venerdì 20 marzo 2009

El Salvador volta pagina


da Mosaico di pace del 17 marzo 2009 - Tonio Dell’Olio

El Salvador, la più piccola delle nazioni dell’America Centrale, è sempre stata definita dalle Amministrazioni USA “il cortile di casa”. Una presenza insignificante dal punto di vista geopolitico ma che doveva essere sottoposta a un severo controllo anche militare da parte della superpotenza per non rischiare di destabilizzare l’area e per garantire alcuni vantaggi economici. Violenze terribili hanno fatto sanguinare la storia di questo Paese durante i lunghi anni della guerra civile. Anche dopo la firma degli accordi di pace, le 14 famiglie più ricche hanno continuato ad esercitare il loro potere. Le elezioni presidenziali di domenica scorsa rappresentano un momento storico importante per il “cortile” che vuole acquistare dignità di casa, ovvero di popolo. Pax Christi che in tutti questi anni ha seguito sempre da vicino le diverse fasi della vita dei salvadoregni, è stata presente con una propria delegazione di osservatori a sorvegliare sulla correttezza delle operazioni di voto. Per questo abbiamo conosciuto gli esiti del voto di prima mano. Ha vinto Mauricio Funes candidato della sinistra che ha dichiarato: “L’opzione per i poveri, fatta un tempo dalla Chiesa, sarà la rotta del mio governo” (vedi comunicato http://www.peacelink.it/paxchristi/a/28995.html). Davvero un bel modo per celebrare il 29° anniversario del martirio di Mons. Romero. Il Sudamerica prosegue nel suo cammino di trasformazione e a noi non rimane che sperare in un sano contagio.

giovedì 5 marzo 2009

Nucleare?!?!

di Andrea Bertaglio (prima parte) e Marco Cedolin (seconda parte)
Mentre Obama pensa di puntare sulle energie rinnovabili e, si spera, sull’efficienza energetica per rilanciare l’economia americana (grazie ai milioni di posti di lavoro che questi settori creeranno), la vecchia Europa sta rischiando di rimanere davvero tale, perdendo la storica occasione di diventare leader, come è stata finora soprattutto grazie all’impegno tedesco, di settori quali appunto l’efficienza energetica, le energie rinnovabili e le tecnologie ambientali. Per non parlare delle occasioni di leadership politico-economiche ad essi correlate. Al vertice italo-francese di Roma del 24/02, infatti, Berlusconi e Sarkozy, con quindici ministri di entrambi i governi, hanno firmato una serie di accordi che riguardano diversi settori, come quello militare, quello dell’istruzione e quello dei trasporti, coi quali si conferma ad esempio un’altra dispendiosa scelta dalla dubbia utilità: quella del corridoio 5 e del TAV Torino-Lione. Ma la notizia del giorno è data dall’accordo stretto tra l’italiana Enel e la francese Edf, che dovrebbe portare alla costruzione di quattro centrali nucleari in Italia. E’ stato un tappeto rosso quello che i francesi (gli stessi che si sono voluti escludere a suo tempo per salvare l’italianità di Alitalia) hanno steso alla rinascita del nucleare italiano, perché se avverrà lo farà soprattutto all’insegna della loro tecnologia Epr. L’Italia in cambio si è impegnata per rafforzare la cooperazione a tutto campo, in particolare nei settori ricerca, costruzione, gestione delle scorie (dato che lo smaltimento non ne è possibile) e business congiunto anche in Paesi terzi. L’italianità non può proprio dormire sonni tranquilli, perché la tecnologia francese coprirà almeno il 50% dell’operazione, mentre il resto rimarrà contendibile, con un occhio di riguardo alla principale filiera tecnologica concorrente: l’Ap1000 dell’americana Westinghouse. Stando agli impegni presi dal nostro Governo, la prima centrale nucleare dovrebbe entrare in funzione nel 2020. Un vero e proprio sogno ad occhi aperti, se si pensa che centrali di questo tipo richiedono dai quindici ai venti anni per essere costruite e avviate in paesi efficienti e puntuali. L’Italia dei cantieri infiniti difficilmente riuscirà a rispettare simili scadenze. E ciò significa che per almeno altri quindici o venti anni la situazione energetica del nostro paese non cambierà. Mentre gli sforzi saranno incentrati sui nuovi impianti nucleari, infatti, si sottrarrà tempo ed ingenti somme di denaro (ovviamente pubblico) allo sviluppo ed all’implementazione di altre forme ben più sensate di fornitura di energia.
Andrea Bertaglio, Fonte: Terranauta.it (link all’articolo)

