venerdì 20 aprile 2007

Vauro

Vauro




Cattolici, omosessuali e l'ipocrisia dei perbenisti

LA LETTERA

Ho assistito ad una festa di carnevale, grandiosa e sfavillante: la chiesa era gremita di ospiti ben truccati, tutti indossavano maschere d'ordinanza d'ipocrisia e perbenismo, gli amici all'ingresso sono rimasti sospesi fra sigarette, risate, casino.

La sposa, fasciata in un abito bianco di pizzo e merletti che tradiva una straripante gravidanza, era bellissima. Lo sposo, scottato da una lampada di troppo, era perfetto: labbra lucide, muscoli guizzanti valorizzati da un completo elegante ma non rigoroso o austero, sopracciglia così sottili da farlo sembrare un emulo della più memorabile Oxa anni '80.

È andato in scena l'ennesimo matrimonio etero, in una chiesa cattolica intrisa di malinconia, fra ossimori e contraddizioni stridenti. Qui c'era una creatura in arrivo, e allora si poteva perdonare qualunque cosa: la convivenza che ha preceduto la cerimonia, il sesso e i suoi vistosi frutti, l'imbarazzante incoerenza con la morale sessuale predicata dai preti. A detta dei miei amici - i due sposi - durante il corso per fidanzati erano venuti in contatto con numerose coppie che convivevano e, udite udite, con nuclei che non avevano la minima intenzione di diventare riproduttivi. Perché scegliere il matrimonio in Chiesa? Semplicemente perché è "bello", in un colpo solo si accontentano genitori e parenti, ci si diverte con gli amici, è una tradizione, si ricevono regali e soldoni. Wow. E la fede? E la coerenza con le promesse proferite davanti a Dio? Nel silenzio dell'abitacolo della mia auto, mentre mi dirigevo verso il ristorante, riflettevo sui "sedicenti" cattolici con cui lavoro, fianco a fianco, in ufficio.

Uno ha l'amante (lo sappiamo tutti - anche la moglie - non vuole figli... chi lo conosce dice "per fortuna") ed è un paladino delle belle tradizioni venete. Uno va a Messa tutte le domeniche, vota la Lega, frequenta con gioia e soddisfazione tutti i privée della provincia di Treviso ma a volte si spinge pure in Friuli, tanto a casa con i figli c'è la moglie.

Il titolare è sposato, ha avuto un figlio, super programmato, arrivato fra un'auto sportiva e una casa al mare. Non lo vede mai. Alla moglie ha preferito una splendida ventenne dell'est. Ha visto il Papa in piazza San Pietro.

La meta era lontana, il traffico sostenuto, c'era il tempo per altre riflessioni. Pensavo ai locali notturni della piccola provincia di Treviso, non bastano le dita delle mani e dei piedi per contarli tutti. Pensavo al numero di auto che spesso vedo parcheggiate all'esterno dei night per "scambisti" nelle mie scorribande notturne, tradiscono un numero di avventori considerevole. Pensavo alle schiave del sesso sulla Pontebbana, sotto gli occhi di tutti. Rivivevo le code interminabili di clienti arrapati: sono solo buoni padri di famiglia. Ricordavo le ridicole ronde leghiste e le loro manifestazioni di sdegno per il fenomeno, ricordavo le battute dozzinali sul "celodurismo" imperante e non riuscivo a non pensare alla contraddizione di una provincia fatta di Chiese, privèe e partiti che senza alcuna consistenza cavalcano l'onda della paura, del pregiudizio, dell'aggressività verbale, senza fare nulla di concreto. I muri vicino alla mia casa sono sempre imbrattati da un "W La Lega", "W Forza Nuova contro gli immigrati", ma ogni volta che leggo le scritte una laica preghiera di dolore corre ai poliziotti che ogni domenica restano feriti o uccisi negli stadi, nel tentativo di arginare i danni di curve decisamente troppo pericolose, al limite della legalità...

Ripensavo pure al mio sabato più recente in discoteca e non riuscivo a non essere angosciato: schiere di giovanissimi che consumano alcol e droga senza alcun ritegno. Che siano i figli delle famiglie perbene o che li abbiano spediti i marziani? Chissà...

Infine, un pensiero andava al giovane adolescente torinese che, non riuscendo a sostenere lo stress dell'insulto e della prevaricazione continua, ha scelto di morire. Tornando ai tempi in cui ho frequentato il liceo devo dire che le cose non sono cambiate, anch'io volevo morire, per lo stesso motivo del torinese studioso e perbene. Con l'unica differenza che le battute dei compagni non erano nulla in confronto alla prevaricazioni verbali e di giudizio sui meriti, perpetrate da alcuni insegnanti. Il ristorante si avvicinava, ma restano troppe domande senza risposta.

Perché l'80\% delle coppie sceglie ancora oggi il matrimonio in chiesa ma poi non è coerente con i dettami cattolici? Perché non si riproducono loro invece di alimentare sprezzanti giudizi sulle coppie laiche o non tradizionali che in coerenza con la loro identità e la consapevolezza di se non vogliono essere genitori? Perché i cattolici, nella vita di tutti i giorni, non mettono in pratica i precetti di amore cristiano, tolleranza, lealtà propri della loro religione? Perché la Lega e i partiti di destra, invece di sottolineare un'eventuale e mai riscontrata inadeguatezza delle coppie omosessuali ad essere genitori, non fanno un'analisi attenta e precisa dei fallimenti educativi perpetrati dalla "famiglia tradizionale"? La vedo soltanto io la leggerezza con cui le nuove generazioni consumano alcol, droga, sesso a pagamento? Perché la gerarchia ecclesiastica, invece di dare informazioni false e cariche di disprezzo su chi vive una sessualità non omologa alle abitudini etero/fasciste di cui il clero è rappresentante, non chiede semplicemente maggiore coerenza ai suoi "fedeli"? Di corsa, tutti al family day... ma la famiglia "tradizionale" esiste ancora? E poi, signore donne, svegliatevi!: molti dei vostri maritini, tra una partita di calcetto e il pretesto delle sigarette sapete dove vanno?! Nei locali gay, a fare sesso, ad innamorarsi di altri uomini, a dimenticare l'ipocrisia e la noia in cui li avete imbrigliati!

Amen.

Lettera firmata

Il Gazzettino, Domenica, 15 Aprile 2007

giovedì 5 aprile 2007

Buona Pasqua

Noi e i vescovi



Lettera 122 marzo/aprile 2007
di Ettore Masina


1
Non ho mai perdonato alla riforma liturgica conciliare di avere “tagliato” le due frasi con le quali cominciavano le messe in latino: “Introibo ad altare Dei, ad Deum qui laetificat juventutem meam: mi avvicinerò all’altare di Dio, al dio che rende allegra la mia giovinezza”. Quelle frasi esprimevano bene la convinzione che la fede nel Cristo dona ai fedeli gioie che neppure la vecchiaia può cancellare. Papa Giovanni, il suo sorriso, il suo coraggio ne furono la dimostrazione visibile. Per lui, e poi per il Concilio, la Chiesa era il luogo in cui risuonavano non solo i gemiti del Crocifisso ma anche la festa senza fine della sua resurrezione. Questa pienezza di vita, che dovrebbe illuminare di speranza anche i giorni delle tragedie personali o collettive, risuona, del resto, in tutto il vangelo. “Non temete” è il messaggio degli angeli e del Risorto. Negli Atti degli apostoli le fragili navicelle dei missionari sono squassate dalle tempeste ma non distrutte, i naufragi - e addirittura le persecuzioni - si tramutano in occasioni per portare il vangelo in paesi scelti dalla Provvidenza contro ogni progetto umano. Senza potere terreno, la Chiesa dei santi riluce nei secoli di ferro e di buio. E’ da quando la croce venne posta sulle bandiere dei re, sugli scudi degli eserciti, sulle copertine dei codici che quella luce viene spesso ferita dalle ombre della insicurezza, da un profano timore.Anche oggi la Chiesa (la mia Chiesa) appare, almeno nei pastori che la presiedono in Italia, ma anche nel papa tedesco, dominata da una fonda paura che anzichè a un luogo di fraterna accoglienza la riduce a una fortezza assediata dai barbari. Più che alla infinita ricchezza delle forme in cui il Regno di Dio è già presente sulla Terra, lo sguardo dei vescovi sembra concentrarsi sulla fragilità mondana dell’apparato ecclesiale. L’integrità della fede sembra loro vulnerata dalle sfide poste dal futuro e dalla secolarizzazione a questa struttura. “A un tuo cenno, a una tua voce, un esercito all’altar” cantavano le masse cattoliche, gremendo piazza San Pietro nel dopoguerra. Quell’esercito è andato di gran lunga assottigliandosi, ma abbiamo giustamente irriso per più di mezzo secolo la stolida domanda di Stalin: “Quanti battaglioni ha il papa?”. Una paura che ponesse oggi lo stesso interrogativo potrebbe dirsi cristiana?Ritorna nel magistero di questi anni la predicazione dell’inferno, si negano funerali religiosi a persone martirizzate da orrende malattie, e soprattutto si tenta, con un’incessante campagna mediatica, di impedire che lo Stato (laico per definizione) migliori la situazione giuridica di una non piccola minoranza di cittadini.Per i vecchi come me, si tratta di ritorni a fasi storiche che avremmo voluto dimenticare. Non abbiamo vissuto gli anni della spietata lotta di Pio X al modernismo né quelli dei concordati con il fascismo e il nazismo, ma ricordiamo bene la scomunica decretata dal Sant’Offizio (fine degli anni ’40 del secolo scorso) per milioni e milioni di italiani - borghesi, ma anche, e soprattutto, poveri operai e poverissimi contadini - assetati di giustizia; pensiamo ai primi anni ’50 in cui Carlo Carretto e Mario Rossi erano espulsi dall’Azione cattolica per “deviazionismo” democratico, Luigi Gedda dichiarava che “la Chiesa si salva con l’organizzazione” e De Gasperi e monsignor Montini venivano puniti da Pio XII per il loro NO ad accordi elettorali con i fascisti, i qualunquisti e i monarchici; pensiamo alla “normalizzazione” post-conciliare con l’inquisizione e la rimozine dalle cattedre di teologi e teologhe; alla dura battaglia per la soppressione del divorzio in cui alcuni di noi ebbero la carriera professionale stroncata dal potere profano di ecclesiastici vaticani ; mentre negli anni appena scorsi siamo stati costretti ad assistere alle scelte elettorali di Ruini, a Roma, ma anche vaticane: sì a Storace, sì a Berlusconi, sì alla Moratti, sì a Casini, protettori dei redditi di scuole e cliniche cattoliche, sì agli atei “devoti” pronti a incensare il ruolo della Chiesa nel “contenimento” dell’Islam per averla compagna di battaglie di civiltà....La ricerca di sicurezze terrene ha, del resto, reso talvolta affannoso il respiro della Chiesa e ferito crudelmente il suo amore comunitario anche in altri paesi: dalla lotta, in Francia, alla Nouvelle Théologie ai delitti nelle adiacenze dello IOR, all’ossessione anticomunista che ha portato papa Wojtyla a demolire buona parte delle realtà cattoliche in America Latina: la tolleranza per i vescovi argentini complici della dittatura e la spietata condanna all’isolamento di monsignor Romero, il dito ammonitore levato su Ernesto Cardenal e la mano stretta a d’Aubuisson, notorio mandante dell’assassinio del vescovo martire...

