El Salvador, la più piccola delle nazioni dell’America Centrale, è sempre stata definita dalle Amministrazioni USA “il cortile di casa”. Una presenza insignificante dal punto di vista geopolitico ma che doveva essere sottoposta a un severo controllo anche militare da parte della superpotenza per non rischiare di destabilizzare l’area e per garantire alcuni vantaggi economici. Violenze terribili hanno fatto sanguinare la storia di questo Paese durante i lunghi anni della guerra civile. Anche dopo la firma degli accordi di pace, le 14 famiglie più ricche hanno continuato ad esercitare il loro potere. Le elezioni presidenziali di domenica scorsa rappresentano un momento storico importante per il “cortile” che vuole acquistare dignità di casa, ovvero di popolo. Pax Christi che in tutti questi anni ha seguito sempre da vicino le diverse fasi della vita dei salvadoregni, è stata presente con una propria delegazione di osservatori a sorvegliare sulla correttezza delle operazioni di voto. Per questo abbiamo conosciuto gli esiti del voto di prima mano. Ha vinto Mauricio Funes candidato della sinistra che ha dichiarato: “L’opzione per i poveri, fatta un tempo dalla Chiesa, sarà la rotta del mio governo” (vedi comunicato http://www.peacelink.it/paxchristi/a/28995.html). Davvero un bel modo per celebrare il 29° anniversario del martirio di Mons. Romero. Il Sudamerica prosegue nel suo cammino di trasformazione e a noi non rimane che sperare in un sano contagio.
venerdì 20 marzo 2009
El Salvador volta pagina
El Salvador, la più piccola delle nazioni dell’America Centrale, è sempre stata definita dalle Amministrazioni USA “il cortile di casa”. Una presenza insignificante dal punto di vista geopolitico ma che doveva essere sottoposta a un severo controllo anche militare da parte della superpotenza per non rischiare di destabilizzare l’area e per garantire alcuni vantaggi economici. Violenze terribili hanno fatto sanguinare la storia di questo Paese durante i lunghi anni della guerra civile. Anche dopo la firma degli accordi di pace, le 14 famiglie più ricche hanno continuato ad esercitare il loro potere. Le elezioni presidenziali di domenica scorsa rappresentano un momento storico importante per il “cortile” che vuole acquistare dignità di casa, ovvero di popolo. Pax Christi che in tutti questi anni ha seguito sempre da vicino le diverse fasi della vita dei salvadoregni, è stata presente con una propria delegazione di osservatori a sorvegliare sulla correttezza delle operazioni di voto. Per questo abbiamo conosciuto gli esiti del voto di prima mano. Ha vinto Mauricio Funes candidato della sinistra che ha dichiarato: “L’opzione per i poveri, fatta un tempo dalla Chiesa, sarà la rotta del mio governo” (vedi comunicato http://www.peacelink.it/paxchristi/a/28995.html). Davvero un bel modo per celebrare il 29° anniversario del martirio di Mons. Romero. Il Sudamerica prosegue nel suo cammino di trasformazione e a noi non rimane che sperare in un sano contagio.
giovedì 5 marzo 2009
Nucleare?!?!
lunedì 2 marzo 2009
IL PAPA SCOMUNICATO
domenica 1 marzo 2009
Povera vecchia chiesa
Gli ex-voto del Pd esuli in Italia
di ILVO DIAMANTI da La Repubblica (1 marzo 2009)
SCOMPARSI. Molti elettori che un anno fa avevano votato per il Pd: chissà dove sono finiti. I sondaggi condotti dai maggiori istituti demoscopici, infatti, oggi stimano il voto al Pd fra il 22 e il 24%. Alcuni anche di meno. L’IdV di Antonio di Pietro, parallelamente, ha pressoché raddoppiato i consensi e si attesta intorno al 9%. Le diverse formazioni riunite un anno fa nella Sinistra Arcobaleno, infine, hanno risalito la china, ma di poco. Nell’insieme, queste stime di voto non danno risposta al quesito. Anzi: lo rilanciano. Dove sono finiti gli elettori che avevano votato per il Pd nel 2008?
