TUBINGA
In che misura si può dire che il Papa è ancora fedele agli insegnamenti del Vaticano II?
«A modo suo è fedele al Concilio. Insiste sempre, come Giovanni Paolo II, sulla continuità con la “tradizione”. Per lui questa tradizione risale al periodo medioevale ed ellenistico. Soprattutto non vuole ammettere che il Vaticano II ha provocato una rottura, ad esempio sul riconoscimento della libertà religiosa, combattuta da tutti i papi vissuti prima del Concilio». L’idea di fondo di Benedetto XVI è che il Concilio vada accolto, ma anche interpretato: forse non al modo dei lefebvriani, ma in ogni caso nel rispetto della tradizione e in modo restrittivo. Per esempio è sempre stato critico sulla liturgia. E ha una posizione ambigua sui testi del Concilio, perché non si trova a suo agio con la modernità e la riforma, mentre il Vaticano II ha rappresentato l’integrazione nella Chiesa cattolica del paradigma della riforma e della modernità. Monsignor Lefebvre non l’ha mai accettato, e nemmeno i suoi amici in Curia. Sotto questo aspetto Benedetto XVI ha una certa simpatia per monsignor Lefebvre. D’altra parte trovo scandaloso che, per i 50 anni dal lancio del Concilio da parte di Giovanni XXIV, nel gennaio 1959, il Papa non abbia fatto l’elogio del suo predecessore, ma abbia scelto di togliere la scomunica a persone che si erano opposte a questo concilio».
Che Chiesa lascerà questo Papa ai suoi successori?
«Penso che difenda l’idea del “piccolo gregge”. È un po’ la linea degli integralisti: pochi fedeli e una Chiesa elitaria, formata da “veri” cattolici. È un’illusione pensare che si possa continuare così, senza preti né vocazioni. Questa evoluzione è chiaramente una restaurazione, che si manifesta nella liturgia, ma anche in atti e gesti, come dire ai protestanti che la Chiesa cattolica è l’unica vera Chiesa».
La Chiesa cattolica è in pericolo?
«La Chiesa rischia di diventare una setta. Molti cattolici non si aspettano più niente da questo Papa. È molto doloroso».
Lei ha scritto: «Com’è possibile che un teorico dotato, amabile e aperto come Joseph Ratzinger abbia potuto cambiare fino a questo punto e diventare il Grande Inquisitore romano?». Allora, com’è possibile?
«Penso che lo choc dei movimenti di protesta del 1968 abbia resuscitato il suo passato. Ratzinger era un conservatore. Durante il Concilio si è aperto, anche se era già scettico. Con il ‘68, è tornato a posizioni molto conservatrici, che ha mantenuto fino a oggi».
Lei pensa che possa ancora correggere questa evoluzione?
«Quando mi ha ricevuto, nel 2005, ha fatto un atto coraggioso e io ho veramente creduto che avrebbe trovato la via per le riforme, anche se lente. In quattro anni, invece, ha dimostrato il contrario. Oggi mi chiedo se sia capace di fare qualcosa di coraggioso. Tanto per cominciare, dovrebbe riconoscere che la Chiesa cattolica attraversa una crisi profonda. Poi potrebbe fare un gesto verso i divorziati e dire che, a certe condizioni, possono essere ammessi alla comunione. Potrebbe correggere l’enciclica Humanae vitae, che nel 1968 ha condannato tutte le forme di contraccezione, dicendo che in certi casi l’uso della pillola è possibile. Potrebbe correggere la sua teologia, che data dal Concilio di Nizza (325). Potrebbe dire: “Abolisco la legge del celibato”. È molto più potente del Presidente degli Stati Uniti! Non deve rendere conto a una Corte Suprema! Potrebbe anche convocare un nuovo Concilio».
Un Vaticano III?
«Permetterebbe di regolare alcune questioni rimaste in sospeso, come il celibato dei preti e la limitazione delle nascite. Si dovrebbe prevedere un modo nuovo per eleggere i vescovi, che contempli il coinvolgimento anche del popolo. L’attuale crisi ha suscitato un movimento di resistenza. Molti fedeli si rifiutano di tornare al vecchio sistema. Anche alcuni vescovi sono stati costretti a criticare la politica del Vaticano. La gerarchia non può ignorarlo».
La sua riabilitazione potrebbe far parte di questi gesti forti?
«In ogni caso sarebbe un gesto ben più facile del reintegro degli scismatici! Ma non credo che lo farà, perché Benedetto XVI si sente più vicino agli integralisti che alle persone come me, che hanno lavorato al Concilio e l’hanno accettato». Copyright Le Monde. Un addio amaro e rabbioso, immortalato dai fotografi. Il vescovo negazionista Richard Williamson ha lasciato l’Argentina, diretto verso Londra, nel peggiore dei modi. All’aeroporto di Buenos Aires, inseguito dai fotoreporter, Williamson ha perso il controllo e si è scagliato con il pugno chiuso verso uno di loro. Lo scatto ha fatto subito il giro del mondo. Si chiude così un capitolo della vicenda che ha messo in imbarazzo il Vaticano. Williamson, che aveva scatenato una bufera per aver negato l’Olocausto in un’intervista rilasciata poco prima della revoca della scomunica per lui e altri tre vescovi lefebvriani, era stato espulso il 19 febbraio dal governo di Buenos Aires, che gli aveva dato 10 giorni di tempo per lasciare il Paese. L’espulsione era stata motivata con il fatto che il vescovo aveva nascosto il vero motivo della sua permanenza nel Paese, dal momento che si è dichiarato un impiegato amministrativo dell’associazione civile «La Tradicion» quando, in realtà, dirigeva il seminario lefebvriano della Fraternità di San Pio X a Buenos Aires. Un incarico da cui Williamson era stato rimosso il 9 febbraio scorso. La Stampa 25.02.09