2
Tristi vicende di una Chiesa semper reformanda e semper casta et meretrix, secondo i suoi Padri: sempre santa perchè congregata intorno al Signore Gesù e sempre meretrice perchè fatta di uomini con le loro miserie, le loro paure, le loro incomprensioni. Ed è un fatto che dovunque la gerarchia ecclesiastica ha indurito la sua disciplina e ha preteso, in vari modi, di porre nella società laica, il suo magistero come fonte assoluta ed esclusiva garanzia di autenticità dei valori morali, lì, crescendo la distanza fra il vangelo e la sfida portata agli “altri”, è stato inevitabile che la sua voce si facesse (come dire?) “sgraziata”, e ne scadesse la dignità. Ricordo il vescovo di Prato, Fiordelli, che nel 1958 faceva leggere in tutte le sue chiese una notificazione in cui due giovani che avevano scelto il matrimonio civile venivano bollati come “pubblici concubini”; ricordo Amintore Fanfani -vicinissimo a monsignor Benelli, segretario di Stato - gridare, in chiusura della campagna per l’abrogazione del divorzio: “Donne, badate: i vostri mariti scapperanno con le serve di casa!”... Tempi lontani? Mica tanto se il nuovo presidente della Conferenza episcopale italiana cita la possibilità della legalizzazione dell’incesto e della pedofilia come possibili conseguenze del lassismo morale che, secondo i vescovi, avvelenerebbe anche la legge sulle convivenze. Dichiarazione poi smentita, secondo l’esempio di Berlusconi, il quale, contestato, guaisce (o ringhia) : “Avete frainteso!”.

3
Quando una persona di buona volontà entra in politica, porta dentro di sé un sogno che va molto al di là delle finalità che si propone il partito al quale aderisce. Il suo sogno ( ripeto che parlo di persone di buona volontà!) è quello di riuscire a cambiare radicalmente il mondo, costruire una realtà, locale o universale, che elimini tutto ciò che gli pare male e realizzi tutto il bene che gli sembra necessario. Ma in democrazia è indispensabile tradurre i sogni in leggi ed ottenere su di esse il consenso della maggioranza. E’ un lavoro duro e difficile, particolarmente per chi è portatore di ideali cui è sensibile soltanto una parte dei cittadini. Ho vissuto anch’io questo dramma in dieci anni di vita parlamentare: il mio sogno e la volontà della maggioraza degli elettori molto spesso divergevano. (Divergevano, anche, molte mie scelte, da quelle di altri cattolici). La Costituzione afferma che il parlamentare non può avere vincoli di mandato; vuol dire che il deputato e il senatore devono votare sempre in piena libertà di coscienza, senza accettare pressioni. Per fare politica o per far fermentare la società in senso cristiano non è necessario entrare in parlamento e neppure in un partito; ci può essere la via della missione evangelizzatrice, del sacerdozio, dell’apostolato, della umile ma preziosa testimonianza di vita, e persino (parlo seriamente) della profezia; ma se si sceglie una tribuna “laica” se ne debbono accettare lealmente le regole. Il problema del parlamentare cattolico è dunque quello di esercitare una continua mediazione fra la sovranità popolare e i propri ideali in un luogo creato per il dialogo e non per lo scontro, per la collaborazione e non per la rissa delle ideologie, per utopie che si trasformino in capacità di costruzione collettiva. I cattolici deputati alla Costituente seppero farlo mirabilmente. Rispettare le competenze dei parlamentari e la loro vocazione (quando c’è) dovrebbe essere anche oggi impegno di tutti.

4
La gerarchia ecclesiastica tradirebbe la sua missione se non levasse alto il vangelo, proponendolo all’intera società; e però la storia mostra quanto frequenti siano i rischi di questa missione: non solo quando la Chiesa la eserciti, spesso eroicamente, in regimi atei o totalitari, ma anche quando la eserciti in regimi democratici. La lettura e le interpretazioni dei “segni dei tempi”, per esempio, non sono competenze esclusive del suo magistero, anzi, talora, nella storia, i vescovi hanno rivelato sconcertanti sordità e confusioni: penso a come la Chiesa gerarchica ha perso la classe operaia nel secolo XIX, negando ai poveri il diritto alla giustizia per non deporre i privilegi che la assimilavano alla classe padronale. Oggi le tentazioni che si pongono alla comunità cristiana sono più raffinate: molti sedicenti amici (atei “devoti”) le chiedono di trasformarsi in lobby, di non essere sale e lievito nella massa ma blocco di lievito inerte, muraglia di sale scipito. Forze politiche e uomini di potere che in cuor loro ritengono il messaggio del Cristo una follìa si offrono di essere il suo braccio secolare nelle istituzioni, Non basta: viviamo anni di confusione di valori, di sensibilità e anche, purtroppo, di ostilità per chi propone un’etica senza compromessi; la sensibilità nella comunicazione ecclesiale dovrebbe essere dunque particolarmente attenta; si ha invece la sensazione che molti fra i più importanti ecclesiastici abbiano perso il contatto con la realtà culturale: se Benedetto XVI, dovendo scegliere un esempio di violenza religiosa, indica l’Islam invece delle crociate, se la Chiesa concede funerali religiosi a Pinochet e li nega a Welby; se la continua reiterazione (per non dire l’ossessività) di interventi contro la “legalizzazione” delle famiglie “di fatto” contrasta con la penuria - o almeno l’episodicità - di interventi contro peccati “sociali” come la feroce inutilità della guerra (e dunque la necessità di un forte pacifismo cristiani), la frequenza delle morti nei cantieri e nelle fabbriche o gli inquinamenti mafiosi nella politica; se il Vaticano preferisce venire a patti con i seguaci di Lefebvre, l’Anticonciliarista, piuttosto che entrare in dialogo fraterno con Jon Sobrino, il teologo dei poveri; se tutto questo accade, l’opinione pubblica, piuttosto che contemplare il mite, amorevole volto del Cristo, vede e sente estranea, antipatica (ma sì, diciamolo l’aggettivo) una istituzione che le pare invadere la sfera del privato e del pubblico, in nome di una volontà di potere e di una serie di precetti formali, soprattutto sessuofobici. La maggioranza degli italiani dichiara, nei sondaggi, di avere fiducia nella Chiesa ma piuttosto che al magistero si riferisce alla straordinaria (e talvolta eroica) rete di servizi tessuta dal volontariato cattolico.