L’intraprendenza del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è pari solamente alla scelleratezza con cui è solito sottoscrivere con le altre nazioni accordi talmente sfavorevoli al nostro paese da risultare perfino imbarazzanti per coloro che ne beneficiano sfregandosi allegramente le mani. Nel maggio del 2004 il Cavaliere diede prova del proprio genio firmando con il Presidente francese Chirac un accordo in merito alla suddivisione dei costi del TAV in Val di Susa, nell’ambito del quale l’Italia era disposta ad accollarsi il 50% del costo totale della tratta internazionale (di 72 km) pur risultando essa solamente per un terzo di competenza italiana. I francesi ringraziarono e portarono a casa il cadeaux. Il 30 novembre 2005, costretto a trovare un barbatrucco che potesse permettere alla società Impregilo di defilarsi dal disastroso affare dei rifiuti in Campania, il genietto di Arcore varò nientemeno che un decreto legge che consentiva la risoluzione ope legis dei contratti con le società appaltatrici. Impregilo ringraziò e pochi mesi più tardi venne perfino premiata con l’appalto per la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina. Alla fine di agosto 2008 Berlusconi firmò il cosiddetto accordo fra Italia e Libia, nell’ambito del quale l’Italia si impegnava a versare 5 miliardi di dollari a Gheddafi, in cambio della promessa di un maggior controllo da parte del paese libico in merito alle imbarcazioni cariche di clandestini che regolarmente salpano alla volta delle coste italiane, e dopo la stipula dell’accordo hanno continuato a salpare in quantità superiore a quanto accaduto in precedenza. Gheddafi sta ancora sorridendo compiaciuto ed ottimista. Nell’autunno dello scorso anno il Silvio “nazionale”, dopo avere fortemente osteggiato la vendita di Alitalia ai francesi caldeggiata dal governo Prodi, ha pensato bene di svenderla ad una cordata d’imprenditori italiani che si sono a loro volta premurati immediatamente di risvenderla ai francesi, ad un prezzo notevolmente più contenuto rispetto a quello che Air France era disposta a sborsare solo qualche mese prima. I quotidiani d’oltralpe sono parsi perfino imbarazzati quando si sono ritrovati a fare dell’ironia sulla vicenda. Il 24 febbraio 2009, un Silvio Berlusconi impettito come non mai ha realizzato il suo vero capolavoro, firmando a Roma con il presidente francese Nicolas Sarkozy un accordo che prevede in collaborazione con la Francia la realizzazione sul suolo italiano di 4 centrali nucleari che utilizzeranno la tecnologia francese. Una vera manna per la Francia, unico paese al mondo a dipendere quasi totalmente (circa 80%) dal nucleare per quanto riguarda l’approvvigionamento energetico, ed ha necessità di esportare e capitalizzare i propri investimenti nell’atomo. Una vera iattura per l’Italia che dopo il referendum del 1987 era riuscita a liberarsi da una tecnologia pericolosa ed antieconomica che buona parte dei paesi nel mondo stanno abbandonando. Nonostante dopo più di 20 anni lo smantellamento delle vecchie centrali nucleari italiane sia stato completato solamente all’8% e il governo non abbia la benché minima idea di dove stipare la grande quantità di scorie nucleari prodotte nel breve arco di tempo durante il quale le centrali sono state in attività.
Marco Cedolin

lunedì 2 marzo 2009

IL PAPA SCOMUNICATO

di Gérard Bessières
FUORI DALLA COMUNIONE DELLA CHIESA: LÀ UN SACERDOTE FRANCESE RELEGA IL PAPA DOPO LA REVOCA DELLA SCOMUNICA AI LEFEBVRIANI.

Gérard Bessières, autore di questa lettera inviata alla rivista francese “Témoignage Chrétien” (5/2/2009), è  un prete .

