In quanto credenti,
abbiamo dei doveri e delle possibilità
per portare abitualmente "i poveri" al centro delle nostre comunità cristiane ?
"Al povero dalla mano inaridita imbarazzato nel chiedere la grazia in giorno di sabato, Gesù dice: (Le 6,8). E'un comando esplicito alla comunità cristiana perché metta sempre il povero al centro dei suoi valori e della sua pastorale". (Mons. Raffaele Nogaro, vescovo).
Una ventina di preti diocesani che nel loro servizio pastorale hanno avuto l'opportunità e la grazia di accostare con una certa continuità e mettersi a servizio di svariate forme di disagio umano, da alcuni mesi si ritrovano assieme con un primo gruppo di laici, per valutare se Cristo e i suoi poveri non ci chiedano anche di comunicare all'intera comunità cristiana - magari con un discreto "passar parola" - certe scelte evangeliche che ci sembra di aver meglio scoperto accanto alla loro emarginazione e alle loro sofferenze.
Nella visione di Chiesa di S.Paolo, infatti, ogni singolo membro di questo corpo misterioso, per quanto apparentemente insignificante, ha un suo ruolo a vantaggio dell'intera comunità e deve valorizzarlo. Confessiamo che da tempo alcuni di noi sentono pesare questa attesa di Dio anche su di loro (pur riconoscendo i tanti nostri limiti - di cui chiediamo di volerci scusare - anche perché rischiano di offuscare la valenza della nostra testimonianza) per aiutare la nostra Chiesa diocesana a riportare i poveri al centro delle sue sollecitudini abituali.
Anche perché, nell'intenzione di Cristo, ogni comunità cristiana dovrebbe caratterizzarsi proprio per questa "scelta preferenziale" nei confronti di tutte le forme della debolezza umana che, altrimenti, rischiano di restare ai margini di una società del benessere. Lo sperimentiamo accanto alle persone ("vecchie" e "nuove" povertà) con cui lavoriamo: disabili intellettivi - malati mentali e depressi - anziani - carcerati ed ex detenuti - giovani sbandati o problematici - donne costrette a prostituirsi - immigrati - zingari - tossicodipendenti - alcoolisti. A cui, in questa crisi, vanno aggiunte le tante nascoste forme di povertà di persone che hanno perduto o non trovano il lavoro. Nonché il numero crescente dei non nati: embrioni, diagnosticati imperfetti nella diagnosi prenatale, che nel 92% non vengono fatti nascere.
Pare a noi di riscontrare anche in diocesi gravi diseguaglianze fra comunità e comunità nell'abituale, fattiva sollecitudine a favore dei deboli di turno del proprio territorio e questo proprio nei confronti di uno dei segni che, per tutte, dovrebbe costituire la garanzia dell'autenticità sia della loro fede, sia delle loro eucaristie. Per questo San Paolo diceva non vera l'eucaristia dei cristiani di Corinto e San Tommaso d'Aquino parlava di un "mendacium in sacramentum" (un falso nel sacramento) se e quando la Messa non apre alla solidarietà.
Tanto dolore umano, tante umiliazioni, tante forme di sopraffazione potrebbero essere eliminate o, per lo meno, alleviate se trovassero nel territorio una generalizzata solidarietà e protesta comunitaria. Sia in forza di quella solidarietà che l'uomo deve ad ogni altro uomo in difficoltà, sia, e in più, in forza di una fede che ci avverte che tutto quello che facciamo o non facciamo a difesa dei deboli di turno, Cristo lo ritiene fatto o non fatto direttamente a Lui stesso Tanto da avvertirci che proprio questo sarà il criterio in base al quale un giorno saremo giudicati e in conseguenza ammessi o esclusi per sempre dal suo Paradiso.
E forse - nel tentativo di trasmettere la vera fede soprattutto in questa società dell'indifferenza e di un diffuso egoismo - sarebbe necessario ricordare più spesso che Cristo venne al mondo soprattutto per correggere due gravi carenze della religiosità dell'epoca: un'idea scoraggiante del Padre presentato come giudice impietoso e austero e - altra fondamentale, diffusa carenza - la separazione e la pesante contraddizione fra un culto rigorosamente osservato e una vita pratica nella quale si continuava ad opprimere e sfruttare i tre strati sociali più deboli: l'orfano, la vedova e lo straniero. Due carenze non ancora superate nella religiosità di molti.
Con l'avvertenza - come raccomanda il Concilio di non continuare a dare "per carità" (e quindi in modo del tutto discrezionale, magari con i residui di bilancio...) "quello che è già dovuto all'uomo a titolo di giustizia" (Concilio Vaticano, A.A.8); umiliandolo. Perché la prima forma della vera carità cristiana è il rispetto della giustizia. Ed è soprattutto per questo che si avverte sempre più il bisogno di "politici" che abbiano davvero la passione per l'uomo e per la difesa dei suoi diritti. Esigendo, fra l'altro, l'effettiva applicazione delle tante normative già formalizzate a favore anche dei più deboli (a partire dalle molte "carte" sui loro diritti).
E' anche da ricordare che (per molti autori contemporanei) Cristo per diffondere la fede, ha voluto aver bisogno di una "società alternativa" (la Chiesa) dove "la novità cristiana" si esprimeva soprattutto nel fatto che ii forti e i potenti di turno si distinguevano nel servizio e nelle difesa dei più deboli. Segno di un mondo nuovo dove finalmente, al posto della prepotenza e dell'egoismo, le relazioni umane si caratterizzano per il rispetto e la solidarietà. Una Chiesa missionaria deve ricordare che questa "novità" - per Papa Benedetto XVI - è una delle condizioni per la sua rinnovata efficacia (vedi discorso del Papa nel Convegno ecclesiale di Verona).
Possono essere due e diverse le motivazioni individuali che portano a solidarizzare con i più deboli: la passione solidale dell'uomo nei confronti di ogni altro uomo che trovandosi in difficoltà ha bisogno di aiuto (motivazione laica); oppure una motivazione richiesta anche dalla fede (motivazione religiosa). Personalmente ritengo che la prima sia prioritaria e universale: non penso infatti che si debba mettersi a servizio dell'uomo solo per una esigenza di fede. Comunque, nonostante la possibile diversità di motivazioni, in concreto, si può e si deve collaborare. Papa Giovanni XXIII diceva: "Non chiedete agli altri da dove vengono ma dove vanno. E se vanno dove vai tu, cammina con loro".
Concludendo: qualunque possano essere gli sviluppi dell'iniziativa, ci sembra preliminare e determinante appropriarci personalmente di questa doverosa cultura della solidarietà, cercando le occasioni opportune per diffonderla. Saranno le situazioni concrete che poi provocheranno di volta in volta il nostro impegno ed esigeranno l'elaborazione di strategie concrete per l'efficacia dell'azione.
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