5
Anche oggi (4 aprile) una nuova bordata della CEI contro le cosiddette famiglie di fatto. Mi colpisce la reiterata violenza nel giudizio dei vescovi. A me pare, intanto, che vi sia convivenza e convivenza, e non poche esprimano un’affettuosa solidarietà in cui si possono rinvenire tracce ( e talvolta ben più che tracce) di amore cristiano. Del resto, quando Gesù, assumendo su di sé anche il loro strazio, affidò Maria a Giovanni e Giovanni a Maria, non diede origine a una famiglia di fatto? E non esistono sulla Terra più di un milione di persone, a stare alle statistiche vaticane, che (frati, suore, seminaristi, membri di istituti secolari) rivendicano con amorosa fierezza, per le loro convivenze, il nome di “famiglie religiose”? E al momento del Concordato non ha chiesto, e ottenuto per esse la Santa Sede che lo Stato italiano concedesse loro apposite normative?Il fatto è che i vescovi temono particolarmente due pericoli. Il primo è quello che si vada verso il riconoscimento di vincoli matrimoniali fra omosessuali. Avendo dato origine a un sacerdozio celibatario, la cui formazione avviene in istituti mono-sessuali, la Chiesa cattolica romana si trova in effetti a dover fronteggiare, nei suoi stessi ambienti, un problema reale e scabroso. Questa percezione ha generato una vera e propria omofobia, la quale impedisce una serena valutazione della legge sulle cosiddette DICO, che a molti (me compreso) appare nello stesso tempo assai ponderata. E la durezza espressa dai vescovi, certamente al di là delle proprie intenzioni finisce per apparire ben poco evangelica: fossero pure, gli omosessuali, dei “devianti”, come dimenticare la misericordia con la quale Gesù dichiara: “Non spezzerò la canna fessa né il lucignolo fumigante”?Il secondo pericolo avvistato dai vescovi mi sembra il seguente: che una legittimazione delle coppie “di fatto” finisca per negare al matrimonio una condizione di privilegio, mentre si perderebbe lo stigma sociale che ancora oggi colpisce le unioni “irregolari”. Questo concorrerebbe a una crisi della famiglia “naturale” e in particolar modo di quella cattolica.Vale qualcosa la testimonianza di una coppia che ha celebrato il 51.mo anniversario del suo matrimonio cattolico; di uno scrittore che ha girato per anni tutte le regioni italiane - nessuna esclusa - in un’attività di cosiddetto apostolato sociale; di un giornalista che ha condotto inchieste approfondite sull’argomento? Se sì, allora vorrei dire sommessamente ai vescovi che è vero che la fedeltà coniugale è spesso aggredita da un diffuso lassismo morale ma i prevalenti pericoli per la famiglia (cattolica e no) nascono da altre realtà. Se i giovani, a causa delle politiche governative che consentono un andamento selvaggio del mercato immobiliare non riescono a “mettere su casa”; se il precariato che impera nel mondo del lavoro impedisce loro di ricorrere ai mutui bancari; se i salari italiani sono i più bassi dell’Europa occidentale; se la situazione degli asili e delle scuole è vergognosa; se il caos del traffico e dei trasporti pubblici priva centinaia di migliaia di padri di una autentica presenza in famiglia; se la pressione consumista è così forte e devastante, è ovvio che la famiglia sia resa più fragile; ma anche su questi fenomeni la voce dei vescovi si è espressa saltuariamente e fievolmente o almeno con forza e frequenza del tutto dissimili alla presente offensiva mediatica. Su di essi i cattolici non sono mai stati chiamati in piazza. Ne parleranno al cosiddetto Family Day?

6
Naturalmente sono vere molte altre cose: per esempio, che non raramente ai documenti della CEI viene concesso dai media attenzione mediocre quando non esigua, essendo presente nella borghesia italiana una rimarchevole corrente anticlericale; che gli echi di questa inopinata battaglia vengono grandemente ampliati da giornalisti al servizio di quei politici che vedono il progetto delle DICO come una promettente pietra d’inciampo per il governo Prodi; che i DICO appaiono a molti cattolici un’ulteriore forma di mutamenti sociali che sgretolano il conforto di antiche certezze.Vero è anche che fra i cattolici regna una profonda ignoranza sui termini ecclesiologici; per cui il dibattito sulla vicenda è rozzo, elementare: molti non ne capiscono le valenze, molti sono convinti che un saluto del Papa ai pellegrini domenicali abbia lo stesso valore, la stessa cogente importanza di un’enciclica. Questo comporta la pratica inesistenza di un dialogo nella Chiesa italiana. Il silenzio degli inellettuali laici aumenta a dismisura l’isolamento dei pastori. E’ talvolta un vero e proprio tradimento...Dico questo perché papa Giovanni ci ha insegnato che non si può battere il confiteor sul petto altrui. La Chiesa non è una realtà di “quadri”, la Chiesa siamo (anche) noi. Anche noi ne siamo responsabili. Lasciatemi dire che vedo non pochi fratelli e sorelle nella fede quasi rattrappiti in una dolorosa depressione, resi vecchi dalla convinzione che il Concilio sia ormai da considerare lettera morta e che tentare di collaborare con i vescovi tenendo dritta la schiena sia troppo scomodo e vano. In questa festa di passaggio e di resurrezione, vorrei che questi uomini e donne di buona volontà sentissero che Dio, qualunque sia la nostra età anagrafica, rallegra ancora la nostra giovinezza.
Giovedì, 05 aprile 2007

Perle altre lettere vai al sito di Ettore Masina

Riflessioni del Presidente Fidel Castro



Più di tre miliardi di persone nel mondo condannate ad una morte prematura
Non si tratta di una cifra esagerata ma, semmai, prudente. Ho meditato molto su questo dopo la riunione tra il presidente Bush e i fabbricanti nordamericani d’automobili.
Lunedì 26 marzo la sinistra idea di trasformare gli alimenti in combustibile è stata definitivamente fissata come linea economica della politica estera statunitense.
Il testo di un dispaccio della AP, agenzia di stampa nordamericana che arriva in ogni angolo del mondo, recita:
“WASHINGTON, 26 marzo (AP). Il presidente George W. Bush ha elogiato lunedì i vantaggi delle automobili funzionanti con etanolo e biodiesel, durante una riunione con i fabbricanti di veicoli in cui ha cercato di dare impulso ai suoi piani di combustibili alternativi.
“Bush ha detto che un impegno dei leaders dell’industria automobilistica nazionale per duplicare la produzione di veicoli a combustibile alternativo aiuterebbe a far sì che gli automobilisti abbandonino i motori funzionanti a benzina, riducendo la dipendenza del paese dal petrolio d’importazione.
“’È un grande progresso tecnologico per il paese’, ha detto Bush dopo aver ispezionato tre veicoli a combustibile alternativo. Se la nazione vuole ridurre il consumo di benzina, il consumatore deve avere la possibilità di prendere una decisione razionale.
“Il Presidente ha sollecitato il Congresso ad avanzare rapidamente nell’introduzione di una legislazione proposta recentemente dal Governo per ordinare l’uso di 132 miliardi di litri (35 miliardi di galloni) di combustibile alternativi per il 2017 e per imporre parametri più esigenti di consumo del combustibile nelle automobili.
“Bush si è riunito con il presidente del consiglio e direttore generale della General Motors Corp., Rich Wagoner; con il direttore generale di Ford Motor Co., Alan Mulally e con il direttore generale del gruppo Chrysler di Daimler Chrysler AG, Tom LaSorda.
“I partecipanti all’incontro hanno discusso misure atte a sostenere la produzione di veicoli a combustibile alternativo, dei tentativi per sviluppare l’etanolo a partire da fonti come l’erba e la segatura e una proposta per ridurre del 20% in dieci anni il consumo di benzina.
“Gli incontri si sono svolti in un momento in cui il prezzo della benzina è in aumento. Lo studio più recente dell’organizzazione Lundberg Survey segnala che il prezzo medio nazionale della benzina è aumentato di 6 centesimi per gallone (3,78 litri) nelle ultime due settimane, arrivando a 2,61 dollari”.
Penso che ridurre e riciclare tutti i motori che consumano elettricità e combustibile sia una necessità elementare e urgente di tutta l’umanità. La tragedia non consiste nel ridurre questi costi energetici, ma nell’idea di trasformare gli alimenti in combustibile.
Oggi si sa con precisione che una tonnellata di mais può produrre in media soltanto 413 litri di etanolo, equivalenti a 109 galloni.
Il prezzo medio del mais nei porti degli Stati Uniti è di 167 dollari la tonnellata. Sono pertanto necessari 320 milioni di tonnellate di mais per produrre 35 miliardi di galloni di etanolo.
Il raccolto del mais negli USA nel 2005, secondo i dati della FAO, è arrivato a 280,2 milioni di tonnellate.
Anche se il Presidente parla di produrre combustibile a partire dall’erba o dai trucioli del legno, chiunque capisce che si tratta di frasi assolutamente irrealistiche. Ripeto: 35 miliardi di galloni significano un 35 seguito da nove zeri!
Seguiranno poi dei begli esempi di ciò che conseguono gli sperimentati e ben organizzati agricoltori degli Stati Uniti rispetto alla produttività di ogni uomo ed ogni ettaro: il mais trasformato in etanolo; i residui di questo mais trasformati in mangime per gli animali con il 26% di proteine; gli escrementi del bestiame utilizzati come materia prima per la produzione di gas. Ma questo, dopo ingenti investimenti, è alla portata solamente delle imprese più poderose, dove tutto deve ruotare attorno al consumo d’elettricità e combustibile.
Applicate questa ricetta ai paesi del Terzo Mondo e vedrete quante persone non consumeranno più mais tra le masse affamate del nostro pianeta. O peggio: concedete ai paesi poveri prestiti per finanziare la produzione di etanolo dal mais o da qualsiasi altro tipo di alimento e non rimarrà in piedi nemmeno un albero per difendere l’umanità dal cambiamento climatico.
Altri paesi della parte ricca del mondo hanno programmato di usare non solo mais, ma anche grano, semi di girasole, di colza ed altri alimenti per la produzione di combustibile. Per gli europei, per esempio, sarebbe redditizio importare tutta la soya del mondo allo scopo di ridurre il consumo di combustibile delle loro automobili ed alimentare i loro animali con i residui della detta leguminosa, particolarmente ricca di tutti i tipi di aminoacidi essenziali.
Gli alcool venivano elaborati a Cuba come sottoprodotto dell’industria zuccheriera, dopo aver praticato tre estrazioni di zucchero al succo della canna. Il cambiamento climatico sta già danneggiando la nostra produzione di zucchero. Grandi siccità si alternano con piogge record, che appena permettono di produrre zucchero per cento giorni, con rese adeguate nei mesi del nostro assai moderato inverno e così manca zucchero per ogni tonnellata di canna o manca canna per ogni ettaro, a causa della prolungata siccità nei mesi di semina e coltivazione.
In Venezuela userebbero l’alcool non per l’esportazione, ma per migliorare l’impatto ambientale del loro combustibile. A prescindere dall’eccellente tecnologia brasiliana per produrre alcool, a Cuba l’impiego della detta tecnologia per la produzione diretta di alcool a partire dal succo della canna è soltanto un sogno o una stravaganza di coloro che si fanno illusioni su quest’idea. Nel nostro paese, le terre dedicate alla produzione diretta di alcool possono essere molto più utili nella produzione di alimenti per il popolo e nella protezione dell’ambiente.
Tutti i paesi del mondo, ricchi e poveri, senza eccezione alcuna, potrebbero risparmiare miliardi di dollari in investimenti e combustibile semplicemente sostituendo tutte le lampadine incandescenti con lampadine fluorescenti, cosa che Cuba ha fatto in tutti i focolari domestici del paese. Ciò rappresenterebbe una boccata d’ossigeno per resistere al cambiamento climatico senza provocare la morte per fame delle masse povere del mondo.
Come si può vedere, non uso aggettivi per qualificare il sistema ed i padroni del mondo. Questo lo sanno fare in modo eccellente gli esperti in informazione, scienze socio-economiche e politiche onesti che nel mondo abbondano e che studiano costantemente il presente ed il futuro della nostra specie. Sono sufficienti un computer e le sempre più numerose reti Internet.
Oggi ci troviamo di fronte per la prima volta ad un’economia veramente globalizzata e ad una potenza dominante nel terreno economico, politico e militare, che non assomiglia in niente alla Roma degli imperatori.
Qualcuno si chiederà perchè parlo di fame e sete. Rispondo: non si tratta dell’altra faccia di una moneta, ma di varie facce di un altro oggetto, come può essere un dado a sei facce, o un poliedro con molte più facce.
Mi avvalgo in questo caso di un’agenzia ufficiale di notizie, fondata nel 1945 e generalmente ben informata sui problemi economici e sociali del mondo: la TELAM. Cito testualmente:
“Circa due miliardi di persone, da qui a 18 anni, abiteranno in paesi e regioni dove l’acqua sarà un lontano ricordo. Due terzi della popolazione mondiale potrebbero vivere in luoghi dove questa scarsità potrebbe produrre tensioni sociali ed economiche di una tale portata da provocare guerre per il prezioso ‘oro azzurro’.
“Negli ultimi 100 anni l’uso dell’acqua è aumentato ad un ritmo due volte superiore al tasso di crescita della popolazione.
“Secondo le statistiche del Consiglio Mondiale dell’Acqua (WWC è la sigla in inglese), si stima che nel 2015 il numero di abitanti colpiti da questa grave situazione aumenterà fino a raggiungere i 3 miliardi e 500 milioni di persone.
“L’Organizzazione delle Nazioni Unite ha celebrato il 23 marzo la Giornata Mondiale dell’Acqua, chiamando ad affrontare da quello stesso giorno la scarsità mondiale del prezioso liquido, con il coordinamento dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Agricoltura e l’Alimentazione (FAO), con l’obiettivo di sottolineare la crescente importanza della mancanza d’acqua a livello mondiale e la necessità di una maggior integrazione e cooperazione, che permettano di garantire una gestione efficiente delle risorse idriche.
“Molte regioni del pianeta stanno soffrendo una grave scarsità d’acqua e vivono con meno di 500 metri cubici per persona all’anno. Sono sempre di più le regioni che soffrono della cronica mancanza del vitale elemento.
“Le principali conseguenze della scarsità dell’acqua sono la sua insufficiente quantità per la produzione di alimenti, l’impossibilità dello sviluppo industriale, urbano e turistico ed i problemi di salute”.
Fin qui il dispaccio della TELAM.
Non menzionerò in quest’occasione altri importanti fatti, come i ghiacci che si sciolgono in Groenlandia e nell’Antartide, i danni alla fascia dell’ozono e la crescente quantità di mercurio in molte specie di pesci che vengono consumati abitualmente.
Esisterebbero altri temi da affrontare, ma con queste righe ho voluto soltanto fare un commento sulla riunione del presidente Bush con i principali dirigenti delle compagnie automobilistiche nordamericane.
28 marzo 2007
(Traduzione Granma Int.)

