da Megachip, con analisi di Luigi Sertorio e Guido Cosenza
L’inganno del nucleare italiano: è il titolo di un libro quanto mai tempestivo che sta per essere pubblicato da Fazi, a cura di Giulietto Chiesa, con una sua introduzione e i saggi di due fisici dal curriculum impressionante, Guido Cosenza e Luigi Sertorio. Offriamo ai nostri lettori alcune loro considerazioni a caldo, dopo i roboanti annunci nucleari recitati durante il vertice italofrancese. Partiamo da Sertorio.
L’illusione nucleare, l’ultimo appiglio del consumismo terminale di Luigi Sertorio
Ho passato la giornata a rispondere alle chiamate telefoniche e mail di amici e amiche costernati e sdegnati per le notizie televisive, gli articoli, le interviste in favore delle proposte del governo sul ritorno delle centrali elettronucleari in Italia. Vedo contrapposti da una parte persone che lavorano, che leggono, che amano la famiglia, che hanno una dignità nella vita professionale e sociale italiana, dall’altra parte uomini politici e giornalisti di palese ignoranza e inoltre scienziati inaspettatamente filonucleari. Per quanto riguarda l’indulgenza agnostica o l’aperta simpatia filonucleare di vari illustri professori universitari di fisica il commento che ricevo dagli amici è freddo: sono uomini di potere, oramai troppo lontani dai rischi del dubbio e della analisi aperta su problemi scabrosi. Rispondo che ho letto questi interventi e vedo che sono fondati sulla consultazione di testi ben noti di tecnologia nucleare: vero che gli ingegneri nucleari di anno in anno perfezionano i loro progetti nella direzione della sicurezza; vero che i reattori autofertilizzanti e subcritici sono un interessante campo di lavoro futuro, la cosiddetta “IV generazione”; e infine è noto ai geologi da alcuni secoli, non da ieri, che i depositi antichi di sale sono siti geologici testimoni di grande stabilità fisico-chimica. Tutto ciò sulla carta è inattaccabile e chi lo dice fa bella figura. Ma le persone di cui parlo, educate e responsabili, vogliono capire, e non solo credere all’autorità. Si chiedono e mi chiedono: cosa c’entra tutto ciò con la vita vera, con la dinamica del nostro lavoro e delle nostre professioni, il futuro dei nostri figli cittadini appartenenti a una nazione, non agli scaffali di un professore? È vero che fra dieci o vent’anni i nostri figli saranno affrancati dalla dipendenza dal petrolio comprato all’estero? Dove sono le risorse uranifere sul territorio italiano quelle che ci daranno il benessere economico? Se è vero che l’Italia ha tali risorse perché il nostro paese non ne è mai stato esportatore? Chi pagherà la costruzione delle raffinatissime nuove centrali elettronucleari? Lo Stato italiano, cioè noi cittadini laboriosi. Verso quale Stato straniero detentore delle miniere di materiale uranifero e gestore del processo di arricchimento andranno i soldi dei futuri cittadini italiani? Chi sa prevedere quale sarà il costo del combustibile nucleare fra molti decenni, in tempi ben lontani dalla responsabilità del nostro governo attuale, costo che dipenderà da imprevedibili squilibri e tensioni internazionali nelle quali l’Italia sarà, come oggi, paese spettatore ma non attore? I filonucleari ci mostrano i depositi sotterranei dei residui radioattivi nello stato americano del Nebraska; andranno laggiù le nostre scorie? Certamente non saranno affidate alla camorra, vogliamo ben credere, ma saranno rigorosamente e responsabilmente protette per sempre. Tale ricovero avverrà forse gratis, per benevolenza di amici d’oltreoceano? All’opposto pagheremo un affitto perenne, ma non si dice. E infine la domanda più importante. Ma chi può sostenere che il PIL italiano fra quarant’anni sarà sostenuto da dieci o venti gigawatt di erogazione elettronucleare, chi ha fatto tali calcoli? O sono semplici estrapolazioni a partire dal ben poco glorioso consumismo attuale che ha concentrato il denaro in poche mani e impoverito le nazioni fino al collasso che è in atto? Non parlateci di “nucleare” e di”rinnovabili” a sostegno dell’utopia del consumismo, parlateci di “non consumismo” cioè della realtà. I cittadini vogliono capire se chi li governa sa rispondere a queste domande che riguardano il futuro della vita democratica. [L'audio dell'intervento di Luigi Sertorio: su Pandora]
Ed ecco le considerazioni di Guido Cosenza:
Perché l’atomo non va bene né per l’economia né per l’ambiente di Guido Cosenza
Molti sono gli aspetti che portano a un netto rifiuto del ricorso al nucleare e varrà la pena analizzarli in dettaglio tutti in futuro. Qui ne valuterò solo due che considero fra i più rilevanti: 1) la mancata convenienza economica dell’operazione; 2) la ricaduta ambientale.
Economia
I costi riguardano – costruzione – approvvigionamento combustibile (costi in aumento vertiginoso) – assicurazioni (costi in rapidissima crescita) – continua implementazione di impianti di sicurezza – lunghi periodi di inattività (per riparazioni, aggiornamento, manutenzione) – dismissione, controllo e manutenzione degli impianti dismessi. Tutti questi elementi hanno fatto sì che il mercato bocciasse inesorabilmente la costruzione di centrali nucleari, come impresa commerciale vantaggiosa. Nessun consorzio esclusivamente privato da decenni si avventura nella costruzione di impianti di generazione di energia per via nucleare. Lo fanno gli stati, ma non per convenienza economica, per ragioni militari – i cicli produttivi ad uso militare e civile sono strettamente interconnessi. L’approvvigionamento dell’uranio inoltre ci renderebbe dipendenti, come per il petrolio, da fornitori esterni e i giacimenti uraniferi rilevati non basterebbero forse nemmeno per tutta la durata della vita delle centrali che il governo italiano si propone di costruire e che diverrebbero operative fra decenni. Un punto essenziale va messo in forte evidenza: i prolungati costi di smantellamento degli impianti, che prevedono migliaia di anni di controlli, aggiusti, manutenzione, sono chiaramente addossati alle nuove generazioni, se saranno in grado di sopravvivere ai disastri che andiamo procurando.
Ambiente
È improprio parlare di energia pulita. La costruzione degli impianti, la confezione del combustibile e quant’altro generano emissioni di anidride carbonica valutabili dell’ordine di grandezza di un quarto, un terzo di quelle rilasciate, a parità di produzione di energia, da una centrale a gas naturale. Il problema dello stoccaggio delle scorie poi è totalmente aperto. Il paese più avanzato in tal senso è la Finlandia, che prevede per il 2020 sia pronto un sito. Gli stati Uniti hanno avuto bocciato dalla corte d’appello del Distretto di Columbia il progetto di stoccaggio elaborato sotto le Yucca Mountains. Tutti gli altri paesi sono nella fase di studio. Quale soluzione allora? Ricorso a fonti rinnovabili, ma soprattutto un nuovo modo di vita, con consumi drasticamente ridotti nel mondo opulento.
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