Dalla rete per salvare gli ebrei alla teologia della liberazione alla prima associazione per aiutare gli handicappati: storia di un uomo che non si è mai arreso
Don Pavanello, il guerrigliero di Dio
Compie 90 anni il «padre» dei volontari trevigiani: «Non morirò arrabbiato»
di Andrea Passerini
La casa è a Breda, a fianco della chiesa. Piccole stanze, piene di segni. Il crocifisso brasiliano scolpito nel legno (rubato) da un ragazzo di strada, ricordo del lungo legame con dom Camara. Colombe della pace. Un poster di Don Milani: «Fai strada ai poveri senza farti strada». E decine di dediche fraterne dai mille amici. Monsignor Pavanello vive con un «diario vivente» del suo servizio, in cui ha seminato volontariato e impegno. Domani compie 90 anni. C'è chi, fra i giovani preti, deve a lui la sua vocazione. E moltissimi obiettori, operatori sociali, «folgorati» dal contatto con la sua testimonianza. Da mezzo secolo è un riferimento. Pioniere, in particolare, per l'handicap e le coop sociali, realtà in cui Treviso è (non a caso) all'avanguardia.
Monsignor Pavanello, 90 anni condotti sulla frontiera della solidarietà. Del «farsi prossimo» lei è un manifesto vivente.
«La fede deve affrontare le situazioni concrete dell'uomo, n samaritano è in viaggio per affari, non parte da casa sapendo cosa avrebbe fatto per strada, n Concilio Vaticano parla di segni dei tempi che la Chiesa deve interpretare. E il primo segno è sempre l'uomo. L'amore di Dio mi fa amare l'uomo, è il primo comandamento. Più di tutti colui che soffre e ha bisogno».
Come nasce, questa vocazione nella vocazione?
«Da giovane vedevo le donne venete contadine, schiavizzate dagli uomini. I paroni liberi di prendersi ogni licenza con le serve, i fioi dea serva. . .Poi la guerra: soldati renitenti, partigiani, molti con una rete clandestina che li portava in Svizzera. Per un cristiano è sempre inaccettabile vedere l'uomo umiliato perché debole».
Anche lei, come altri esponenti di una Chiesa più «sociale», è stato a lungo in Sudamerica.
«Realtà terribile e bellissima. L'umanità è sfruttata da multinazionali, latifondisti, poteri totalitari. Ma c'è anche una Chiesa che per la prima volta ha compiuto una rivoluzione partendo dalle comunità di base».
La teologia della liberazione sconfessata però dal Vaticano.
«Di fronte a quella situazione, la chiesa brasiliana ha vissuto la fede come liberazione dell'uomo. Forse qualche prete si è buttato a capofitto nell'impegno per il riscatto sociale, mettendo in secondo piano Dio. Ma il messaggio che arriva da quei paesi era, è, e sarà sempre straordinario».
Quante volte l'hanno accusata di «comunismo»?
«Ho sempre risposto: mai avuto bisogno di Marx, ho il Vangelo. La mia non è mai stata una fede facile, vengo da buona famiglia, agiata, papà e zio anticlericali. Una volta in Cile, era il 1964, ho visto contadini scalzi, in fila dal latifondista che regalava il pane, e gli baciavano le mani. Quella non è carità, quel pane è dovuto per giustizia sociale. E qui dico che la Chiesa dovrebbe andare oltre certe dichiarazioni belle di principio e gridare. Ci siamo fatti espropriare, i profeti hanno sempre gridato contro chi abusa del debole».
Ma il pericolo di essere strumentalizzati o associati a una parte politica?
«Mai avuto problemi, con comunisti o con non credenti. Papa Giovanni diceva di non chiedere mai a nessuno da dove venga, ma casomai dove vada. E se la tua strada è la sua, cammina insieme a lui senza paura. Se fai del bene, alla fine c'è anche il premio più bello, il Paradiso...».
Non sembrano più tempi per queste aperture. La Chiesa riaccoglie chi nega il Concilio Vaticano II.