domenica 1 aprile 2007

Auguri di Pasqua

Auguri di Pasqua accompagnati da questo toccante scritto di Edith Moniz.

Edith si dedica al recupero dei bambini abbandonati di San Paolo, combattendo tra l'indifferenza delle istituzioni e la sordità delle associazioni e dei gruppi che, come lei, si dedicano allo stesso problema, tesi più a far sopravvivere le loro istituzioni che aiutare veramente gli ultimi. L'abbandono e la sofferenza che vive e vede ogni giorno l'ha spinta a scrivere questa invocazione.


LETTERA AL PADRE

Se voglio parlare con Dio
Devo accettare il dolore
Devo mangiare il pane
della sofferenza
Devo diventare un cane
Devo leccare il pavimento
dei palazzi, dei castelli
sontuosi dei miei sogni
Devo diventare malinconico
Devo trasformarmi umiliato
E nonostante tutto il male
Allegrare il mio cuore
(dalla canzone "Se quiser falar com Deus" di Gilberto Gil)

Ancora una volta siamo venuti in contatto con la brutalità della vita, con l'implacabile lotta per la sopravvivenza, con il sangue che scorre dalle ferite dell'anima di una umanità abbandonata a se stessa. La storia è quella di sempre, abbandono, miseria e morte. Il maledetto alcool ad oscurare la mente dell'uomo che usa sua figlia adolescente. Dopo mesi di disperazione e solitudine, con l'aiuto della madre, la ragazza realizza la sua vendetta.

In quel momento, Padre, sono morta
Lo tenevo stretto e morivo
Lo picchiavo e morivo
Vedevo il suo sangue e morivo

Non avevo altra scelta, Padre,
L'ho fatto
Soffocavo le sue urla
Nelle mie mani

Ero stanca, Padre,
Delle notti di gemiti
Dei silenzi umilianti
Del dolore scuro

Ero sola, Padre,
Appesa viva ad una croce imposta
Nella miseria della baracca
Nella moltitudine complice di sguardi vitrei

Libera il mio grido, Padre,
Sciogli i nodi della disperazione della mia vita Non lasciare il ricordo approppriarsi di me

Parla, Dimmi, Fatti vedere
Non abbandonarmi, Padre,
Non abbandonarmi



Ho visto un popolo oppresso piangere il dolore (E vogliono farmi credere che siamo felici). Ho visto la mia gente incatenata alle sue stesse lacrime, incapace perfino di un semplice gesto (E continuano a dirmi quanto è bella la nostra allegria). Ho visto me stessa guardare rassegnata (E continuano a riempirmi di elogi). Ho visto il mio silenzio contagiare il mondo (E nessuno la smette di lavorare per nobili cause). Ho visto il mondo girare la testa (E poi rammaricarsi per le vite perdute).
Ho visto.
La mia solitudine senza aiuto grida dal profondo, supplica l'aiuto di mio Padre. Crudele, distante, muto.

Sarebbe più facile non amarti, Padre. Tu sei egoista. Tu vuoi tutto. Tu vuoi vedere la morte. Tu ti rallegri con la sofferenza altrui. E ancora pretendi che ti chiami Padre.
Tu mi hai dato queste mani, Padre
Per farmele trafiggere
Tu mia hai dato questi piedi
Per farmeli sanguinare in piaghe
Tu mi hai dato questi miei occhi
Per farmi vedere la sofferenza del mio popolo Perché, Padre?
Perché?

Adesso che il mio grido si è prosciugato nella raucedine, che le lacrime riseccano nei solchi e il dolore mi ha trasformato in pietra, adesso lo so. Ossessionata dalla fretta, assetata di vendetta, intoppata di orgoglio e pregiudizio, non sentivo. Le mie domande erano sbagliate. Tutte. Avevo dimenticato che se eu quiser falar com deus (se voglio parlare con Dio)...

Adesso lo so. E di questo Ti ringrazio.
Il terribile prezzo del tuo Amore, Padre, è la Libertà.


