Interruzione di gravidanza: è boom tra le donne straniere
(la Repubblica, VENERDÌ, 30 MARZO 2007, Pagina 1 - Prima Pagina)
monica, romena La pillola è troppo cara, il preservativo fa venire le ferite. Io di solito vado in bagno e mi lavo, ma questa volta si vede che non mi sono lavata bene
mai stata dal ginecologo A chiedere il primo certificato mi ha accompagnato un´amica di mio fratello, italiana. Non ero mai stata dal ginecologo, mi vergogno qui i medici sono tutti uomini
un paese diverso Questo paese non è come me lo ero immaginato. Qui sono triste, sono sempre al servizio e non cambierà. Ma io non posso nemmeno tornare indietro
Le interruzioni volontarie di gravidanza calano fra le italiane ma è boom fra le donne straniere
Per africane, sudamericane e ragazze dell´est ormai il trenta per cento degli interventi
CONCITA DE GREGORIO
Quando il medico, in ospedale, domanda «lei come è arrivata qui?» – intende chi l´ha visitata, chi l´ha mandata – lei risponde con il numero di autobus che ha preso. Monica ha 24 anni, è romena e parla un italiano ancora incerto. «Sono arrivata con la metropolitana, poi ho preso il 3». Dice che stasera deve preparare la cena ai fratelli e domattina deve tornare a lavorare: vuol sapere, perciò, se si fa presto. Nel suo paese si è diplomata segretaria, assiste dalle 9 alle 20 un´anziana in carrozzella, è clandestina.
«Stp», c´è scritto sul suo certificato medico: straniera temporaneamente presente. È rimasta incinta perché «la pillola è troppo cara e fa ingrassare, il preservativo fa venire le ferite e dicono che poi resti sterile. Io di solito vado in bagno e mi lavo ma si vede che questa volta non mi sono lavata bene». Interrompe la gravidanza, perciò. E´ la seconda volta. «Se fossi a casa mia un figlio lo potrei anche tenere, c´è mia madre la mia famiglia, là ci si aiuta ma qui come faccio? Sono da sola, i miei fratelli sono due maschi cosa capiscono di bambini, non sono sposata. Non posso mica perdere il lavoro, come vivo senza soldi?».
A trent´anni dall´entrata in vigore della legge sull´aborto è cambiata la geografia e la cultura del paese. Le donne italiane che interrompono la gravidanza continuano a diminuire: meno di centomila nel 2005, erano duecentotrentamila nell´82. In venticinque anni di aborto legale i casi si sono ridotti di molto più della metà. Al contrario le donne straniere che abortiscono continuano ad aumentare: sono, oggi, più del 30 per cento del totale, una su tre. Una percentuale enorme, sei volte più alta dell´incidenza di straniere sulla popolazione.
Su ogni cento donne cinque sono straniere. Su ogni cento aborti più di trenta sono richiesti da giovani romene, ucraine, marocchine, cinesi, sudamericane. Sono molto spesso clandestine. Parlano poco e male la lingua, le cinesi praticamente per niente: entrano in ospedale con l´interprete. Sono arrivate in massa coi ricongiungimenti familiari: secondo il rapporto Caritas nel 2005 le regolari erano un milione e 344 mila, almeno il doppio quelle non censite. Le nordafricane arrivano all´intervento accompagnate dal marito che pretende di entrare fino in sala operatoria, rifiutano di essere operate da un uomo. Le ucraine detengono il record di interruzioni: anche sette, otto volte. Sono donne diversissime tra loro, è ovvio. Ciascuna ha la sua cultura di riferimento, le sue tradizioni, la sua storia. In comune - oltre allo spaesamento - hanno solo una specie di analfabetismo contraccettivo, un pudore invincibile a parlare di sesso e la convinzione che tutto quel che riguarda la sfera della riproduzione è cosa di donne: merito o più spesso colpa. Portano loro il peso, da sole, di tutta la faccenda.
