domenica 29 agosto 2010

Il lascito di una crisi



di Leonardo Boff, teologo

(traduzione di R. Baraglia)

Nel secolo 16º, quando in Roma era al culmine il potere dei papi del Rinascimento, coinvolti in scandali di ogni ordine, si levò un clamore in tutta la Chiesa per la “riforma del capo e delle membra”. Questo clamore veniva dai laici, dal basso clero e da teologi quali Lutero, Zwinglio e altri ancora. Come risposta venne la controriforma che trasformò la Chiesa cattolica in baluardo contro il movimento dei riformatori, irrigidendo ancor più la sua struttura di potere.

Adesso lo scandalo dei preti pedofili in vari paesi cattolici ha fatto sì che sorgesse pure un forte clamore come richiesta di riforme strutturali nella Chiesa, clamore che non viene soltanto dal basso come al tempo della riforma, ma principalmente dall’alto, da cardinali e vescovi.

Innanzitutto, questo peccato e questo crimine ha generato una disastrosa gestione vaticana. Inizialmente si è tentato di squalificare i fatti come “chiacchiericcio televisivo”. In seguito si è cercato di occultarlo, usando perfino il “sigillo pontificio” col pretesto di salvaguardare la presunta santità intrinseca della Chiesa, in seguito si sono minimizzati i fatti e si è creato un facsimile di complotto di oscure forze laiciste contro la Chiesa e infine, davanti all’impossibilità di qualsiasi via di scusa e di fuga, la verità scomoda è venuta a galla.

Il Papa ha adottato, contro i pedofili, severe misure, considerate insufficienti da molti della chiesa stessa. Infatti non bastano la “tolleranza zero” e le punizioni canoniche civili. Tutto questo viene a posteriori, a delitto compiuto. Non si dice niente come evitare che tali scandali si ripetano né quali riforme introdurre nella vivenza del celibato e nell’educazione del candidato al sacerdozio. Non si mette come prioritaria la salvaguardia delle vittime innocenti: molte di queste rivelano un tenebroso vuoto spirituale, frutto del tradimento che hanno sentito da parte della Chiesa in un misto di colpa e di vergogna.

In seguito alte autorità si sono accusate reciprocamente. Il cardinale Cristof Schönborn di Vienna ha accusato il cardinale Angelo Sodano, quando era Segretario di Stato (il primo posto dopo quello del Papa) di aver occultato la pedofilia del suo antecessore nella sede, il cardinale Hans-Herrman Groër. Vescovi tedeschi hanno criticato la conferenza episcopale per non essere stata sufficientemente vigilante davanti ai notori abusi sessuali del vescovo di Augsburg Walter Mixa, obbligato a rinunciare. Lo stesso si riferisce al vescovo di Bruges del Belgio che ha abusato per otto anni di un suo nipote.

Sconvolgente è l’autocritica fatta da arcivescovo di Canberra Mark Coleridge, che riconosce che la morale della Chiesa riguardo al corpo e alla sessualità è rigida e di stile jansenista e crea nei seminaristi “una immaturità istituzionalizzata”, oltre alla tendenza alla discrezione e al segreto davanti ai delitti, per mantenere il buon nome della Chiesa, frutto di trionfalismo ipocrita. Il primate d’Irlanda Diarmuid Martin si è interrogato sinceramente sul futuro della Chiesa del suo paese, tanto grande il numero dei pedofili nelle istituzioni e per molti e lunghi anni. Riconosce che le riforme sono urgenti, dato che la Chiesa “non può rimanere prigioniera del suo passato” ma deve introdurre cambiamenti fondamentali nella sua struttura che impediscano tali sviamenti. Forse il documento più lucido e coraggioso è venuto dal vescovo ausiliare di Canberra Pat Power. Questi “richiede una necessaria riforma sistemica e totale delle strutture della Chiesa”. Afferma che nella conduzione della Chiesa, completamente maschile, non risiede tutta la sapienza ma che essa deve ascoltare la voce dei fedeli. Con coraggio riconosce che “se le donne avessero avuto più potere di decisione non saremmo arrivati alla crisi attuale.

Potremmo addurre altre voci di alte autorità ecclesiastiche. Ma l’importante è constatare che questo scandalo che ha investito il capitale di etica e di fiducia della Chiesa-Istituzione, paradossalmente ha lasciato un legato positivo: ha suscitato la questione delle riforme di base, approvate dal concilio Vaticano II. Queste tuttavia furono boicottate dalla Curia vaticana e dagli ultimi due Papi che si sono allineati una visione conservatrice contraria a tutta la modernità.

