lunedì 16 febbraio 2009

Compleanno di don Fernando Pavanello



Dalla rete per salvare gli ebrei alla teologia della liberazione alla prima associazione per aiutare gli handicappati: storia di un uomo che non si è mai arreso

Don Pavanello, il guerrigliero di Dio


Compie 90 anni il «padre» dei volontari trevigiani: «Non morirò arrabbiato»

di Andrea Passerini

La casa è a Breda, a fianco della chiesa. Piccole stanze, piene di segni. Il crocifisso brasiliano scolpito nel legno (rubato) da un ragazzo di strada, ricordo del lungo le­game con dom Camara. Colombe della pa­ce. Un poster di Don Milani: «Fai strada ai poveri senza farti strada». E decine di dedi­che fraterne dai mille amici. Monsignor Pavanello vive con un «diario vivente» del suo servizio, in cui ha seminato volonta­riato e impegno. Domani compie 90 anni. C'è chi, fra i giovani preti, deve a lui la sua vocazione. E moltissimi obiettori, ope­ratori sociali, «folgorati» dal contatto con la sua testimonianza. Da mezzo secolo è un riferimento. Pioniere, in particolare, per l'handicap e le coop sociali, realtà in cui Treviso è (non a caso) all'avanguardia.

Monsignor Pavanello, 90 anni condotti sulla frontie­ra della solidarietà. Del «farsi prossimo» lei è un manifesto vivente.

«La fede deve affrontare le situazioni concrete dell'uo­mo, n samaritano è in viaggio per affari, non parte da casa sapendo cosa avrebbe fatto per strada, n Concilio Vatica­no parla di segni dei tempi che la Chiesa deve interpreta­re. E il primo segno è sempre l'uomo. L'amore di Dio mi fa amare l'uomo, è il primo co­mandamento. Più di tutti co­lui che soffre e ha bisogno».

Come nasce, questa voca­zione nella vocazione?

«Da giovane vedevo le don­ne venete contadine, schiaviz­zate dagli uomini. I paroni li­beri di prendersi ogni licenza con le serve, i fioi dea ser­va. . .Poi la guerra: soldati reni­tenti, partigiani, molti con una rete clandestina che li portava in Svizzera. Per un cristiano è sempre inaccetta­bile vedere l'uomo umiliato perché debole».

Anche lei, come altri esponenti di una Chiesa più «sociale», è stato a lun­go in Sudamerica.

«Realtà terribile e bellissi­ma. L'umanità è sfruttata da multinazionali, latifondisti, poteri totalitari. Ma c'è anche una Chiesa che per la prima volta ha compiuto una rivolu­zione partendo dalle comunità di base».

La teologia della libera­zione sconfessata però dal Vaticano.

«Di fronte a quella situazio­ne, la chiesa brasiliana ha vis­suto la fede come liberazione dell'uomo. Forse qualche pre­te si è buttato a capofitto nel­l'impegno per il riscatto socia­le, mettendo in secondo piano Dio. Ma il messaggio che arri­va da quei paesi era, è, e sarà sempre straordinario».

Quante volte l'hanno ac­cusata di «comunismo»?

«Ho sempre risposto: mai avuto bisogno di Marx, ho il Vangelo. La mia non è mai stata una fede facile, vengo da buona famiglia, agiata, papà e zio anticlericali. Una volta in Cile, era il 1964, ho vi­sto contadini scalzi, in fila dal latifondista che regalava il pane, e gli baciavano le ma­ni. Quella non è carità, quel pane è dovuto per giustizia so­ciale. E qui dico che la Chiesa dovrebbe andare oltre certe dichiarazioni belle di princi­pio e gridare. Ci siamo fatti espropriare, i profeti hanno sempre gridato contro chi abusa del debole».

Ma il pericolo di essere strumentalizzati o associa­ti a una parte politica?

«Mai avuto problemi, con comunisti o con non credenti. Papa Giovanni diceva di non chiedere mai a nessuno da do­ve venga, ma casomai dove vada. E se la tua strada è la sua, cammina insieme a lui senza paura. Se fai del bene, alla fine c'è anche il premio più bello, il Paradiso...».

Non sembrano più tempi per queste aperture. La Chiesa riaccoglie chi nega il Concilio Vaticano II.

