Divisioni interne e lentezza nelle reazioni: queste le cause del progressivo declino. Solo per il 47% degli italiani la Chiesa è ancora una istituzione credibile
di ILVO DIAMANTI
IERI i fedeli hanno voluto far sentire al Papa la loro solidarietà e il loro sostegno, raccogliendosi, in massa, intorno a lui, a piazza San Pietro. D'altronde, la fiducia nella Chiesa e in Papa Benedetto XVI è scesa sensibilmente, nell'ultimo anno. Espressa, in entrambi i casi, dal 47% degli italiani, secondo il sondaggio di Demos 1. Una tendenza accentuata dalla lunga catena di scandali dell'ultimo anno. Prima, le dimissioni del direttore dell'Avvenire, Dino Boffo, in base ad accuse rivelatesi infondate. Poi, gli episodi di abuso sessuale sui minori, che hanno coinvolto esponenti del clero - basso, medio e alto. In diversi paesi. Dagli USA all'Irlanda. Dalla Germania al Belgio. Al Brasile. All'Italia. Avvenimenti del passato, esplosi di recente.
Per questo non stupisce il calo di credibilità dell'ultimo anno: 3 punti percentuali in meno, la Chiesa; 7 il Papa. Un declino, peraltro, che dura da anni. Rispetto al 2005 (quando è stato eletto Ratzinger) la fiducia nella Chiesa è scesa di 14 punti. Mentre negli ultimi due anni il consenso verso Benedetto XVI si è ridotto di 9 punti percentuali. Senza considerare Papa Wojtyla, il cui credito, nel 2003, era superiore di circa 30 punti. Ma Wojtyla costituiva - e costituisce - un caso difficilmente ripetibile. Per le vicende che ha attraversato (la caduta del Muro e del comunismo, l'attentato...). E per la sua personale e straordinaria capacità di "comunicare" se stesso - attraverso i suoi viaggi e la sua sofferenza. Così, se la Chiesa e lo stesso Pontefice costituiscono ancora un riferimento importante, per la società italiana, la loro capacità di attrazione appare indebolita. Per ragioni che vanno oltre gli scandali recenti. I quali, tuttavia, pesano.
Il sondaggio di Demos sottolinea, infatti, come una larga maggioranza di italiani - il 62% - consideri inadeguata la risposta della Chiesa di fronte agli episodi di pedofilia. Volta, fino a ieri, a minimizzare il fenomeno. Questo giudizio risulta prevalente anche tra i cattolici praticanti, anche se è meno diffuso: 44% (mentre il 29% considera le accuse strumentali, finalizzate a screditare la Chiesa). Ma è condiviso da oltre i due terzi dei cattolici che dichiarano una frequenza sacramentale saltuaria. Cioè: la larga maggioranza di essi (e della popolazione). Si tratta di un orientamento politicamente trasversale. Si riduce solamente al centro. Fra gli elettori dell'Udc.
Come interpretare questo largo dissenso verso l'azione della Chiesa intorno a un fenomeno che, da tempo, è oggetto di denunce ripetute? E, soprattutto, perché - proprio oggi - intacca in modo tanto profondo la credibilità della Chiesa?
La prima spiegazione chiama in causa proprio il "tempo". Troppo tempo, infatti, è passato prima di prendere i provvedimenti necessari, in modo deciso, senza indulgenza. Troppo tempo. Per cui oggi, che nel muro di silenzio del passato si è aperto (più di) un varco, le notizie irrompono, tutte insieme. Invadono i media con un effetto devastante. La stessa condanna del Papa, implacabile. Il suo vagare, per il mondo, dolente, a chiedere perdono alle vittime e ai loro familiari. Agiscono da amplificatori. Fino, quasi, a tracciare una scia di vergogna.
Un secondo ordine di motivi riguarda la Chiesa stessa. Questi episodi, infatti, la indeboliscono perché essa è più debole che in passato. Divisa, al suo interno. Attraversata da tensioni e conflitti. Fra le gerarchie vaticane e la Cei. Ma anche tra le diverse componenti del mondo associativo. Tra le diverse "voci" e i diversi media cattolici. Giornali, emittenti, riviste... Papa Benedetto XVI, in occasione del suo recente viaggio a Fatima, è stato, al proposito, esplicito. E durissimo. Quando ha scandito che: "Le sofferenze della Chiesa vengono proprio dall'interno della Chiesa. (...) La più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa". Un concetto ribadito ieri, a piazza San Pietro. Contraddicendo - come ha sottolineato Sandro Magister (nel documentatissimo sito: www. espressonline. it) - "i giudizi espressi da molti ecclesiastici, secondo i quali la Chiesa soffre primariamente per gli attacchi che le vengono portati dall'esterno".
Ciò suggerisce, esplicitamente, una terza ragione. Collega il declino della fiducia nella Chiesa alla sua presenza "istituzionale" nella società. Interpretata, in particolare, dal clero. È, infatti, da tempo che, soprattutto in Italia, i seminari sono vuoti. La crisi di vocazioni è acuta, irreversibile. Non a caso, nelle parrocchie, la presenza di preti provenienti da paesi del Terzo Mondo è sempre più ampia. Segno evidente della profonda crisi di legittimazione sociale che, da tempo, ha colpito la figura del sacerdote (come ha argomentato il sociologo Marco Marzano). Fare il prete, da noi, non garantisce benefici né riconoscimento di status. Il che rende più difficile "reclutare" - e soprattutto "selezionare" - figure credibili e credute, in grado di farsi ascoltare. Tanto più di fronte a regole di accesso alla missione (o, in termini laici, alla "professione") tanto selettive e dure. Come il celibato. Oggi incomprensibile: per la società e per la stessa comunità dei cattolici. Visto che i due terzi degli italiani e oltre la metà dei cattolici praticanti si dicono d'accordo sulla possibilità, per i preti, di sposarsi. Così i comportamenti devianti, nell'ambito del clero, oltre che più diffusi, sono divenuti intollerabili (e intollerati). Impossibili da nascondere e minimizzare.
Da ciò l'impressione che oggi la Chiesa, come istituzione, si scopra inadeguata rispetto al proprio compito. Che le stesse regole, costruite e imposte, storicamente, per rafforzare il proprio "rapporto con il mondo", oggi la rendano, più vulnerabile. Che, per questi motivi, svolgere la "professione" - oppure, se si preferisce, la "missione" - di prete sia divenuto sempre più difficile - e, al contempo, meno credibile. Se, per citare di nuovo il Papa, le peggiori sofferenze "vengono proprio dall'interno", allora la Chiesa, più che dalla società, deve difendersi da se stessa.
La Repubblica (17 maggio 2010)
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