Tutti noi che amiamo la Chiesa con le sue luci e le sue ombre, vogliamo intendere l’attuale crisi come un’opportunità suscitata dallo Spirito Santo perché la Chiesa-Istituzione realmente trovi la forma migliore di trasmettere la buona novella di Gesù e aiuti l’umanità ad affrontare una crisi ancora maggiore quella del sistema-Vita e del sistema-Terra, terribilmente minacciati.

Pubblicato il 5 agosto 2010 da assviottoli

Com’é ambiguo il tribunale di Vito Mancuso

di Enzo Mazzi, cdb Isolotto – Firenze

da il manifesto, 24 agosto 2010

I fasti della Mondadori non sono dovuti solo al cast di brillanti professionisti di cui essa si avvale ma derivano anche dal radicamento più o meno sotterraneo, già a partire dal ben noto lodo Mondadori, nell’humus torbido del sistema di potere berlusconiano. La cosiddetta “legge ad aziendam”, varata di recente, che in forma estragiudiziale solleva quasi interamente l’azienda dal pagamento al fisco di un’enorme somma, 350 milioni di euro, è solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso.

Messa così, diventa un po’ più credibile e forse anche coraggiosa l’esternazione dei turbamenti di coscienza di Vito Mancuso (la Repubblica di sabato scorso – si veda di seguito). L’autore di libri di successo su temi di etica e teologia si domanda come continuare a far parte quale consulente editoriale e autore di un’azienda che calpesterebbe elementari principi etici e di diritto. E quasi in una implicita chiamata in correo chiede di contribuire a risolvere i suoi turbamenti di coscienza ad altri autori della Mondadori e di aziende ad essa collegate: nientemeno che Augias, Citati, Saviano, Scalfari, Zagrebelski ….

Ho stima di Mancuso, condivido molti aspetti della sua etica e rispetto la sua intelligenza, qualcosa però della sua esternazione non mi convince. Sembra che egli dormisse sonni tranquilli fino al momento in cui non ha letto la denuncia della “legge ad aziendam” fatta da Giannini (la Repubblica di giovedì scorso – si veda di seguito).

Eppure era ben noto anche a lui che autori come Carlo Ginsburg e Corrado Stajano avevano mollato la Mondadori fin dall’inizio della proprietà berlusconiana per non essere complici di un sistema di potere corrotto. E non c’è solo questo. M’inoltro in un terreno troppo complesso e ampio per una breve riflessione come questa, ma non si può evitare di scavare un po’ in profondità.

Il successo di aziende editoriali e di autori come Mancuso non piove dal cielo limpido di una capacità intellettuale e comunicativa. E’ sempre interno a un’etica della competizione globale. La quale ha come postulato fondamentale il compromesso con le spietate regole del mercato che produce e deve produrre vincitori, una piccola elite, e vinti, le grandi maggioranze senza volto né voce.

E’ corrotto in radice il sistema del mercato, anche di quello editoriale. Lo dice con lucido cinismo lo stesso John. M. Keynes, noto economista inglese, considerato il padre dello stato sociale, quando, nel 1930, getta per una volta lo sguardo nel lungo periodo e si pone il problema delle Prospettive economiche per i nostri nipoti: “Almeno per altri cento anni dobbiamo fingere noi e tutti gli altri che ciò che è giusto è cattivo e ciò che è cattivo è giusto; perché il male è utile mentre ciò che è giusto non lo è. L’avarizia, l’usura e l’astuzia debbono essere i nostri dèi ancora per un certo tempo, perché essi soli possono farci uscire dal tunnel del bisogno economico e portarci verso la luce del giorno” (da Esortazioni e profezie, Il Saggiatore, Milano 1968).

Che fare? Mancuso su la Repubblica di ieri replica così alla Mondadori: “Voi sapete che oltre al tribunale esteriore esiste un tribunale interiore. Col tribunale esteriore si può venire a patti pagando qualche milione di euro. Col tribunale interiore no”. Caro Vito, il tribunale interiore chiede che si paghi un prezzo per limitare i danni della inevitabile complicità.

