasformarsi in una vuota maschera che parla, vuole, magari fa la faccia feroce ma in nome altrui, il suo unico interesse riducendosi progressivamente a non essere rovinato dai sodali. A quel punto, è pronto a tutto.
Ritorniamo all'inizio. Non chiediamo nulla per noi ma tutto per tutti. Il "tutto per tutti" è lo stato di diritto e l'uguaglianza di fronte alla legge; il rispetto delle istituzioni e della dignità delle persone, soprattutto quelle più esposte ai soprusi dei prepotenti: le donne, i lavoratori a rischio del posto di lavoro, gli immigrati che noi bolliamo come "clandestini"; la disciplina e l'onore di chi ricopre cariche di governo; l'autonomia della politica dall'ipoteca del denaro e dell'interesse privato nell'uso dei poteri pubblici; l'indipendenza dei poteri di garanzia e controllo; l'equità sociale; la liberazione dall'oppressione delle clientele. Un elenco penoso di doglianze e un vastissimo programma di ricostruzione che è precisamente ciò che sta scritto a chiare lettere e per esteso nella Costituzione: la Costituzione che per questa ragione è diventata segno di divisione tra opposte concezioni della politica.

La richiesta di dimissioni del Presidente del Consiglio non è accanimento contro una persona. Sappiamo bene che la concezione del potere ch'egli rappresenta ha, nella nostra società, radici lontane e profonde, di natura perfino antropologica, e che perciò ha buone possibilità di sopravvivergli in quelli che si preparano a raccoglierne la successione, per il momento in cui si sentiranno pronti ad abbandonarlo. Ma sappiamo anche che, per ora, quel sistema di potere è incarnato, e in modo eminente, proprio da lui. Onde è da lui che occorre incominciare, non per fermarsi a lui ma per guardare oltre, al sistema di potere che l'ha espresso e di cui egli è, finché gli sarà possibile, l'interprete più in vista.
La Repubblica (04 febbraio 2011)

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