São Paulo, Brasil, Settimana Santa 2007

I miei gatti

Bricciola, Ettore, Leo

Ettore e Leo


Ettore

I cento chiodi in mano ai vescovi




I cento chiodi in mano ai vescovi
di EUGENIO SCALFARI

Dobbiamo purtroppo tornare per l'ennesima volta su un tema che continua ad essere fragorosamente riproposto dalle gerarchie ecclesiastiche: quello cioè dei Dico, della tutela della famiglia, del rapporto tra l'Episcopato e il laicato cattolico politicamente impegnato. È di ieri la più recente dichiarazione del presidente dell'Episcopato, monsignor Bagnasco, secondo il quale se si dice sì ai Dico seguendo i criteri dell'opinione pubblica e non quelli etici, diventa poi difficile motivare un no alla pedofilia e all'incesto. Il capo della Cei richiama così ancora una volta i parlamentari cattolici all'obbligo religioso e morale di schierarsi contro le convivenze di fatto e in particolare contro quelle tra coppie omosessuali.
Ad attutire l'effetto di così sconvolgenti "esortazioni" si fa notare da chi cerca di costruire un ponte tra la posizione clericale e quella laica che la "Nota" emanata dalla Cei non prevede sanzioni specifiche contro i parlamentari cattolici che non obbediranno alle ingiunzioni dei Vescovi. Tutto cioè verrebbe lasciato alla consapevole decisione dei singoli. Comprendiamo le buone intenzioni dei "pontieri" che però non trovano conferma nei testi e nei comportamenti.
La "Nota" della Cei e le successive dichiarazioni del successore di Ruini parlano esplicitamente dell'obbligo dei parlamentari cattolici di conformarsi alle indicazioni della Chiesa ed escludono che si possa invocare in materia il principio della libertà di coscienza. Rivolgersi in questo modo a membri del governo e del Parlamento è aberrante e profondamente offensivo per i destinatari e per le istituzioni da essi rappresentate. Chi è stato eletto dal popolo ha come solo punto di riferimento la Costituzione. Volergli imporre un obbligo di obbedienza ad un potere religioso è il massimo dell'ingerenza ipotizzabile. Affiora (l'abbiamo già scritto altre volte ma dobbiamo purtroppo ripeterci) un fondamentalismo teocratico che snatura la missione stessa della Chiesa. L'Episcopato italiano si sta muovendo su una strada sempre più stretta e piena di rischi.
Ieri in parecchi cinema di Roma è stato proiettato il film di Olmi intitolato "Centochiodi". Il regista non ha mai nascosto i suoi sentimenti di cristiano e di cattolico; proprio per questo assume maggior rilievo un film che denuncia la povertà spirituale di una Chiesa sempre più lontana dai sentimenti di fratellanza dei "semplici" e dall'amore verso il prossimo.
Nelle sale dove il film è stato proiettato ci sono stati alla fine applausi corali da parte del pubblico. Non era mai accaduto per un film di carattere religioso e mai con significati polemici nei confronti d'una Chiesa che ragiona sempre più sulla base dei dogmi e dei divieti. L'Episcopato italiano rifletta con serietà sulla via che ha intrapreso, densa di rischi e di pericolose tentazioni.
Ma veniamo alla situazione politica. I berlusconiani del centrodestra non si erano ancora riavuti dal voto con il quale il Senato aveva approvato il decreto sul rifinanziamento delle missioni militari all'estero, quando gli è arrivato il secondo schiaffo sull'altra guancia con il voto che approva il decreto Bersani sulle liberalizzazioni.
Due fatti che vanno molto al di là dei contenuti specifici. Nel primo i "berluscones" hanno votato contro le attese degli alleati atlantici e in particolare degli Stati Uniti d'America; nel secondo contro i principi liberali che hanno sempre posto alla base della loro vocazione politica anche se non hanno mai fatto un solo passo concreto su quell'impervia strada. La pulsione di dare una spallata al governo ha così travolto ogni comportamento ragionevole e ogni mediazione utile dal loro stesso punto di vista.
Come non bastasse, sono perfino riusciti a spaccare in due la vecchia "Casa delle libertà" che ormai non esiste più neanche formalmente. Ha ragione il senatore di Forza Italia, Lino Jannuzzi, che motivando il suo "sì" al decreto sul rifinanziamento della missione in Afghanistan ha previsto uno "tsunami" che tra breve tempo si abbatterà sull'arcipelago berlusconiano.
Adesso la parola d'ordine nel centrodestra è quella di minimizzare e ricucire. Ma le spinte centrifughe sono già all'opera e stavolta non sarà facile riassorbire. Soprattutto se la congiuntura economica europea manterrà un andamento positivo e se le ricadute sull'economia e sulla finanza saranno intercettate dal nostro governo con interventi adeguati.
Il Tesoro conta di disporre nel corso di quest'esercizio d'un surplus di circa tre miliardi di euro. Il tema all'ordine del giorno è la loro più appropriata destinazione. Tra le varie alternative possibili campeggia quella di elevare il livello minimo delle pensioni che attualmente è inferiore ai 500 euro mensili. Affinché l'operazione sia percepibile sembra necessario destinarvi almeno metà del "tesoretto". L'altra metà potrebbe essere utilizzata ad una prima rete di ammortizzatori sociali con specifica attenzione ai lavoratori precari.
Quanto alla riforma delle pensioni è ragionevole supporre che i tavoli di confronto che saranno aperti nei prossimi giorni vedranno l'inizio d'un negoziato che si concluderà verosimilmente in autunno. Ma prima di quella data bisognerà comunque aver chiuso le divergenze sul contratto del pubblico impiego, senza di che i sindacati darebbero il via allo sciopero generale del settore.
Ammettiamo come fondata ipotesi che tutti gli obiettivi fin qui indicati siano realizzati. In tal caso è possibile prevedere un recupero di consenso nei confronti d'un governo che del resto non ha alternative né nelle famose larghe intese né in un governo tecnico. Il presidente Napolitano del resto ha già dichiarato quest'aspetto istituzionale proprio all'indomani del voto sulle missioni italiane all'estero: il compito di questo governo è quello di governare procedendo con gli opportuni aggiornamenti all'attuazione del programma. Così avverrà, almeno fino alle elezioni europee del 2009 e forse fino alla fine della legislatura nel 2011.
Non si possono tuttavia eludere gli effetti che la nascita dell'opposizione "costruttiva" dell'Udc di Casini avrà anche sui rapporti all'interno del centrosinistra. In particolare tra la sinistra riformista e quella radicale. La questione delle due sinistre è stata volutamente drammatizzata da tutti coloro che mitizzano la necessità d'un grande centro o almeno di un centrosinistra intenzionato a marginalizzare la sua ala radicale avvalendosi dell'appoggio dell'Udc su una serie di obiettivi specifici, soprattutto nel campo delle riforme economiche liberali e liberiste.
Ma è una questione malposta per almeno due ragioni. La prima è una ragione strutturale: il nostro è un paese di diseguaglianze crescenti per quanto riguarda la distribuzione del reddito, il possesso della ricchezza, la precarietà del lavoro, la disoccupazione giovanile in gran parte concentrata nelle regioni meridionali. Su questi temi e sulla loro priorità non c'è divisione alcuna tra riformisti e radicali, tra Fassino e Rifondazione. Tanto meno tra Ds e Margherita.
La seconda ragione sta nel rafforzamento politico di Prodi dopo il doppio voto al Senato sulla politica estera e sulle liberalizzazioni. Un Prodi politicamente più forte può negoziare appoggi specifici con Casini senza allentare l'intesa organica con Rifondazione. Giordano (e Bertinotti) sono perfettamente consapevoli di questa situazione e a quanto sembra sono disponibili a fare la loro parte.
Non sarà certo una navigazione tranquilla. D'altra parte, dopo dieci mesi di governo, si è ormai passati dalla fase di stallo a quella di movimento con i rischi ma anche i vantaggi che essa comporta.
(1 aprile 2007)

Una chiesa sempre più a destra




Una chiesa sempre più a destra
Filippo Gentiloni

Le recenti vicende del rapporto chiesa-stato hanno confermato una impressione che già da qualche tempo si era fatta strada, che, cioè, il cattolicesimo italiano sia ormai da annoverarsi fra le forze politiche di destra. Destra, o, se si preferisce, centrodestra. Con Berlusconi, comunque. Senza più quelle incertezze e quei tentativi di mediazione che fino a poco tempo fa avevano caratterizzato i vertici cattolici.
Con chiarezza si può parlare dei vertici; difficile dire quanto i vertici siano poi seguiti dalla base cattolica, anche perché tale base non è facile da definire e delimitare. I battezzati? I frequentatori della messa domenicale? Gli studenti che non rifiutano l'insegnamento cattolico a scuola?
Non si può parlare del cattolicesimo della massa degli italiani, ma comunque si può affermare che i vertici ecclesiastici - Vaticano, vescovi, organi di stampa...- hanno abbandonato quella posizione di centro che li aveva caratterizzati per decenni. Una posizione che si manteneva rigidamente centrale, e lontana dalle dispute politiche quotidiane, anche - soprattutto - perché aveva delegato il suo ruolo e la sua presenza politica alla Democrazia Cristiana. Oggi, mancando tale presenza e tale ruolo, la dirigenza cattolica si è trovata ad assumere un ruolo politico in prima persona e lo ha assunto, ormai è chiaro, a favore della destra. Si è arruolata fra le grandi forze che favoriscono Berlusconi, la sua politica interna ed estera, la sua economia. Per Berlusconi un bel vantaggio, una grande ricchezza.
Per il paese, invece, e per il cattolicesimo? Ce lo dobbiamo domandare con chiarezza e sincerità. I segnali, d'altronde, sono chiari e si sono ulteriormente chiariti proprio in questi giorni, anche nel passaggio da Ruini a Bagnasco. Per non parlare del passaggio da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI. La questione dei Dico e non soltanto. Una chiesa sempre più rigida, favorevole ai teocons e diffidente delle varie forme di democrazia. Sempre arroccata in difesa dei suoi presunti diritti, da quello di parola a quelli che la distinguono - pretendono di distinguerla - dalle altre fedi e la privilegiano. Significativa, fra l'altro, la pretesa della menzione delle radici cristiane dell'Europa.
Si veda l'elenco dei gruppi e delle associazioni che hanno firmato l'appello per il Family day del 12 maggio: non manca proprio nessuno. Tutto il cattolicesimo italiano ha risposto a un appello chiaramente favorevole alla destra berlusconiana. Sono lontani i tempi del Concilio e di un cattolicesimo che si permetteva alleanze di vario tipo, anche con il centrosinistra.
Non che oggi i cattolici favorevoli al centrosinistra non esistano. Ci sono, ma sono costretti al silenzio e al nascondimento. All'anonimato. Un notevole impoverimento di un cattolicesimo che possedeva, fino a ieri, voci ricche e significative. Don Milani, Padre Balducci e mille altri. Oggi non più. Oggi la fedeltà a Gesù Cristo e al Vaticano dovrebbe comportare anche quella a Berlusconi.
Molto caro il prezzo di questo appiattimento. Se non altro quello di una separazione fra un cattolicesimo ufficiale, sostanzialmente di destra, e un cattolicesimo che dissente, e più o meno silenziosamente, si va distaccando da quello ufficiale. Distacco doloroso e pericoloso. Fino a quando?

da Il Manifesto 29.03.07

Lingua italiana, Costituzione, libertà di costume.