È enorme, è vero, sproporzionato rispetto alla mia umile persona! Ma è bene che lo confessi, non posso nasconderlo agli amici: ho scomunicato Benedetto XVI. Proprio quando lui aveva appena ritirato la scomunica ai vescovi integralisti…!Non mi prendete sul serio? Eppure è vero. Che cosa è successo? A fine gennaio, quando Roma ha reintegrato questi quattro vescovi scismatici senza tenere in gran conto il loro rifiuto del rinnovamento dell’ultimo concilio, del riconoscimento della libertà religiosa, dell’ecumenismo, dell’apertura al mondo, e non vado oltre, ho smesso di nominare il vescovo di Roma nella preghiera eucaristica.Notate che non l’ho inventato io un simile silenzio. Nelle Chiese antiche – sentite come sono portato verso la Tradizione – quando c’erano delle zuffe, spesso passeggere, si smetteva di fare menzione durante la messa dei compagni con cui si era in lite. Li si nominava di nuovo quando si erano sistemate le cose. Dunque non gridolini ipocriti, non sospiri verso l’unità, ma dichiarazioni nette di disaccordo fino a che tutto fosse chiarito.Allora ho fatto lo stesso.E poi, quando è troppo è troppo. Dopo la gaffe di Ratisbona, la nomina a Varsavia di un arcivescovo (mons. Stanislaw Wielgus, ndt) ex informatore della polizia comunista, che ha dovuto licenziare sulla soglia della cattedrale, la creazione di un priorato per quattro preti integralisti in barba all’arcivescovo di Bordeaux, la possibilità offerta a questi integralisti dipendenti direttamente da Roma di aprire un seminario (cosa che rivelava, dietro i richiami tremolanti all’unità, una strategia di restaurazione di una Chiesa “all’antica”), ecco che si fanno ancora delle avances ai discepoli ostinati di mons. Lefebvre!Toglierò un giorno la scomunica? Servirebbero dei segni concreti di pentimento e di fedeltà agli orientamenti del Vaticano II.Purché non io mi faccia trattare da scismatico… Ma può darsi che in quel momento, ci si occuperà di me, mi si incoraggerà a celebrare la messa nella lingua della mia vita, con la gente, senza volgere loro la schiena, può anche darsi che ci si preoccuperà della loro libertà di coscienza, che condivideranno le loro attese, quali che siano la loro religione, le loro convinzioni e i colori delle loro anime. Volgendosi risolutamente verso il futuro! Con qualcuno, un ebreo, che sembra un po’ dimenticato a Ecône e che non parlava latino: Gesù.
Articolo tratto da ADISTA

domenica 1 marzo 2009

Povera vecchia chiesa

Su Repubblica del 28 febbraio Michele Serra  scrive un osservazione intelligente e pungente:
 
“Se un giornale intervista qualcuno che, con parole sue,esprime opinioni diverse dalle vostre (cosa che a ciascuno di noi capita più volte al giorno),ovviamente considerate la cosa come una delle tante, normali manifestazioni della libertà  di pensiero e di espressione. Non così la Conferenza episcopale piemontese, che ha ritenuto, con una nota ufficiale, di esprimere rincrescimento e stupore perchè La Stampa ha osato pubblicare un’intervista al teologo Hans Kung, non concorde con il Papa.
L’episodio è stupefacente (un quotidiano, ovviamente, non è tenuto a chiedere ai vescovi l’autorizzazione di intervistare chicchessia),ma è anche allarmante. Non perchè aggiunga più di tanto al neo-autoritarismo culturale e politico delle gerarchie ecclesiali, fenomeno oramai assodato. Ma perchè il rimbrotto dei vescovi alla Stampa è così goffo, così indifendibile, così maldestramente censorio, da chiedersi se esiste ancora una logica, e persino un senno, nell’atteggiamento di molti vescovi iper-papisti. La Chiesa ha una sua saggezza compromissoria, una sua morbidezza ecumenica che le ha permesso, nell’evo recente, di sopportare e soprattutto di farsi sopportare. Questa assurda  durezza, questa severità persino maleducata, da dove diavolo vengono?
Dove è finita la buona vecchia ipocrisia cattolica?

Gli ex-voto del Pd esuli in Italia

di ILVO DIAMANTI  da La Repubblica (1 marzo 2009)

SCOMPARSI. Molti elettori che un anno fa avevano votato per il Pd: chissà dove sono finiti. I sondaggi condotti dai maggiori istituti demoscopici, infatti, oggi stimano il voto al Pd fra il 22 e il 24%. Alcuni anche di meno. L’IdV di Antonio di Pietro, parallelamente, ha pressoché raddoppiato i consensi e si attesta intorno al 9%. Le diverse formazioni riunite un anno fa nella Sinistra Arcobaleno, infine, hanno risalito la china, ma di poco. Nell’insieme, queste stime di voto non danno risposta al quesito. Anzi: lo rilanciano. Dove sono finiti gli elettori che avevano votato per il Pd nel 2008?

