venerdì 13 febbraio 2009

Una linea diversa sul caso Englaro

Mons. Casale: «Io dico che Eluana ha finito di soffrire»

di Roberto Monteforte

Escludo che per Eluana si possa parlare di omicidio. Rifiuto questa lettura perché, come molti altri, ritengo che quando c'è la dichiarazione di volontà di rifiutare l'accanimento terapeutico, si rifiuta un intervento tecnico e si lascia che la natura faccia il suo corso. Come si può parlare in questo caso di eutanasia in questo caso?» È lineare il ragionamento di monsignor Giuseppe Casale, vescovo emerito di Foggia. Con serenità ribadisce il suo punto di vista sul caso Englaro. Un punto di vista molto diverso da quello di altre voci anche autorevoli della Chiesa, per le quali non vi sarebbe dubbio, quello di Eluana è stato omicidio, eutanasia.

 

Eppure nella Chiesa c'è chi si dice sicuro che la sospensione di alimentazione e idratazione sia eutanasia..

«Molti medici ritengono che l'idratazione e l'alimentazione forzata siano un medicamento. Non si tratta di un dar da magiare o da bere, ma di nutrire medicalmente con un sondino, con una miscela o altro che servono a tenere il corpo in vita. È alimentazione articificiale. Se uno la rifiuta, lasciando che la propria vita vada avanti secondo quello che è il pensiero di Dio, la sua volontà e la natura, allora quello che rifiuta è l'accanimento terapeuetico. Nel caso in cui non ci siano più prospettive o possibilità di una vita nuova, perchè ormai la lunga degenza esclude questa ipotesi, si tratta di affidarsi al corso della natura. Non è assolutamente eutanasia. Affermarlo è forzare le cose. È dare seguito ad interpretazioni politiche esasperate e unilaterali, forzate con questo vizio d'origine. Ci rifacciamo tanto alla natura e alle sue leggi e in questo caso ritieniamo che le sue leggi debbano essere violate? Diciamo che ci vogliono gli interventi tecnologici o biotecnici?».

 

Eppure la polemica monta nel paese. Non le pare che ci sia il rischio di una lacerazione profonda nella società?

«Dobbiamo lavorare perché si crei una nuova mentalità. Davanti alla morte di questa giovane creatura dobbiamo essere indotti a riflettere. A liberarci dai pregiudizi e dagli interessi di parte. Se dovessi dire il mio pensiero chiederi al Signore di tenermi in vita finché è possibile. Mi affiderei alla sua bontà. Aspettando che mi chiami. Non rinuncerei a seguire le cure che i medici mi consigliano, ma non vorrei trovarmi nella condizione di essere affidato a delle tecniche che prolungano artificiosamente la vita. Vorrei viverla ricca almeno di un rapporto con gli altri. Ho assistito molti ammalati terminali. Sino al momento in cui vi è possibilità di comunicazione con lo sguardo, con un canto, con un tocco della mano allora sì che c'è una comunicazione, che c'è la vita. Ma non è questo il caso che stiamo esaminando...».

 

Il mondo cattolico protesta vivacemente...

«C'è stata tutta questa mobilitazione. Io che sono uomo libero rifiuto di farmi mobilitare».

 

Lei è una voce fuori dal coro...

«No. Sono nel coro che è la Chiesa cattolica. Sarò forse un solista. E i solisti mettono in evidenza alcuni aspetti della partitura. In questo coro io ho voluto mettere in evidenza un'aspetto: quello della libertà della persona, quello della vita che è vita quando è fatta di relazioni, quello del rispetto della volontà anche quando non è espressa con un atto formale, come è stato per questa giovane donna che lunedì sera ha concluso il suo cammino. Rifiuto qualsiasi forma di "intruppamento", di mobilitazione, di crociata. Perché le crociate hanno lasciato brutti segni nella storia della Chiesa».

 

Come costruire il "dopo Eluana"?

«Evitando di cadere nel tranello dei marpioni della politica sempre pronti a tirare l'acqua al loro mulino. Non è giusto usare strumentalmente un caso così drammatico per fini che non sono neanche politici, ma di rivincita di un gruppo sull'altro. Dobbiamo avere la dignità di uno sguardo nuovo della politica che rispetti le persone, che vada nella direzione della "polis", la città al cui servizio noi siamo».