Il modello di integrazione ''targato'' Amato-Ferrero
Il ddl di riforma della Bossi-Fini in Consiglio dei ministri il 6 aprile. Ma Ferrero avverte: ''Non c’è modifica che tenga se non allarghiamo il welfare: il razzismo nasce nelle liste d'attesa per case popolari e asili nido''

ROMA – La proposta Amato-Ferrero di modifica del Testo unico sull’immigrazione sarà presentata al Consiglio dei ministri del 6 aprile a Palazzo Chigi. “Dobbiamo soltanto limare alcune questioni sul riconoscimento dei titoli di studio” ha annunciato questa mattina il ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero, nel corso della seconda conferenza del progetto europeo Think&Act, a Roma. “La nuova legge semplificherà l’accesso legale in Italia, promuovendo sul piano della legalità i canali informali utilizzati oggi da famiglie e aziende” ha dichiarato Ferrero. La nuova legge garantirà il diritto di voto attivo e passivo alle elezioni amministrative, e prevedrà la riduzione dei cpt, un fondo per i minori non accompagnati, liste di collocamento all'estero e ingressi con lo sponsor, ma anche flussi triennali e porte aperte per gli assistenti familiari. Le modifiche piacciono a Sandra Pratt, dell’Unità Immigrazione e Asilo della Commissione Europea. “Testo coerente con la linea di Bruxelles – ha dichiarato intervenendo alla conferenza di Think&Act – perché promuove i canali di ingresso legale e scoraggia l’immigrazione illegale”.

Se approvato dal Governo la proposta dovrà poi essere discussa in Parlamento, dove ci si aspetta un forte scontro con l’opposizione. Ma l’accordo potrebbe mancare anche all’interno della maggioranza stessa, a giudicare dal rallentamento del ddl sulla cittadinanza. Lo stesso ministro ha ammesso l’esistenza del problema. “La proposta di modifica – che prevede la riduzione da 10 a 5 anni del soggiorno minimo per richiedere la cittadinanza italiana – è bloccata in Commissione affari costituzionali, alla Camera, da una discussione virulenta a cui non è estranea la maggioranza, sebbene il decreto sia in linea con il programma presentato alle elezioni”. “E’ un problema – ha dichiarato Ferrero – ma spero che sia risolto entro la fine della prossima settimana”.

Per allora la Amato-Ferrero potrebbe già essere stata approvata da Palazzo Chigi. “Se la logica della Bossi-Fini era di porre trappole per cadere nell’illegalità, la logica dell’Amato-Ferrero è di permettere l’emersione dall’illegalità e la regolarizzazione a vari livelli”. Solo la legalità e il pieno accesso ai diritti sociali e sanitari – ha proseguito Ferrero – possono garantire una buona integrazione degli oltre 3 milioni di immigrati in Italia.

Integrazione alla cui base stanno, secondo il modello proposto da Ferrero, la conoscenza della lingua italiana e la condivisione dei valori fondanti della Costituzione. Nessun intervento legislativo sui costumi dunque, “salvo una legge sulla libertà religiosa”, che il ministro ha invocato a più riprese, citando come modelli negativi l’assimilazionismo francese e il comunitarismo inglese. “L’appartenenza comunitaria e religiosa deve essere una libera scelta e non un’arma di difesa contro un ambiente esterno percepito come ostile”.

“Tuttavia – ha concluso Ferrero – se non allarghiamo il welfare, non c’è modifica della Bossi-Fini che tenga. Il razzismo nasce nelle liste d’attesa delle case popolari e degli asili nido. La gente si dice perché lui che è immigrato ha la casa e io che sono nato qui no. Non penso ad un welfare per gli immigrati – ha quindi concluso – ma a un welfare per tutti”. Secondo dati citati da Ferrero, nel corso del 2005 i lavoratori immigrati hanno pagato contributi allo Stato italiano per oltre 3 miliardi di euro. (gdg)

© Copyright Redattore Sociale

L’esercito invisibile delle assistenti familiari

Nel 2006 in Italia erano 619.732: il 38% era totalmente clandestino, il 22% lavorava in nero
(da www.gruppoabele.org)


Hanno mediamente tra i 35 e i 43 anni. Arrivano in Italia con un visto turistico e poi scompaiono nel nulla. Vanno a rimpinguare le fila di un vero e proprio esercito di lavoratrici invisibili. Sono le assistenti familiari, conosciute ai più come badanti. Secondo la ricerca “Qualificare il lavoro di cura”, realizzata dall’Istituto per la Ricerca sociale (Irs) di Milano in collaborazione con Caritas ambrosiana e Cgil Lombardia, in Italia nel 2006 erano 619.732: 130 mila solo in Lombardia. In testa alla classifica ci sono le donne dell’est Europa, soprattutto le ucraine che imparano l’italiano molto in fretta e già in patria si occupano abitualmente dell’economia domestica e della cura dei famigliari più anziani. Poi vengono le sud americane, le africane e le asiatiche. Quasi tutte hanno un diploma superiore, alcune anche la laurea, ma si accontentano di uno stipendio di circa 750 euro per una media di 13 ore di lavoro giornaliere in una situazione di totale precariato: il 38% di loro è clandestino mentre il 22% ha un permesso di soggiorno e lavora in nero.
Tante storie diverse che si somigliano nel sognare un ricongiungimento familiare e un futuro in Italia. Molte di queste donne, come si legge nella ricerca dell’Irs di Milano, sarebbero disposte anche a frequentare corsi di formazione per accrescere le loro competenze e far diventare l’assistente familiare il lavoro della loro vita. Molte hanno nostalgia di casa e chi può cerca di tornare indietro almeno una volta al mese: sono soprattutto quelle che vengono dai paesi dell’est Europa, il cui progetto migratorio prevede di ritornare definitivamente in patria dopo qualche anno di lavoro. Ma spesso la realtà fa a pugni con i sogni, i mesi in Italia si trasformano in anni e casa e famiglia si allontanano sempre di più. Le famiglie diventano altre: quelle italiane, circa 600 mila, dove prestano servizio e vivono. Questa situazione porta allo sviluppo di rapporti complessi nei quali il confine tra lavoro, amicizia, servilismo e familiarità è molto labile. Quasi sempre alle assistenti familiari si richiede molto di più di quanto sarebbe previsto in un normale contratto di lavoro. “La situazione attuale conviene a tutti - ha detto Sergio Pasquinelli dell’Irs - alle famiglie delle persone anziane accudite, allo stato e anche alle stesse assistenti familiari. Le famiglie, assumendo in nero, risparmiano sugli oneri del contratto, lo stato si vede risolto il problema della cura degli anziani senza fare particolari investimenti e le badanti sperano di guadagnare di più”.
Da tempo esistono in alcuni Comuni del nord Italia gli “sportelli badanti” per far incontrare la domanda e l’offerta di lavoro. “Sono utili per il primo contatto - ha detto Pasquinelli - ma poi vengono evitati quando si passa alle condizioni di assunzione. Su dieci famiglie che si rivolgono agli sportelli, solo una firma un regolare contratto di assunzione”. Per contrastare il sommerso nel lavoro privato di cura, Pasquinelli è convinto che “le famiglie devono essere aiutate: meno oneri a chi sottoscrive un contratto e più servizi di sostegno da parte dei comuni”.
In questa direzione sembra orientato anche il governo. La ministra delle Politiche della famiglia Rosy Bindi ha dichiarato che una quota del Fondo per la famiglia inserito nella finanziaria sarà impiegato per qualificare il lavoro delle assistenti familiari. Il piano governativo prevede la regolarizzazione di chi sta lavorando clandestinamente, il coinvolgimento dei servizi pubblici e degli enti locali sia nella gestione della domanda e dell’ offerta lavorativa sia nella la formazione delle future assistenti familiari.
Intanto qualcosa sembra già essersi mosso. Il 13 febbraio 2007 è stato firmato il nuovo Contratto nazionale per il lavoro domestico: entrerà in vigore il primo marzo e sarà valido fino a febbraio 2011. Nelle 27 categorie di lavoratori coinvolte ci sono anche le assistenti famigliari: a loro è stato finalmente riconosciuto, sotto la voce di lavoratrici conviventi a 30 ore alla settimana, lo status di coresidenti presso le famiglie in cui sono impiegate.

Per saperne di più sulla ricerca “Qualificare il lavoro di cura” clicca qui.

Per saperne di più sul Contratto nazionale per il lavoro domestico clicca qui.

Le immigrate e l´aborto "L´Italia finto paradiso"

Interruzione di gravidanza: è boom tra le donne straniere
(la Repubblica, VENERDÌ, 30 MARZO 2007, Pagina 1 - Prima Pagina)

monica, romena La pillola è troppo cara, il preservativo fa venire le ferite. Io di solito vado in bagno e mi lavo, ma questa volta si vede che non mi sono lavata bene

mai stata dal ginecologo A chiedere il primo certificato mi ha accompagnato un´amica di mio fratello, italiana. Non ero mai stata dal ginecologo, mi vergogno qui i medici sono tutti uomini

un paese diverso Questo paese non è come me lo ero immaginato. Qui sono triste, sono sempre al servizio e non cambierà. Ma io non posso nemmeno tornare indietro

Le interruzioni volontarie di gravidanza calano fra le italiane ma è boom fra le donne straniere

Per africane, sudamericane e ragazze dell´est ormai il trenta per cento degli interventi

CONCITA DE GREGORIO

Quando il medico, in ospedale, domanda «lei come è arrivata qui?» – intende chi l´ha visitata, chi l´ha mandata – lei risponde con il numero di autobus che ha preso. Monica ha 24 anni, è romena e parla un italiano ancora incerto. «Sono arrivata con la metropolitana, poi ho preso il 3». Dice che stasera deve preparare la cena ai fratelli e domattina deve tornare a lavorare: vuol sapere, perciò, se si fa presto. Nel suo paese si è diplomata segretaria, assiste dalle 9 alle 20 un´anziana in carrozzella, è clandestina.