Rispetto ad allora mancano circa 10 punti percentuali. L’IdV ne ha recuperato qualcuno. Ma non più di 2 o 3, secondo i flussi rilevati dai sondaggi. E gli altri 7-8? Quasi 3 milioni di elettori: svaniti. O meglio: invisibili a coloro che fanno sondaggi. Perché si nascondono. Non rispondono o si dichiarano astensionisti. Oppure, ancora, non dicono per chi voterebbero: perché non lo sanno.

Certamente, non si tratta di una novità. L’incertezza è una condizione normale, per gli elettori. D’altronde, è da tempo che non si vota più per atto di fede. Inoltre, non si è ancora in campagna elettorale. E di fronte non ci sono elezioni politiche, ma altre consultazioni, nelle quali gli elettori si sentono più liberi dalle appartenenze. Come dimenticare, d’altronde, che il centrodestra ha perduto tutte le elezioni successive al 2001? Amministrative, europee, regionali. Fino al 2006: tutte. Forza Italia, in particolare.

Nei mesi seguenti alle regionali del 2005 i sondaggi la stimavano sotto il 20%. Dieci punti in meno rispetto al 2001. Come il Pd oggi. Ridotto al rango del Pds nel 1994. Sappiamo tutti cosa sia successo in seguito. Parte degli elettori di FI sono rientrati a casa, trascinati dal loro leader. Mobilitati dal richiamo anticomunista. Dalla paura del ritorno di Prodi, Visco e D’Alema.

Se ne potrebbe desumere che qualcosa del genere possa avvenire, in futuro, anche nella base elettorale del Pd. Ma ne dubitiamo. Non solo perché un richiamo simmetrico, in nome dell’antiberlusconismo, oggi è già largamente espresso - urlato - da altri attori politici. Primo fra tutti: Di Pietro. Non solo perché le elezioni europee - come abbiamo detto - non sono percepite come una sfida decisiva. Visto che sono, appunto, europee. Ma perché la defezione dichiarata nei confronti del Pd ha un significato diverso da quella che colpiva il centrodestra negli anni del precedente governo Berlusconi.

Allora, gli astenuti reali (rilevati alle elezioni) e potenziali (stimati dai sondaggi), tra gli elettori di FI, erano semplicemente “delusi”. Insoddisfatti dell’andamento dell’economia e dell’azione del governo. Il quale aveva alimentato troppe promesse in campagna elettorale. Difficili da mantenere anche in tempi di crescita globale. Mentre, dopo l’11 settembre del 2001, quindi subito dopo l’insediamento, era esplosa una crisi epocale, destinata in seguito ad aggravarsi. Si trattava, perlopiù, di elettori senza passione. Moderati oppure estranei alla politica. Non antipolitici. Semplicemente impolitici. Non era impossibile risvegliarli. Spingerli ad uscire di nuovo allo scoperto. Il caso degli elettori del Pd è molto diverso, come si ricava da alcuni sondaggi recenti di Demos.

Coloro che, dopo averlo votato un anno fa, oggi si dicono astensionisti, agnostici o molto incerti (circa il 30% della base PD) appaiono elettori consapevoli, istruiti, politicamente coinvolti. Rispetto agli elettori fedeli del PD, si collocano più a sinistra. Si riconoscono nei valori della Costituzione. Sono laici e tolleranti. Ça va sans dire. Oggi nutrono una sfiducia totale nei confronti della politica e dei partiti. Anzitutto verso il Pd, per cui hanno votato. Per questo, non si sentono traditori, ma semmai traditi. Perché hanno creduto molto in questo soggetto politico. Per cui hanno votato: alle elezioni e alle primarie. E oggi non riescono a guardare altrove, a cercare alternative.

La loro sfiducia, d’altronde, si rivolge oltre il partito di riferimento. Anzi: oltre i partiti. Oltre la politica. Si allarga al resto della società. Agli altri cittadini. Con-cittadini. Rispetto ai quali, più che delusi, si sentono estranei. Gli ex-democratici. Guardano insofferenti gli italiani che votano per Berlusconi e per Bossi. Quelli che approvano le ronde e vorrebbero che gli immigrati se ne tornassero tutti a casa loro. La sera. Dopo aver lavorato il resto del giorno nei nostri cantieri. Gli ex-democratici. Provano fastidio - neppure indignazione - per gli italiani. Che preferiscono il maggiordomo di Berlusconi a Soru. Che guardano Amici e il Festival di Sanremo, il Grande Fratello. Che non si indignano per le interferenze della Chiesa. Né per gli interventi del governo sulla vicenda di Eluana Englaro.