«Ho speranza, ci sono segni positivi che non escono fuori. Nella Chiesa, come nella sto­ria, le minoranze lavorano e soffrono. C'è bisogno di salva­re l'uomo dalla banalizzazio­ne, da questa paura del diver­so, dalla mancanza di apertu­ra. Penso a noi veneti, alla paura atavica del foresto, ca­valcata dalla Lega. E a questa smania per la roba, l'affanno per i soldi, l'ingordigia: nien­te di peggio del povero arric­chito. E il consumismo, male­detto: quand'era vescovo, Woytila disse a un convegno che faceva più danni dell'atei­smo di Stato perché svuota l'uomo. Vedo cravatte a 150 euro in vetrina, il culto della griffe, pubblicità oscene: ecco lo scandalo di oggi».

Ha citato la Lega. Qui a Treviso, in passato, voci della Chiesa si sono levate, anche in modo forte. Oggi?

«Noi preti di questo territo­rio dovremmo farci un esame di coscienza. Quale atteggia­mento abbiamo tenuto? Parte del mondo cattolico si è rela­zionata con la Lega, anche con scambi e piccoli favori».

Lei da 40 anni è attivissi­mo sul fronte dei disabili. Quando ha cominciato, nel 1972, non esisteva nemme­no questo termine, erano gli handicappati.

«E' stata un'altra situazio­ne. Privata, familiare. Mio ni­pote Luca è nato down. Allo­ra nelle famiglie scattava la colpa, la coscienza di una sor­ta di castigo di Dio, la vergo­gna, la rassegnazione. Un pic­colo gruppo di persone sensi­bili, credenti e non, si è attiva­to, abbiamo creato l'associa­zione delle famiglie: ci aiuta­rono il sindacato, e un De sen­sibile come Armellin. Abbia­mo girato, bussato alle porte. Ma non in un'ottica caritati­va, no. n secondo passaggio dev'essere sociale, nella ci-vis: chi non ha diritti deve prendere coscienza, diventa­re soggetto politico in senso alto e chiedere alla democra­zia di rimuovere l'emargina­zione, la diseguaglianza, di da­re opportunità. Oggi abbiamo creato 5 case: lavorano, fanno le ferie, si integrano».

Quanti problemi ha avu­to nella Chiesa per le sue posizioni?

«No, sono stato sempre mol­to rispettato, talvolta temuto. In altre fasi, mi sono sentito un po' ai margini: ma non pos­so lamentarmi. Anzi, per cer­ti versi ho avuto successo».

Come vive una Chiesa che sulla famiglia fa parla­re politici divorziati?

«Non mi stupisco che i poli­tici strumentalizzino, sor­prende che la Chiesa li lasci fare senza intervenire».

E la vicenda dolorosissima di Eluana?

«Penso ai 250 mila casi Eluana in tutt'Italia, mi dico che tutto questo dovrebbe far riflettere e portare a una leg­ge con 4 regole che orientino i cittadini in un'eventuale scel­ta. E' scandaloso che tutta questa passione, da una parte e dall'altra, non faccia scatta­re gesti di solidarietà ogni giorno. Verso chi è solo, a Na­tale e a Pasqua, chi ha biso­gno di amicizia, chi è tentato dal suicidio o è disperato».

Nel suo libretto affronta anche il tema della solitudi­ne dei preti e del celibato.

«No a una Chiesa asettica che parla dall'alto: cosa san­no della tentazione? La profe­zia chiede preti liberi, senza coinvolgimenti, ma è giusto che chi voglia sposarsi lo pos­sa fare. La Chiesa dovrebbe aprire, fosse stato eletto Mar­tini... no, lasciamo perdere».

Ha fiducia nel futuro?

«Non muoio da arrabbiato, ma con la consapevolezza che i tempi, per vedere la giusti­zia, siano lunghi, molto lun­ghi. Troppa sofferenza, anche qui e ora. Persino 24 ore di in­giustizia e sofferenza sono troppe. La Chiesa, mai così potente, ha un'occasione for­midabile, non deve cedere al­la pigrizia, alla comodità».

Un messaggio di com­pleanno, per i suoi 90 anni.

«Mai lavarsi la coscienza dando 1 euro al povero. Ma chiedersi cosa posso fare io, nel mio piccolo, perché non ci sia più povertà, e mettersi in gioco. Ribellandosi alla stupi­dità, al falso, al convenziona­le. Serve passione per la ve­rità e l'autenticità. La perso­na era la maschera del teatro, il personaggio. Bisogna anda­re dentro, fino all'anima, sa­pendo che costa fatica».

La Tribuna di Treviso 15.02.09

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