«Stp», c´è scritto sul suo certificato medico: straniera temporaneamente presente. È rimasta incinta perché «la pillola è troppo cara e fa ingrassare, il preservativo fa venire le ferite e dicono che poi resti sterile. Io di solito vado in bagno e mi lavo ma si vede che questa volta non mi sono lavata bene». Interrompe la gravidanza, perciò. E´ la seconda volta. «Se fossi a casa mia un figlio lo potrei anche tenere, c´è mia madre la mia famiglia, là ci si aiuta ma qui come faccio? Sono da sola, i miei fratelli sono due maschi cosa capiscono di bambini, non sono sposata. Non posso mica perdere il lavoro, come vivo senza soldi?».

A trent´anni dall´entrata in vigore della legge sull´aborto è cambiata la geografia e la cultura del paese. Le donne italiane che interrompono la gravidanza continuano a diminuire: meno di centomila nel 2005, erano duecentotrentamila nell´82. In venticinque anni di aborto legale i casi si sono ridotti di molto più della metà. Al contrario le donne straniere che abortiscono continuano ad aumentare: sono, oggi, più del 30 per cento del totale, una su tre. Una percentuale enorme, sei volte più alta dell´incidenza di straniere sulla popolazione.


Su ogni cento donne cinque sono straniere. Su ogni cento aborti più di trenta sono richiesti da giovani romene, ucraine, marocchine, cinesi, sudamericane. Sono molto spesso clandestine. Parlano poco e male la lingua, le cinesi praticamente per niente: entrano in ospedale con l´interprete. Sono arrivate in massa coi ricongiungimenti familiari: secondo il rapporto Caritas nel 2005 le regolari erano un milione e 344 mila, almeno il doppio quelle non censite. Le nordafricane arrivano all´intervento accompagnate dal marito che pretende di entrare fino in sala operatoria, rifiutano di essere operate da un uomo. Le ucraine detengono il record di interruzioni: anche sette, otto volte. Sono donne diversissime tra loro, è ovvio. Ciascuna ha la sua cultura di riferimento, le sue tradizioni, la sua storia. In comune - oltre allo spaesamento - hanno solo una specie di analfabetismo contraccettivo, un pudore invincibile a parlare di sesso e la convinzione che tutto quel che riguarda la sfera della riproduzione è cosa di donne: merito o più spesso colpa. Portano loro il peso, da sole, di tutta la faccenda.


Monica dice, infatti, che col suo ragazzo non parla «di queste cose». Si fanno e basta. Se poi succede un incidente lei lo risolve. Non lo informa nemmeno, tanto a lui non interessa: «Ha da lavorare, la sera è stanco». Michele Grandolfo, che dirige il reparto Salute della donna dell´Istituto superiore di Sanità e che da 25 anni studia l´applicazione della 194 in Italia, trova impressionante l´analogia tra queste storie e le nostre di mezzo secolo fa. «Le straniere sono come le donne italiane degli anni ‘50, anche peggio. Quattro su dieci non sono in grado di individuare il periodo in cui possono rimanere incinte. Fanno ricorso all´aborto tre e anche quattro volte più delle italiane. Hanno pochissima capacità di ‘cercare salute´, cioè di prendersi cura di sé. Sono pochissimo e mal informate sui metodi di controllo delle nascite. Non hanno una rete di relazioni con la società esterna, vivono chiuse nella famiglia e nella comunità di origine e sono molto difficili da raggiungere per chi voglia fare prevenzione e offrire assistenza».


Monica dice che al consultorio dove è andata a chiedere il certificato per il primo aborto l´ha accompagnata un´amica di suo fratello, italiana. Non era mai stata dal ginecologo prima. «Mi vergogno, qui i medici sono tutti uomini. Avevo avuto dei problemi ma non sono andata. Avevo anche paura che mi scoprissero e mi rimandassero al mio paese». Non è così, le cure sanitarie sono garantite a tutti anche ai clandestini: basta avere il tesserino Spt e per farlo non serve un documento di identità. «Lo so, però non mi fidavo». E adesso, dopo questo secondo aborto, come pensa di evitare una nuova gravidanza? Lavarsi non basta, glielo avrà detto il ginecologo. «Sì, mi ha detto che se non voglio la pillola nè i preservativi mi posso mettere la T di rame ma non sono sicura, ho sentito dire che fa venire le emorragie».


Il gruppo di lavoro di Michele Grandolfo (Angela Spinelli, Emanuela Forcella e Samantha Di Rollo) ha condotto nel 2006 per l´Istituto di sanità la più importante e completa ricerca sull´»Interruzione volontaria di gravidanza tra le donne straniere in Italia». E´ un´indagine che alterna dati a interviste a 680 donne straniere che hanno abortito in sei centri pubblici tra Torino, Milano, Roma e Reggio Emilia. Nel 2004, ultimo dato disponibile, hanno abortito 36.731 donne straniere. Considerando i valori di crescita degli ultimi anni dovrebbero aver superato oggi le 40 mila unità. Le romene sono ancora al primo posto. Con la sanatoria del 2002 la percentuale di ucraine presenti nel paese è balzata dal ventisettesimo al secondo posto. Seguono albanesi, marocchine, polacche, filippine, cinesi, sudamericane. Nel campione esaminato il 56 per cento non usa nessun tipo di contraccettivo per questi motivi: «La pillola fa venire il cancro» (Perù, fidanzata senza figli). «Ho pensato che a tanto prendere la pillola sono diventata sterile così mi sono fidata di questo pensiero e ho smesso di prenderla» (Perù, sposata, due figli) «Mia cognata aveva la spirale, le è venuta un´emorragia. E´ pericolosa» (Ecuador, 25 anni, sposata, un figlio). «Il preservativo fa male dopo il parto» (Romania, 33 anni, due figli). «Sto sempre con mio marito non vado con altri quindi non è necessario» (Cina, 23 anni). «Nel mio paese è gratis qui la pillola costa cara, anche 12 euro non ce li ho» (Marocco, senza figli). Il 40 per cento non conosce il suo periodo di fertilità, un´altissima percentuale resta di nuovo incinta entro tre mesi dal parto. «Per una settimana o due che ci vediamo ogni qualche mese a cosa serve proteggersi?» (Romania, 28 anni, fidanzata). «Se lo fai una volta ogni tanto non succede niente» (Perù, senza figli).


Il 44 per cento di queste donne aveva già abortito almeno una volta. «Adesso però basta, non vogliamo avere più bambini così ho messo un allarme all´orologio che suona alle nove così non dimentico più la pasticca» (Ecuador, 27 anni). «Mandare via il bambino è un peccato, ma come faccio da sola? Non parlo ancora l´italiano la mia casa è brutta», (Marocco, 31). «Non voglio mandare i miei figli a chiedere l´elemosina, non è questo che voglio per loro» (Romania, rom, 18 anni, sposata). «La prima volta avevo paura, ho chiesto com´è l´anestesia locale? Il medico mi ha risposto: come quando ci si toglie un dente» (Perù, 44 anni). «L´aborto fa il rumore dell´aspirapolvere. Me lo ricordo ogni volta che lo accendo per pulire la casa» (Ecuador, 32, sposata).


Monica ha finito, ha già ripreso il suo autobus poi quattro fermate di metro. A quest´ora è a casa a preparare la cena ai fratelli. «L´Italia non è come me l´ero immaginata. Qui sono triste, sono sempre al servizio e non cambierà. Non posso più nemmeno tornare indietro». Non può tornare. Anche una giovane cinese al primo aborto dice così. Ha 23 anni, è sposata, parla pochissimo l´italiano. «Appena arrivata mio zio mi ha detto di cucire i vestiti, avevo 15 anni e non li volevo cucire, volevo tornare in Cina ma lui diceva che ha speso 30 milioni per farmi venire e così dovevo lavorare. Tutti dicono che l´Italia è un paradiso, che è facile guadagnare soldi ma non è vero, i soldi guadagnati in Italia si spendono in Italia, solo per l´affitto vanno via mille euro e non cambia mai niente. Così devi restare. E´ difficile da sopportare ma è così e basta».

(1 - continua)

Nelle città del Nordest padano gli immigrati vivono meglio

A sorpresa c´è il maggior livello di integrazione
(la Repubblica,domenica, 1 aprile 2007)

Una miriade di piccoli centri che ha contrastato il formarsi di grandi banlieue

Gli stranieri assimilano le "regole" della vita locale. Importante è il ruolo delle badanti

I lavoratori stranieri sono attratti in primo luogo dalla domanda delle piccole e medie aziende



ILVO DIAMANTI

Non sempre l´immagine e la realtà coincidono. Talora contrastano in modo stridente. Come nel caso dell´immigrazione, uno dei fenomeni più significativi del nostro tempo. Tanto più in Italia, dove, in pochi anni, si è allineata alla media europea. E, in alcune zone, l´ha superata ampiamente. Nel Nordest, ad esempio, e soprattutto in Veneto (dove si avvia a toccare 7%). Proprio dove, secondo l´opinione pubblica nazionale, è più forte l´ostilità verso gli stranieri.