Rispetto ad allora mancano circa 10 punti percentuali. L’IdV ne ha recuperato qualcuno. Ma non più di 2 o 3, secondo i flussi rilevati dai sondaggi. E gli altri 7-8? Quasi 3 milioni di elettori: svaniti. O meglio: invisibili a coloro che fanno sondaggi. Perché si nascondono. Non rispondono o si dichiarano astensionisti. Oppure, ancora, non dicono per chi voterebbero: perché non lo sanno.
Certamente, non si tratta di una novità. L’incertezza è una condizione normale, per gli elettori. D’altronde, è da tempo che non si vota più per atto di fede. Inoltre, non si è ancora in campagna elettorale. E di fronte non ci sono elezioni politiche, ma altre consultazioni, nelle quali gli elettori si sentono più liberi dalle appartenenze. Come dimenticare, d’altronde, che il centrodestra ha perduto tutte le elezioni successive al 2001? Amministrative, europee, regionali. Fino al 2006: tutte. Forza Italia, in particolare.
Nei mesi seguenti alle regionali del 2005 i sondaggi la stimavano sotto il 20%. Dieci punti in meno rispetto al 2001. Come il Pd oggi. Ridotto al rango del Pds nel 1994. Sappiamo tutti cosa sia successo in seguito. Parte degli elettori di FI sono rientrati a casa, trascinati dal loro leader. Mobilitati dal richiamo anticomunista. Dalla paura del ritorno di Prodi, Visco e D’Alema.
Se ne potrebbe desumere che qualcosa del genere possa avvenire, in futuro, anche nella base elettorale del Pd. Ma ne dubitiamo. Non solo perché un richiamo simmetrico, in nome dell’antiberlusconismo, oggi è già largamente espresso - urlato - da altri attori politici. Primo fra tutti: Di Pietro. Non solo perché le elezioni europee - come abbiamo detto - non sono percepite come una sfida decisiva. Visto che sono, appunto, europee. Ma perché la defezione dichiarata nei confronti del Pd ha un significato diverso da quella che colpiva il centrodestra negli anni del precedente governo Berlusconi.
Allora, gli astenuti reali (rilevati alle elezioni) e potenziali (stimati dai sondaggi), tra gli elettori di FI, erano semplicemente “delusi”. Insoddisfatti dell’andamento dell’economia e dell’azione del governo. Il quale aveva alimentato troppe promesse in campagna elettorale. Difficili da mantenere anche in tempi di crescita globale. Mentre, dopo l’11 settembre del 2001, quindi subito dopo l’insediamento, era esplosa una crisi epocale, destinata in seguito ad aggravarsi. Si trattava, perlopiù, di elettori senza passione. Moderati oppure estranei alla politica. Non antipolitici. Semplicemente impolitici. Non era impossibile risvegliarli. Spingerli ad uscire di nuovo allo scoperto. Il caso degli elettori del Pd è molto diverso, come si ricava da alcuni sondaggi recenti di Demos.
Coloro che, dopo averlo votato un anno fa, oggi si dicono astensionisti, agnostici o molto incerti (circa il 30% della base PD) appaiono elettori consapevoli, istruiti, politicamente coinvolti. Rispetto agli elettori fedeli del PD, si collocano più a sinistra. Si riconoscono nei valori della Costituzione. Sono laici e tolleranti. Ça va sans dire. Oggi nutrono una sfiducia totale nei confronti della politica e dei partiti. Anzitutto verso il Pd, per cui hanno votato. Per questo, non si sentono traditori, ma semmai traditi. Perché hanno creduto molto in questo soggetto politico. Per cui hanno votato: alle elezioni e alle primarie. E oggi non riescono a guardare altrove, a cercare alternative.
La loro sfiducia, d’altronde, si rivolge oltre il partito di riferimento. Anzi: oltre i partiti. Oltre la politica. Si allarga al resto della società. Agli altri cittadini. Con-cittadini. Rispetto ai quali, più che delusi, si sentono estranei. Gli ex-democratici. Guardano insofferenti gli italiani che votano per Berlusconi e per Bossi. Quelli che approvano le ronde e vorrebbero che gli immigrati se ne tornassero tutti a casa loro. La sera. Dopo aver lavorato il resto del giorno nei nostri cantieri. Gli ex-democratici. Provano fastidio - neppure indignazione - per gli italiani. Che preferiscono il maggiordomo di Berlusconi a Soru. Che guardano Amici e il Festival di Sanremo, il Grande Fratello. Che non si indignano per le interferenze della Chiesa. Né per gli interventi del governo sulla vicenda di Eluana Englaro.