Monica dice, infatti, che col suo ragazzo non parla «di queste cose». Si fanno e basta. Se poi succede un incidente lei lo risolve. Non lo informa nemmeno, tanto a lui non interessa: «Ha da lavorare, la sera è stanco». Michele Grandolfo, che dirige il reparto Salute della donna dell´Istituto superiore di Sanità e che da 25 anni studia l´applicazione della 194 in Italia, trova impressionante l´analogia tra queste storie e le nostre di mezzo secolo fa. «Le straniere sono come le donne italiane degli anni ‘50, anche peggio. Quattro su dieci non sono in grado di individuare il periodo in cui possono rimanere incinte. Fanno ricorso all´aborto tre e anche quattro volte più delle italiane. Hanno pochissima capacità di ‘cercare salute´, cioè di prendersi cura di sé. Sono pochissimo e mal informate sui metodi di controllo delle nascite. Non hanno una rete di relazioni con la società esterna, vivono chiuse nella famiglia e nella comunità di origine e sono molto difficili da raggiungere per chi voglia fare prevenzione e offrire assistenza».
Monica dice che al consultorio dove è andata a chiedere il certificato per il primo aborto l´ha accompagnata un´amica di suo fratello, italiana. Non era mai stata dal ginecologo prima. «Mi vergogno, qui i medici sono tutti uomini. Avevo avuto dei problemi ma non sono andata. Avevo anche paura che mi scoprissero e mi rimandassero al mio paese». Non è così, le cure sanitarie sono garantite a tutti anche ai clandestini: basta avere il tesserino Spt e per farlo non serve un documento di identità. «Lo so, però non mi fidavo». E adesso, dopo questo secondo aborto, come pensa di evitare una nuova gravidanza? Lavarsi non basta, glielo avrà detto il ginecologo. «Sì, mi ha detto che se non voglio la pillola nè i preservativi mi posso mettere la T di rame ma non sono sicura, ho sentito dire che fa venire le emorragie».
Il gruppo di lavoro di Michele Grandolfo (Angela Spinelli, Emanuela Forcella e Samantha Di Rollo) ha condotto nel 2006 per l´Istituto di sanità la più importante e completa ricerca sull´»Interruzione volontaria di gravidanza tra le donne straniere in Italia». E´ un´indagine che alterna dati a interviste a 680 donne straniere che hanno abortito in sei centri pubblici tra Torino, Milano, Roma e Reggio Emilia. Nel 2004, ultimo dato disponibile, hanno abortito 36.731 donne straniere. Considerando i valori di crescita degli ultimi anni dovrebbero aver superato oggi le 40 mila unità. Le romene sono ancora al primo posto. Con la sanatoria del 2002 la percentuale di ucraine presenti nel paese è balzata dal ventisettesimo al secondo posto. Seguono albanesi, marocchine, polacche, filippine, cinesi, sudamericane. Nel campione esaminato il 56 per cento non usa nessun tipo di contraccettivo per questi motivi: «La pillola fa venire il cancro» (Perù, fidanzata senza figli). «Ho pensato che a tanto prendere la pillola sono diventata sterile così mi sono fidata di questo pensiero e ho smesso di prenderla» (Perù, sposata, due figli) «Mia cognata aveva la spirale, le è venuta un´emorragia. E´ pericolosa» (Ecuador, 25 anni, sposata, un figlio). «Il preservativo fa male dopo il parto» (Romania, 33 anni, due figli). «Sto sempre con mio marito non vado con altri quindi non è necessario» (Cina, 23 anni). «Nel mio paese è gratis qui la pillola costa cara, anche 12 euro non ce li ho» (Marocco, senza figli). Il 40 per cento non conosce il suo periodo di fertilità, un´altissima percentuale resta di nuovo incinta entro tre mesi dal parto. «Per una settimana o due che ci vediamo ogni qualche mese a cosa serve proteggersi?» (Romania, 28 anni, fidanzata). «Se lo fai una volta ogni tanto non succede niente» (Perù, senza figli).
Il 44 per cento di queste donne aveva già abortito almeno una volta. «Adesso però basta, non vogliamo avere più bambini così ho messo un allarme all´orologio che suona alle nove così non dimentico più la pasticca» (Ecuador, 27 anni). «Mandare via il bambino è un peccato, ma come faccio da sola? Non parlo ancora l´italiano la mia casa è brutta», (Marocco, 31). «Non voglio mandare i miei figli a chiedere l´elemosina, non è questo che voglio per loro» (Romania, rom, 18 anni, sposata). «La prima volta avevo paura, ho chiesto com´è l´anestesia locale? Il medico mi ha risposto: come quando ci si toglie un dente» (Perù, 44 anni). «L´aborto fa il rumore dell´aspirapolvere. Me lo ricordo ogni volta che lo accendo per pulire la casa» (Ecuador, 32, sposata).