«Ho speranza, ci sono segni positivi che non escono fuori. Nella Chiesa, come nella storia, le minoranze lavorano e soffrono. C'è bisogno di salvare l'uomo dalla banalizzazione, da questa paura del diverso, dalla mancanza di apertura. Penso a noi veneti, alla paura atavica del foresto, cavalcata dalla Lega. E a questa smania per la roba, l'affanno per i soldi, l'ingordigia: niente di peggio del povero arricchito. E il consumismo, maledetto: quand'era vescovo, Woytila disse a un convegno che faceva più danni dell'ateismo di Stato perché svuota l'uomo. Vedo cravatte a 150 euro in vetrina, il culto della griffe, pubblicità oscene: ecco lo scandalo di oggi».
Ha citato la Lega. Qui a Treviso, in passato, voci della Chiesa si sono levate, anche in modo forte. Oggi?
«Noi preti di questo territorio dovremmo farci un esame di coscienza. Quale atteggiamento abbiamo tenuto? Parte del mondo cattolico si è relazionata con la Lega, anche con scambi e piccoli favori».
Lei da 40 anni è attivissimo sul fronte dei disabili. Quando ha cominciato, nel 1972, non esisteva nemmeno questo termine, erano gli handicappati.
«E' stata un'altra situazione. Privata, familiare. Mio nipote Luca è nato down. Allora nelle famiglie scattava la colpa, la coscienza di una sorta di castigo di Dio, la vergogna, la rassegnazione. Un piccolo gruppo di persone sensibili, credenti e non, si è attivato, abbiamo creato l'associazione delle famiglie: ci aiutarono il sindacato, e un De sensibile come Armellin. Abbiamo girato, bussato alle porte. Ma non in un'ottica caritativa, no. n secondo passaggio dev'essere sociale, nella ci-vis: chi non ha diritti deve prendere coscienza, diventare soggetto politico in senso alto e chiedere alla democrazia di rimuovere l'emarginazione, la diseguaglianza, di dare opportunità. Oggi abbiamo creato 5 case: lavorano, fanno le ferie, si integrano».
Quanti problemi ha avuto nella Chiesa per le sue posizioni?
«No, sono stato sempre molto rispettato, talvolta temuto. In altre fasi, mi sono sentito un po' ai margini: ma non posso lamentarmi. Anzi, per certi versi ho avuto successo».
Come vive una Chiesa che sulla famiglia fa parlare politici divorziati?
«Non mi stupisco che i politici strumentalizzino, sorprende che la Chiesa li lasci fare senza intervenire».
E la vicenda dolorosissima di Eluana?
«Penso ai 250 mila casi Eluana in tutt'Italia, mi dico che tutto questo dovrebbe far riflettere e portare a una legge con 4 regole che orientino i cittadini in un'eventuale scelta. E' scandaloso che tutta questa passione, da una parte e dall'altra, non faccia scattare gesti di solidarietà ogni giorno. Verso chi è solo, a Natale e a Pasqua, chi ha bisogno di amicizia, chi è tentato dal suicidio o è disperato».
Nel suo libretto affronta anche il tema della solitudine dei preti e del celibato.
«No a una Chiesa asettica che parla dall'alto: cosa sanno della tentazione? La profezia chiede preti liberi, senza coinvolgimenti, ma è giusto che chi voglia sposarsi lo possa fare. La Chiesa dovrebbe aprire, fosse stato eletto Martini... no, lasciamo perdere».
Ha fiducia nel futuro?
«Non muoio da arrabbiato, ma con la consapevolezza che i tempi, per vedere la giustizia, siano lunghi, molto lunghi. Troppa sofferenza, anche qui e ora. Persino 24 ore di ingiustizia e sofferenza sono troppe. La Chiesa, mai così potente, ha un'occasione formidabile, non deve cedere alla pigrizia, alla comodità».
Un messaggio di compleanno, per i suoi 90 anni.
«Mai lavarsi la coscienza dando 1 euro al povero. Ma chiedersi cosa posso fare io, nel mio piccolo, perché non ci sia più povertà, e mettersi in gioco. Ribellandosi alla stupidità, al falso, al convenzionale. Serve passione per la verità e l'autenticità. La persona era la maschera del teatro, il personaggio. Bisogna andare dentro, fino all'anima, sapendo che costa fatica».
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