Non sono semplicemente delusi e insoddisfatti, come gli azzurri che, per qualche anno, si allontanarono da Berlusconi. Ma risposero al suo richiamo nel momento della sfida finale. Questi ex-democratici. Vivono da “esuli” nel loro stesso paese. Lo guardano con distacco. Anzi, non lo guardano nemmeno. Per soffrire di meno, per sopire il disgusto: si sono creati un mondo parallelo. Non leggono quasi più i giornali. In tivù evitano i programmi di approfondimento politico, ma anche i tiggì (tutti di regime). Meglio, semmai, le inchieste di denuncia, i programmi di satira. Che ne rafforzano i sentimenti: il disprezzo e l’indignazione.
Questa raffigurazione, un po’ caricata (ma non troppo), potrebbe essere estesa a molti altri elettori di sinistra (cosiddetta “radicale”). Scomparsi anch’essi nel 2008 (2 milioni e mezzo in meno del 2006: chi li ha visti?). Non sarà facile recuperarli. Per Franceschini, Bersani, D’Alema, Letta. Né per Ferrero, Vendola, lo stesso Di Pietro. Perché non si tratta di risvegliare gli indifferenti o di scuotere i delusi. Ma di restituire fiducia nella politica e negli altri. Di far tornare gli esuli. Che vivono da stranieri nella loro stessa patria.
da La Repubblica (1 marzo 2009)
I fisici smontano l’illusione nucleare
da Megachip, con analisi di Luigi Sertorio e Guido Cosenza
L’inganno del nucleare italiano: è il titolo di un libro quanto mai tempestivo che sta per essere pubblicato da Fazi, a cura di Giulietto Chiesa, con una sua introduzione e i saggi di due fisici dal curriculum impressionante, Guido Cosenza e Luigi Sertorio. Offriamo ai nostri lettori alcune loro considerazioni a caldo, dopo i roboanti annunci nucleari recitati durante il vertice italofrancese. Partiamo da Sertorio.
L’illusione nucleare, l’ultimo appiglio del consumismo terminale di Luigi Sertorio
Ho passato la giornata a rispondere alle chiamate telefoniche e mail di amici e amiche costernati e sdegnati per le notizie televisive, gli articoli, le interviste in favore delle proposte del governo sul ritorno delle centrali elettronucleari in Italia. Vedo contrapposti da una parte persone che lavorano, che leggono, che amano la famiglia, che hanno una dignità nella vita professionale e sociale italiana, dall’altra parte uomini politici e giornalisti di palese ignoranza e inoltre scienziati inaspettatamente filonucleari. Per quanto riguarda l’indulgenza agnostica o l’aperta simpatia filonucleare di vari illustri professori universitari di fisica il commento che ricevo dagli amici è freddo: sono uomini di potere, oramai troppo lontani dai rischi del dubbio e della analisi aperta su problemi scabrosi. Rispondo che ho letto questi interventi e vedo che sono fondati sulla consultazione di testi ben noti di tecnologia nucleare: vero che gli ingegneri nucleari di anno in anno perfezionano i loro progetti nella direzione della sicurezza; vero che i reattori autofertilizzanti e subcritici sono un interessante campo di lavoro futuro, la cosiddetta “IV generazione”; e infine è noto ai geologi da alcuni secoli, non da ieri, che i depositi antichi di sale sono siti geologici testimoni di grande stabilità fisico-chimica. Tutto ciò sulla carta è inattaccabile e chi lo dice fa bella figura. Ma le persone di cui parlo, educate e responsabili, vogliono capire, e non solo credere all’autorità. Si chiedono e mi chiedono: cosa c’entra tutto ciò con la vita vera, con la dinamica del nostro lavoro e delle nostre professioni, il futuro dei nostri figli cittadini appartenenti a una nazione, non agli scaffali di un professore? È vero che fra dieci o vent’anni i nostri figli saranno affrancati dalla dipendenza dal petrolio comprato all’estero? Dove sono le risorse uranifere sul territorio italiano quelle che ci daranno il benessere economico? Se è vero che l’Italia ha tali risorse perché il nostro paese non ne è mai stato esportatore? Chi pagherà la costruzione delle raffinatissime nuove centrali elettronucleari? Lo Stato italiano, cioè noi cittadini laboriosi. Verso quale Stato straniero detentore delle miniere di materiale uranifero e gestore del