Monica ha finito, ha già ripreso il suo autobus poi quattro fermate di metro. A quest´ora è a casa a preparare la cena ai fratelli. «L´Italia non è come me l´ero immaginata. Qui sono triste, sono sempre al servizio e non cambierà. Non posso più nemmeno tornare indietro». Non può tornare. Anche una giovane cinese al primo aborto dice così. Ha 23 anni, è sposata, parla pochissimo l´italiano. «Appena arrivata mio zio mi ha detto di cucire i vestiti, avevo 15 anni e non li volevo cucire, volevo tornare in Cina ma lui diceva che ha speso 30 milioni per farmi venire e così dovevo lavorare. Tutti dicono che l´Italia è un paradiso, che è facile guadagnare soldi ma non è vero, i soldi guadagnati in Italia si spendono in Italia, solo per l´affitto vanno via mille euro e non cambia mai niente. Così devi restare. E´ difficile da sopportare ma è così e basta».
(1 - continua)
(la Repubblica, VENERDÌ, 30 MARZO 2007, Pagina 1 - Prima Pagina)
monica, romena La pillola è troppo cara, il preservativo fa venire le ferite. Io di solito vado in bagno e mi lavo, ma questa volta si vede che non mi sono lavata bene
mai stata dal ginecologo A chiedere il primo certificato mi ha accompagnato un´amica di mio fratello, italiana. Non ero mai stata dal ginecologo, mi vergogno qui i medici sono tutti uomini
un paese diverso Questo paese non è come me lo ero immaginato. Qui sono triste, sono sempre al servizio e non cambierà. Ma io non posso nemmeno tornare indietro
Le interruzioni volontarie di gravidanza calano fra le italiane ma è boom fra le donne straniere
Per africane, sudamericane e ragazze dell´est ormai il trenta per cento degli interventi
CONCITA DE GREGORIO
Quando il medico, in ospedale, domanda «lei come è arrivata qui?» – intende chi l´ha visitata, chi l´ha mandata – lei risponde con il numero di autobus che ha preso. Monica ha 24 anni, è romena e parla un italiano ancora incerto. «Sono arrivata con la metropolitana, poi ho preso il 3». Dice che stasera deve preparare la cena ai fratelli e domattina deve tornare a lavorare: vuol sapere, perciò, se si fa presto. Nel suo paese si è diplomata segretaria, assiste dalle 9 alle 20 un´anziana in carrozzella, è clandestina.
«Stp», c´è scritto sul suo certificato medico: straniera temporaneamente presente. È rimasta incinta perché «la pillola è troppo cara e fa ingrassare, il preservativo fa venire le ferite e dicono che poi resti sterile. Io di solito vado in bagno e mi lavo ma si vede che questa volta non mi sono lavata bene». Interrompe la gravidanza, perciò. E´ la seconda volta. «Se fossi a casa mia un figlio lo potrei anche tenere, c´è mia madre la mia famiglia, là ci si aiuta ma qui come faccio? Sono da sola, i miei fratelli sono due maschi cosa capiscono di bambini, non sono sposata. Non posso mica perdere il lavoro, come vivo senza soldi?».
A trent´anni dall´entrata in vigore della legge sull´aborto è cambiata la geografia e la cultura del paese. Le donne italiane che interrompono la gravidanza continuano a diminuire: meno di centomila nel 2005, erano duecentotrentamila nell´82. In venticinque anni di aborto legale i casi si sono ridotti di molto più della metà. Al contrario le donne straniere che abortiscono continuano ad aumentare: sono, oggi, più del 30 per cento del totale, una su tre. Una percentuale enorme, sei volte più alta dell´incidenza di straniere sulla popolazione.