Non c´è bisogno di fare sondaggi impegnativi, per accorgersene. Io stesso, un paio di giorni fa, all´Università di Urbino, ho chiesto agli studenti di un master (provenienti da tutta Italia; tre di essi, da paesi stranieri) quali fossero, secondo loro, le zone più inospitali, per gli immigrati. La risposta, largamente condivisa: Lombardia, Veneto, Nordest. E, fra le province: Treviso, Vicenza, Bergamo, Varese. Insomma: la geografia politica della Lega. Che della "paura" dell´immigrato ha fatto una bandiera. Peraltro, questa immagine riflette alcune spiegazioni, diffuse non solo fra la "gente comune". Che il tasso di xenofobia sia proporzionale all´ampiezza del fenomeno migratorio. E si riproduca, nella stessa misura, sulle scelte a livello individuale, politico e amministrativo. I risultati del V Rapporto sull´integrazione degli immigrati, curato dalla Caritas per il Cnel, e presentato giusto la settimana scorsa, però, rovesciano queste spiegazioni e contraddicono le opinioni correnti. Le riducono al rango di "pregiudizi". Il Rapporto ricostruisce e valuta la capacità di integrazione dei diversi contesti territoriali in Italia in base a un indice, che riassume 21 misure diverse. Tiene conto, dunque, di molteplici aspetti: dai permessi di soggiorno ai ricongiungimenti familiari, dai reati commessi alla situazione abitativa, dai ricongiungimenti familiari ai tassi di occupazione e disoccupazione… Ne esce, come abbiamo detto, una rappresentazione largamente dissociata dalle immagini ricorrenti. Il contesto che garantisce il maggior livello di integrazione degli immigrati, infatti, è il Nordest, fra le macroaree. Mentre, fra le regioni, primeggiano il Trentino Alto Adige, il Veneto e la Lombardia (praticamente sullo stesso piano). Scendendo di scala, incontriamo quattro province del Nordest ai primi dieci posti. Complessivamente, però, otto appartengono al Nord "padano" (escludendo, cioè, l´Emilia Romagna). Se allarghiamo il campo alle prime 26 (un quarto del totale), il numero delle province "padane" sale a diciotto. Tra le quali, tutte quelle che, nella percezione comune (confermata dal "campione" dei miei studenti), risultano le più "ostili" agli stranieri. Vicenza, Treviso, Bergamo e Lecco, anzitutto; poi le altre "sospettate". Da Varese a Mantova, da Cuneo a Lodi, da Cremona a Pordenone a Brescia. Le enclaves elettorali della Lega, che dovunque supera il 10%, ma in molti casi va oltre il 14%. D´altronde, il grafico pubblicato in questa pagina è molto chiaro. Nelle province dove il grado di integrazione risulta "massimo", la Lega, alle elezioni politiche del 2006, consegue, mediamente, circa il 10%. Più del doppio rispetto alla media nazionale. Nel gruppo di province dove la capacità di integrazione è stimata "minima", al contrario, il risultato medio della Lega sfiora lo zero. Come si spiega questa singolare coincidenza fra la geografia della Lega e quella dell´integrazione, dove coesistono xenofobia e accoglienza? Il fatto è che la Lega, l´immigrazione e l´integrazione sono alimentati dagli stessi processi: economici, sociali e culturali. E, in fondo, dallo stesso "modello". Fondato sul lavoro, sulla piccola impresa, sul policentrismo, sulla comunità locale. Il lavoro, anzitutto. L´immigrazione, in queste province, è attratta, in primo luogo, dalla domanda delle piccole e medie aziende. Gli immigrati sono largamente "occupati" e, quindi, "regolari" (come ha mostrato una ricerca dell´Ismu). Non solo perché sono "in regola", ma anche perché assimilano le "regole" della vita locale. Il lavoro, infatti, non è solo fattore economico, ma, in queste zone più che altrove, costituisce un riferimento di valore. Si tratta di un territorio "laburista", dove "se lavori sei". E "sei" in base a "quel che fai". E a "quanto" lavori. Alla professione e alla fatica. Il lavoro: un meccanismo che genera "cittadinanza".

In secondo luogo, agli immigrati viene riconosciuto un ruolo di sostegno alla famiglia. Basta pensare al peso delle "badanti", che compensano il ruolo di assistenza svolto, un tempo, dai figli (soprattutto dalle figlie). In terzo luogo, queste province continuano a mantenere una struttura residenziale diffusa e policentrica, punteggiata di piccoli comuni (anche se ormai confusi in conurbazioni sempre più estese). Una costellazione di piccoli centri, circondati da una miriade di piccole periferie. Il che ha, in parte, contrastato il formarsi di grandi banlieues. Non a caso, le situazioni di maggior disagio e conflitto si sono riprodotte in aree semi-metropolitane (come, di recente, a Padova). Peraltro, si tratta di zone a tradizione cattolica (e democristiana). Dove è fitta la rete di solidarietà comunitaria, tessuta dall´associazionismo cattolico (e non solo). Il quale ha garantito assistenza e servizio, fornendo centri di "accoglienza" sicuramente più "accoglienti" di quelli previsti dalle leggi.

Piccola impresa, localismo, reti comunitarie, la famiglia. I fattori di successo della Lega. Che, non a caso, amministra molte di queste realtà. Non tutte, ovviamente. La geografia dell´integrazione comprende anche un buon numero di province politicamente di sinistra (fra le altre: Prato, Parma, Ancona). Con caratteri economici e sociali, peraltro, molto simili alle zone "leghiste" (e prima democristiane). Tuttavia, in termini comparativi, il peso di questa componente è molto più ridotto.

Naturalmente, gli indici con cui è stata costruita questa graduatoria sono opinabili. In particolare perché rilevano aspetti "strutturali" (l´occupazione, l´accesso ai servizi, alle abitazioni, la scolarità dei minori…), ma non i sentimenti della società locale e degli immigrati. Tuttavia, l´inserimento dei figli di immigrati nelle scuole, ad esempio, è un fattore di integrazione sociale e culturale molto potente. Alla lingua, ai valori, alle relazioni.

Anche sugli atteggiamenti sociali, però, circolano leggende senza conferma. Sulla xenofobia, ad esempio. Un´indagine nazionale, condotta lo scorso novembre (Demos per "la Repubblica"), rileva, infatti, che un terzo degli italiani considerano l´immigrazione "un pericolo". Nel Nordest il dato scende sotto il 30%. Peraltro, nel Nordest (indagine Demos per "il Gazzettino", gennaio 2007) è molto ampio il consenso verso i diritti di cittadinanza sociale e politica agli stranieri. Non solo l´assistenza (il 95% dei cittadini è d´accordo), ma anche il voto amministrativo (l´accordo sociale è cresciuto dal 62% al 68%, negli ultimi anni) e, in misura minore, legislativo (dal 48% al 55%).

Si delinea, quindi, un modello di integrazione e di cittadinanza fortemente legato ai valori, ma anche alle istituzioni e agli interessi del territorio. Scarsamente riconosciuto, e anzi, largamente negato dalla percezione comune. Non solo a livello nazionale, e soprattutto nel centrosud. Ma anche nel Nord, nelle province padane. Dove è diffusa la tendenza a immaginarsi esattamente come si è dipinti dall´esterno. Dai media e dal "senso comune". È indubbio, in tale senso, il contributo della Lega, che alimenta l´allarme, nei confronti dell´immigrazione, come fonte di insicurezza. Da cui difendersi con iniziative, quali le "ronde padane", dal valore simbolico, più che pratico. Però, le amministrazioni locali a guida leghista, nei fatti, offrono un sostegno rilevante all´azione delle associazioni volontarie, imprenditoriali ed economiche. Agli attori dell´integrazione. All´integrazione. Predicano male, ma razzolano bene.

Quasi si trattasse di un "male necessario", in contesti dove gli immigrati superano il 10% della popolazione. Ma è difficile consolidare questo processo, dargli continuità. Fino a quando si teme e si nega la verità: che si è meno cattivi di come si è dipinti. Fino a che si avrà paura di non avere paura.

Due milioni di colf nelle case degli italiani



La spesa totale delle famiglie ammonta a 11 miliardi di euro
Due milioni di colf nelle case degli italiani

L'inchiesta del Sole 24 Ore: l'80% delle lavoratrici è di origine straniera. Iscritte all'Inps solo 745mila
(Ansa) ROMA - Le famiglie italiane spendono ogni anno 11 miliardi di euro per pagare lo stipendio a colf e badanti. Solo 745 mila sono iscritte all'Inps, ma in realtà sono circa 2 milioni. La maggior parte è straniera (80% proveniente soprattutto dall'Europa dell'Est e dalle Filippine), ha un diploma, vive in Italia senza famiglia a cui destina gran parte dei 700 euro guadagnati ogni mese. Secondo un'elaborazione del Sole-24 Ore, ammonta a 8 miliardi il reddito sommerso del settore (retribuzioni che sfuggono a fisco e Inps) ed è quasi di 7 miliardi il risparmio che si ottiene affidando gli anziani a badanti rispetto al costo delle case di riposo.
RISPARMIO - Il Sole ha inoltre calcolato che le famiglie italiane, grazie al lavoro delle badanti (circa la metà del totale), riescono a risparmiare 6,9 miliardi di euro all'anno rispetto al costo di ricovero degli anziani in istituti di cura.
01 aprile 2007