Non sono semplicemente delusi e insoddisfatti, come gli azzurri che, per qualche anno, si allontanarono da Berlusconi. Ma risposero al suo richiamo nel momento della sfida finale. Questi ex-democratici. Vivono da “esuli” nel loro stesso paese. Lo guardano con distacco. Anzi, non lo guardano nemmeno. Per soffrire di meno, per sopire il disgusto: si sono creati un mondo parallelo. Non leggono quasi più i giornali. In tivù evitano i programmi di approfondimento politico, ma anche i tiggì (tutti di regime). Meglio, semmai, le inchieste di denuncia, i programmi di satira. Che ne rafforzano i sentimenti: il disprezzo e l’indignazione.

Questa raffigurazione, un po’ caricata (ma non troppo), potrebbe essere estesa a molti altri elettori di sinistra (cosiddetta “radicale”). Scomparsi anch’essi nel 2008 (2 milioni e mezzo in meno del 2006: chi li ha visti?). Non sarà facile recuperarli. Per Franceschini, Bersani, D’Alema, Letta. Né per Ferrero, Vendola, lo stesso Di Pietro. Perché non si tratta di risvegliare gli indifferenti o di scuotere i delusi. Ma di restituire fiducia nella politica e negli altri. Di far tornare gli esuli. Che vivono da stranieri nella loro stessa patria.

da La Repubblica (1 marzo 2009)

I fisici smontano l’illusione nucleare

da Megachip, con analisi di Luigi Sertorio e Guido Cosenza

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L’inganno del nucleare italiano: è il titolo di un libro quanto mai tempestivo che sta per essere pubblicato da Fazi, a cura di Giulietto Chiesa, con una sua introduzione e i saggi di due fisici dal curriculum impressionante, Guido Cosenza e Luigi Sertorio. Offriamo ai nostri lettori alcune loro considerazioni a caldo, dopo i roboanti annunci nucleari recitati durante il vertice italofrancese. Partiamo da Sertorio.

L’illusione nucleare, l’ultimo appiglio del consumismo terminale di Luigi Sertorio 
Ho passato la giornata a rispondere alle chiamate telefoniche e mail di amici e amiche costernati e sdegnati per le notizie televisive, gli articoli, le interviste in favore delle proposte del governo sul ritorno delle centrali elettronucleari in Italia. Vedo contrapposti da una parte persone che lavorano, che leggono, che amano la famiglia, che hanno una dignità nella vita professionale e sociale italiana, dall’altra parte uomini politici e giornalisti di palese ignoranza e inoltre scienziati inaspettatamente filonucleari. Per quanto riguarda l’indulgenza agnostica o l’aperta simpatia filonucleare di vari illustri professori universitari di fisica il commento che ricevo dagli amici è freddo: sono uomini di potere, oramai troppo lontani dai rischi del dubbio e della analisi aperta su problemi scabrosi. Rispondo che ho letto questi interventi e vedo che sono fondati sulla consultazione di testi ben noti di tecnologia nucleare: vero che gli ingegneri nucleari di anno in anno perfezionano i loro progetti nella direzione della sicurezza; vero che i reattori autofertilizzanti e subcritici sono un interessante campo di lavoro futuro, la cosiddetta “IV generazione”; e infine è noto ai geologi da alcuni secoli, non da ieri, che i depositi antichi di sale sono siti geologici testimoni di grande stabilità fisico-chimica. Tutto ciò sulla carta è inattaccabile e chi lo dice fa bella figura. Ma le persone di cui parlo, educate e responsabili, vogliono capire, e non solo credere all’autorità. Si chiedono e mi chiedono: cosa c’entra tutto ciò con la vita vera, con la dinamica del nostro lavoro e delle nostre professioni, il futuro dei nostri figli cittadini appartenenti a una nazione, non agli scaffali di un professore? È vero che fra dieci o vent’anni i nostri figli saranno affrancati dalla dipendenza dal petrolio comprato all’estero? Dove sono le risorse uranifere sul territorio italiano quelle che ci daranno il benessere economico? Se è vero che l’Italia ha tali risorse perché il nostro paese non ne è mai stato esportatore? Chi pagherà la costruzione delle raffinatissime nuove centrali elettronucleari? Lo Stato italiano, cioè noi cittadini laboriosi. Verso quale Stato straniero detentore delle miniere di materiale uranifero e gestore del processo di arricchimento andranno i soldi dei futuri cittadini italiani? Chi sa prevedere quale sarà il costo del combustibile nucleare fra molti decenni, in tempi ben lontani dalla responsabilità del nostro governo attuale, costo che dipenderà da imprevedibili squilibri e tensioni internazionali nelle quali l’Italia sarà, come oggi, paese spettatore ma non attore? I filonucleari ci mostrano i depositi sotterranei dei residui radioattivi nello stato americano del Nebraska; andranno laggiù le nostre scorie? Certamente non saranno affidate alla camorra, vogliamo ben credere, ma saranno rigorosamente e responsabilmente protette per sempre. Tale ricovero avverrà forse gratis, per benevolenza di amici d’oltreoceano? All’opposto pagheremo un affitto perenne, ma non si dice. E infine la domanda più importante. Ma chi può sostenere che il PIL italiano fra quarant’anni sarà sostenuto da dieci o venti gigawatt di erogazione elettronucleare, chi ha fatto tali calcoli? O sono semplici estrapolazioni a partire dal ben poco glorioso consumismo attuale che ha concentrato il denaro in poche mani e impoverito le nazioni fino al collasso che è in atto? Non parlateci di “nucleare” e di”rinnovabili” a sostegno dell’utopia del consumismo, parlateci di “non consumismo” cioè della realtà. I cittadini vogliono capire se chi li governa sa rispondere a queste domande che riguardano il futuro della vita democratica. [L'audio dell'intervento di Luigi Sertorio: su Pandora]