Su ogni cento donne cinque sono straniere. Su ogni cento aborti più di trenta sono richiesti da giovani romene, ucraine, marocchine, cinesi, sudamericane. Sono molto spesso clandestine. Parlano poco e male la lingua, le cinesi praticamente per niente: entrano in ospedale con l´interprete. Sono arrivate in massa coi ricongiungimenti familiari: secondo il rapporto Caritas nel 2005 le regolari erano un milione e 344 mila, almeno il doppio quelle non censite. Le nordafricane arrivano all´intervento accompagnate dal marito che pretende di entrare fino in sala operatoria, rifiutano di essere operate da un uomo. Le ucraine detengono il record di interruzioni: anche sette, otto volte. Sono donne diversissime tra loro, è ovvio. Ciascuna ha la sua cultura di riferimento, le sue tradizioni, la sua storia. In comune - oltre allo spaesamento - hanno solo una specie di analfabetismo contraccettivo, un pudore invincibile a parlare di sesso e la convinzione che tutto quel che riguarda la sfera della riproduzione è cosa di donne: merito o più spesso colpa. Portano loro il peso, da sole, di tutta la faccenda.
Monica dice, infatti, che col suo ragazzo non parla «di queste cose». Si fanno e basta. Se poi succede un incidente lei lo risolve. Non lo informa nemmeno, tanto a lui non interessa: «Ha da lavorare, la sera è stanco». Michele Grandolfo, che dirige il reparto Salute della donna dell´Istituto superiore di Sanità e che da 25 anni studia l´applicazione della 194 in Italia, trova impressionante l´analogia tra queste storie e le nostre di mezzo secolo fa. «Le straniere sono come le donne italiane degli anni ‘50, anche peggio. Quattro su dieci non sono in grado di individuare il periodo in cui possono rimanere incinte. Fanno ricorso all´aborto tre e anche quattro volte più delle italiane. Hanno pochissima capacità di ‘cercare salute´, cioè di prendersi cura di sé. Sono pochissimo e mal informate sui metodi di controllo delle nascite. Non hanno una rete di relazioni con la società esterna, vivono chiuse nella famiglia e nella comunità di origine e sono molto difficili da raggiungere per chi voglia fare prevenzione e offrire assistenza».
Monica dice che al consultorio dove è andata a chiedere il certificato per il primo aborto l´ha accompagnata un´amica di suo fratello, italiana. Non era mai stata dal ginecologo prima. «Mi vergogno, qui i medici sono tutti uomini. Avevo avuto dei problemi ma non sono andata. Avevo anche paura che mi scoprissero e mi rimandassero al mio paese». Non è così, le cure sanitarie sono garantite a tutti anche ai clandestini: basta avere il tesserino Spt e per farlo non serve un documento di identità. «Lo so, però non mi fidavo». E adesso, dopo questo secondo aborto, come pensa di evitare una nuova gravidanza? Lavarsi non basta, glielo avrà detto il ginecologo. «Sì, mi ha detto che se non voglio la pillola nè i preservativi mi posso mettere la T di rame ma non sono sicura, ho sentito dire che fa venire le emorragie».
Il gruppo di lavoro di Michele Grandolfo (Angela Spinelli, Emanuela Forcella e Samantha Di Rollo) ha condotto nel 2006 per l´Istituto di sanità la più importante e completa ricerca sull´»Interruzione volontaria di gravidanza tra le donne straniere in Italia». E´ un´indagine che alterna dati a interviste a 680 donne straniere che hanno abortito in sei centri pubblici tra Torino, Milano, Roma e Reggio Emilia. Nel 2004, ultimo dato disponibile, hanno abortito 36.731 donne straniere. Considerando i valori di crescita degli ultimi anni dovrebbero aver superato oggi le 40 mila unità. Le romene sono ancora al primo posto. Con la sanatoria del 2002 la percentuale di ucraine presenti nel paese è balzata dal ventisettesimo al secondo posto. Seguono albanesi, marocchine, polacche, filippine, cinesi, sudamericane. Nel campione esaminato il 56 per cento non usa nessun tipo di contraccettivo per questi motivi: «La pillola fa venire il cancro» (Perù, fidanzata senza figli). «Ho pensato che a tanto prendere la pillola sono diventata sterile così mi sono fidata di questo pensiero e ho smesso di prenderla» (Perù, sposata, due figli) «Mia cognata aveva la spirale, le è venuta un´emorragia. E´ pericolosa» (Ecuador, 25 anni, sposata, un figlio). «Il preservativo fa male dopo il parto» (Romania, 33 anni, due figli). «Sto sempre con mio marito non vado con altri quindi non è necessario» (Cina, 23 anni). «Nel mio paese è gratis qui la pillola costa cara, anche 12 euro non ce li ho» (Marocco, senza figli). Il 40 per cento non conosce il suo periodo di fertilità, un´altissima percentuale resta di nuovo incinta entro tre mesi dal parto. «Per una settimana o due che ci vediamo ogni qualche mese a cosa serve proteggersi?» (Romania, 28 anni, fidanzata). «Se lo fai una volta ogni tanto non succede niente» (Perù, senza figli).