 

Come arrivare ad una legge sul testamente biologico che aiuti a definire il "fine vita"?

«Attraverso un confronto che rispetti le etiche diverse e la libertà delle opinioni. In un regime democratico la libertà va costruita nel rispetto reciproco e nell'accoglienza delle varie esperienze. Soprattutto nel rispetto delle persone che soffrono. E non credo che Bettino Englaro abbia fatto quello che ha fatto senza passare attraverso una grossa sofferenza. Abbiamo il dovere di rispettarlo e lui ha il diritto al nostro rispetto e alla nostra amicizia».

dall’ Unità, 11 febbraio 2009

 

 

“Rispetto il papà: ha voluto provocare le coscienze”

intervista a Mons. Giancarlo Maria Bregantini a cura di Giacomo Galeazzi

in “La Stampa” dell'11 febbraio 2009

 

«Sono vicino a Peppino Englaro che invece di ricorrere a sotterfugi è sempre stato corretto e ha creduto nella giustizia. Bisogna apprezzare la sua rettitudine». L’arcivescovo Giancarlo Maria Bregantini, 60 anni, trentino, commissario Cei del Clero e della vita consacrata, per tre lustri presule anti-clan a Locri e due anni fa promosso alla guida dell’arcidiocesi di Campobasso, tende la mano al papà di Eluana che, invece, secondo Avvenire «si è fatto giudice e boia».

 

Peppino Englaro «boia», come attacca il giornale della Cei?

«Ora è proprio il caso di abbassare i toni e riflettere con maggiore pacatezza ed equilibrio. E senza dimenticare mai che la misericordia è la nota dominante che permea tutto il Vangelo. Come credenti dobbiamo stringerci attorno alla famiglia Englaro che per 17 anni ha sofferto un atroce calvario e ora sperimenta il dolore più lancinante. Sul piano soggettivo e a livello personale, dobbiamo tutti comprendere una situazione altamente dolorosa che si è conclusa in modo triste. Io avrei preferito che Eluana fosse affidata sempre più alle suore e continuare a starle vicino accompagnando questo padre così provato e meritevole di profondo rispetto».

 

Qual è il merito del papà di Eluana?

«Peppino Englaro è stato grande nell’aver voluto una soluzione legale senza mai cercare scorciatoie sotto banco. Personalmente non avrei trasferito Eluana a Udine, ma non pronuncerò mai condanne contro la famiglia Englaro né farò campagne. Va rispettato il dolore personale, soggettivo di un padre che si è fidato della giustizia ed è stato esemplare nel rifuggire dai sotterfugi. Di tanti casi simili a quello di Eluana non si è mai saputo nulla perché si sono fatte le cose di nascosto. Al contrario, Peppino Englaro, con la sua rettitudine, ha voluto provocare le nostre coscienze, perciò merita rispetto sul piano personale e della modalità d’azione. Ci ha posto di fronte ad un macigno sul quale bisogna riflettere».

 

Oltreché contro Peppino Englaro, le associazioni cattoliche puntano l’indice contro Napolitano per la mancata firma sul decreto «salva-Eluana». E’ d’accordo?

«No. Il Capo dello Stato aveva motivazioni certamente fondate per non firmare. Era la sentenza dei giudici a non essere accettabile per la morale cattolica, non certo la mancata firma del presidente Napolitano. Piuttosto il Parlamento poteva essere più lungimirante e assumersi prima il compito di legiferare sul fine vita e non pretendere di risolvere tutto in poche ore. Adesso bisogna cogliere la provocazione positiva di Peppino Englaro. Ha anche chiesto la benedizione di Eluana, che va accolta con grande misericordia tra le braccia della Chiesa. Avremmo dovuto camminare più insieme alla famiglia Englaro, accompagnarla di più in questi anni. Eluana potrebbe essere la nostra mamma, la nostra sorella, una persona a noi cara. Non dobbiamo lasciare sola la famiglia Englaro».

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