processo di arricchimento andranno i soldi dei futuri cittadini italiani? Chi sa prevedere quale sarà il costo del combustibile nucleare fra molti decenni, in tempi ben lontani dalla responsabilità del nostro governo attuale, costo che dipenderà da imprevedibili squilibri e tensioni internazionali nelle quali l’Italia sarà, come oggi, paese spettatore ma non attore? I filonucleari ci mostrano i depositi sotterranei dei residui radioattivi nello stato americano del Nebraska; andranno laggiù le nostre scorie? Certamente non saranno affidate alla camorra, vogliamo ben credere, ma saranno rigorosamente e responsabilmente protette per sempre. Tale ricovero avverrà forse gratis, per benevolenza di amici d’oltreoceano? All’opposto pagheremo un affitto perenne, ma non si dice. E infine la domanda più importante. Ma chi può sostenere che il PIL italiano fra quarant’anni sarà sostenuto da dieci o venti gigawatt di erogazione elettronucleare, chi ha fatto tali calcoli? O sono semplici estrapolazioni a partire dal ben poco glorioso consumismo attuale che ha concentrato il denaro in poche mani e impoverito le nazioni fino al collasso che è in atto? Non parlateci di “nucleare” e di”rinnovabili” a sostegno dell’utopia del consumismo, parlateci di “non consumismo” cioè della realtà. I cittadini vogliono capire se chi li governa sa rispondere a queste domande che riguardano il futuro della vita democratica. [L'audio dell'intervento di Luigi Sertorio: su Pandora]
Ed ecco le considerazioni di Guido Cosenza:
Perché l’atomo non va bene né per l’economia né per l’ambiente di Guido Cosenza
Molti sono gli aspetti che portano a un netto rifiuto del ricorso al nucleare e varrà la pena analizzarli in dettaglio tutti in futuro. Qui ne valuterò solo due che considero fra i più rilevanti: 1) la mancata convenienza economica dell’operazione; 2) la ricaduta ambientale.
Economia
I costi riguardano – costruzione – approvvigionamento combustibile (costi in aumento vertiginoso) – assicurazioni (costi in rapidissima crescita) – continua implementazione di impianti di sicurezza – lunghi periodi di inattività (per riparazioni, aggiornamento, manutenzione) – dismissione, controllo e manutenzione degli impianti dismessi. Tutti questi elementi hanno fatto sì che il mercato bocciasse inesorabilmente la costruzione di centrali nucleari, come impresa commerciale vantaggiosa. Nessun consorzio esclusivamente privato da decenni si avventura nella costruzione di impianti di generazione di energia per via nucleare. Lo fanno gli stati, ma non per convenienza economica, per ragioni militari – i cicli produttivi ad uso militare e civile sono strettamente interconnessi. L’approvvigionamento dell’uranio inoltre ci renderebbe dipendenti, come per il petrolio, da fornitori esterni e i giacimenti uraniferi rilevati non basterebbero forse nemmeno per tutta la durata della vita delle centrali che il governo italiano si propone di costruire e che diverrebbero operative fra decenni. Un punto essenziale va messo in forte evidenza: i prolungati costi di smantellamento degli impianti, che prevedono migliaia di anni di controlli, aggiusti, manutenzione, sono chiaramente addossati alle nuove generazioni, se saranno in grado di sopravvivere ai disastri che andiamo procurando.
Ambiente
È improprio parlare di energia pulita. La costruzione degli impianti, la confezione del combustibile e quant’altro generano emissioni di anidride carbonica valutabili dell’ordine di grandezza di un quarto, un terzo di quelle rilasciate, a parità di produzione di energia, da una centrale a gas naturale. Il problema dello stoccaggio delle scorie poi è totalmente aperto. Il paese più avanzato in tal senso è la Finlandia, che prevede per il 2020 sia pronto un sito. Gli stati Uniti hanno avuto bocciato dalla corte d’appello del Distretto di Columbia il progetto di stoccaggio elaborato sotto le Yucca Mountains. Tutti gli altri paesi sono nella fase di studio. Quale soluzione allora? Ricorso a fonti rinnovabili, ma soprattutto un nuovo modo di vita, con consumi drasticamente ridotti nel mondo opulento.