Il 44 per cento di queste donne aveva già abortito almeno una volta. «Adesso però basta, non vogliamo avere più bambini così ho messo un allarme all´orologio che suona alle nove così non dimentico più la pasticca» (Ecuador, 27 anni). «Mandare via il bambino è un peccato, ma come faccio da sola? Non parlo ancora l´italiano la mia casa è brutta», (Marocco, 31). «Non voglio mandare i miei figli a chiedere l´elemosina, non è questo che voglio per loro» (Romania, rom, 18 anni, sposata). «La prima volta avevo paura, ho chiesto com´è l´anestesia locale? Il medico mi ha risposto: come quando ci si toglie un dente» (Perù, 44 anni). «L´aborto fa il rumore dell´aspirapolvere. Me lo ricordo ogni volta che lo accendo per pulire la casa» (Ecuador, 32, sposata).
Monica ha finito, ha già ripreso il suo autobus poi quattro fermate di metro. A quest´ora è a casa a preparare la cena ai fratelli. «L´Italia non è come me l´ero immaginata. Qui sono triste, sono sempre al servizio e non cambierà. Non posso più nemmeno tornare indietro». Non può tornare. Anche una giovane cinese al primo aborto dice così. Ha 23 anni, è sposata, parla pochissimo l´italiano. «Appena arrivata mio zio mi ha detto di cucire i vestiti, avevo 15 anni e non li volevo cucire, volevo tornare in Cina ma lui diceva che ha speso 30 milioni per farmi venire e così dovevo lavorare. Tutti dicono che l´Italia è un paradiso, che è facile guadagnare soldi ma non è vero, i soldi guadagnati in Italia si spendono in Italia, solo per l´affitto vanno via mille euro e non cambia mai niente. Così devi restare. E´ difficile da sopportare ma è così e basta».
(1 - continua)
1 commento:
Ho letto l'articolo , proprio in quanto stavo cercando dati sull'aborto in Italia , a fronte delle ultime discussioni e prioposte emerse. La questione che maggiormente sconcerta è la mancanza di adeguata informazione sanitaria, proprio giàa partire dai paesi di provenienza, cui si aggiungono le diverse idee circa il danno che sarebbe causato dalle misure anticoncezionali,che incontrano i modelli diversi di fecondità e di genere . Quindi sembra che si dovrebbe re-impostare una politica sanitaria preventiva proprio in Italia, sia in relazione alle donne minori italiane , che alle altre, come verso le donne immigrate , cercando di conoscere meglio le diverse concezioni e pregiudizi etc
Operazione non facile , che richederebbe una politica sulla migrazione certamemnte non espulsiva, con investimento sulla salute delle donne , tutte.
Sembra che un grosso nodo sia anche rappresentato dalla necessità di dover far fronte alla produzione , vreso la quale tutto è orientato, così anche le concezioni diverse di fecondità, o la costruzione di genere culturale , si trova a fare i conti con delle necessità che sembrano in prima istanza produttive , più che tenere conto della storia della donna o dei suoi desideri. certo si può avere in nome di questo, un conflitto tra modelli culturali , costruzione di genere e necessità imposte dalla sopravvivenza stessa.Così solamente una scelta di prevenzione chiara e diffusa e radicata nei diversi gruppi, potrebbe servire a evitare ilr uicorso così massiccio ad una pratica che comunque ha conseguenza psicologiche sulla donna , quando non ahche fisiche ...se non avviene in contesti adeguati medicalmente e sereni. La colpevolizzazione delle donne che abortiscono, che sembra ritornare , è davvero troppo strumentale, e sembra voler far passare un modello di genere ben preciso , così che alla lotta antiaborto si associano anche quelle contro l'omosessualità, che, come tale , non è partcolarmente toccata dall'aborto.
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