Ed ecco le considerazioni di Guido Cosenza:

Perché l’atomo non va bene né per l’economia né per l’ambiente di Guido Cosenza

Molti sono gli aspetti che portano a un netto rifiuto del ricorso al nucleare e varrà la pena analizzarli in dettaglio tutti in futuro. Qui ne valuterò solo due che considero fra i più rilevanti: 1) la mancata convenienza economica dell’operazione; 2) la ricaduta ambientale.
Economia
I costi riguardano – costruzione – approvvigionamento combustibile (costi in aumento vertiginoso) – assicurazioni (costi in rapidissima crescita) – continua implementazione di impianti di sicurezza – lunghi periodi di inattività (per riparazioni, aggiornamento, manutenzione) – dismissione, controllo e manutenzione degli impianti dismessi. Tutti questi elementi hanno fatto sì che il mercato bocciasse inesorabilmente la costruzione di centrali nucleari, come impresa commerciale vantaggiosa. Nessun consorzio esclusivamente privato da decenni si avventura nella costruzione di impianti di generazione di energia per via nucleare. Lo fanno gli stati, ma non per convenienza economica, per ragioni militari – i cicli produttivi ad uso militare e civile sono strettamente interconnessi. L’approvvigionamento dell’uranio inoltre ci renderebbe dipendenti, come per il petrolio, da fornitori esterni e i giacimenti uraniferi rilevati non basterebbero forse nemmeno per tutta la durata della vita delle centrali che il governo italiano si propone di costruire e che diverrebbero operative fra decenni. Un punto essenziale va messo in forte evidenza: i prolungati costi di smantellamento degli impianti, che prevedono migliaia di anni di controlli, aggiusti, manutenzione, sono chiaramente addossati alle nuove generazioni, se saranno in grado di sopravvivere ai disastri che andiamo procurando.
Ambiente
È improprio parlare di energia pulita. La costruzione degli impianti, la confezione del combustibile e quant’altro generano emissioni di anidride carbonica valutabili dell’ordine di grandezza di un quarto, un terzo di quelle rilasciate, a parità di produzione di energia, da una centrale a gas naturale. Il problema dello stoccaggio delle scorie poi è totalmente aperto. Il paese più avanzato in tal senso è la Finlandia, che prevede per il 2020 sia pronto un sito. Gli stati Uniti hanno avuto bocciato dalla corte d’appello del Distretto di Columbia il progetto di stoccaggio elaborato sotto le Yucca Mountains. Tutti gli altri paesi sono nella fase di studio. Quale soluzione allora? Ricorso a fonti rinnovabili, ma soprattutto un nuovo modo di vita, con consumi drasticamente ridotti nel mondo opulento.