Lo sanno bene ad esempio i redattori di questo giornale e dell’Editrice Manifestolibri e i loro autori e lettori, i quali realizzano un prodotto culturale di alto rilievo ma devono fare acrobazie incredibili per restare in piedi con la schiena dritta. Lo sanno quanti impegnano la loro vita non tanto per il loro successo personale quanto per far emergere le soggettività popolari dall’anonimato, dall’invisibilità e dalla afonia.

Custodire il creato, per coltivare la pace


1. Il dono della pace
La Sacra Scrittura ha uno dei punti focali nell’annuncio della pace, evocata dal termine shalom nella sua realtà articolata: essa interessa tanto l’esistenza personale quanto quella sociale e giunge a coinvolgere lo stesso rapporto col creato. L’assenza di guerre costituisce, infatti, solo un elemento di una dinamica che investe la vita umana in tutte le sue dimensioni e che, secondo l’Antico Testamento, si realizzerà in pienezza nel tempo messianico (cfr Is 11,1-9). Anche il Nuovo Testamento evidenzia tale ricchezza di significato, collegando strettamente la pace alla Croce del Signore, da cui sgorga come dono prezioso di riconciliazione: Cristo stesso, secondo le parole dell’apostolo Paolo, “è la nostra pace” (Ef 2,14).
L’uno e l’altro Testamento convergono, poi, nel sottolineare lo stretto legame che esiste tra la pace e la giustizia, messo in forte rilievo dal profeta Isaia: “praticare la giustizia darà pace, onorare la giustizia darà tranquillità e sicurezza per sempre” (Is 32,17). Nella prospettiva biblica, l’abbondanza dei doni della terra offerti dal Creatore fonda la possibilità di una vita sociale caratterizzata da un’equa distribuzione dei beni. È la logica della manna: “colui che ne aveva preso di più, non ne aveva di troppo; colui che ne aveva preso di meno, non ne mancava” (Es 16,18).
2. La pace minacciata
Benedetto XVI ha segnalato più volte quanti ostacoli incontrino oggi i poveri per accedere alle risorse ambientali, comprese quelle fondamentali come l’acqua, il cibo e le fonti energetiche. Spesso, infatti, l’ambiente viene sottoposto a uno sfruttamento così intenso da determinare situazioni di forte degrado, che minacciano l’abitabilità della terra per la generazione presente e ancor più per quelle future. Questioni di apparente portata locale si rivelano connesse con dinamiche più ampie, quali per esempio il mutamento climatico, capaci di incidere sulla qualità della vita e sulla salute anche nei contesti più lontani.
Bisogna anche rimarcare il fatto che in anni recenti è cresciuto il flusso di risorse naturali ed energetiche che dai Paesi più poveri vanno a sostenere le economie delle Nazioni maggiormente industrializzate. La recente Assembla Speciale del Sinodo dei Vescovi per l’Africa ha denunciato con forza la grave sottrazione di beni necessari alla vita di molte popolazioni locali operata da imprese multinazionali, spesso col supporto di élites locali, al di fuori delle regole democratiche. Come osserva il Papa nell’Enciclica Caritas in veritate, “l’incetta delle risorse naturali, che in molti casi si trovano proprio nei Paesi poveri, genera sfruttamento e frequenti conflitti tra le Nazioni e al loro interno” (n. 49). Anche le guerre – come del resto la stessa produzione e diffusione di armamenti, con il costo economico e ambientale che comportano – contribuiscono pesantemente al degrado della terra, determinando altre vittime, che si aggiungono a quelle che causano in maniera diretta.
Pace, giustizia e cura della terra possono crescere solo insieme e la minaccia a una di esse si riflette anche sulle altre: “Il libro della natura è uno e indivisibile, sul versante dell’ambiente come sul versante della vita, della sessualità, del matrimonio, della famiglia, delle relazioni sociali, in una parola dello sviluppo umano integrale” (n. 51).
3. Un dovere gravissimo
È in questo contesto che va letto il richiamo del Papa a una responsabilità ad ampio raggio, al “dovere gravissimo (…) di consegnare la terra alle nuove generazioni in uno stato tale che anch’esse possano degnamente abitarla e ulteriormente coltivarla” (n. 50). Tale dovere esige una profonda revisione del modello di sviluppo, una vera e propria “conversione ecologica”. La famiglia umana è chiamata a esercitare un responsabile governo dell’ambiente, nel segno di “una solidarietà che si proietti nello spazio e nel tempo” (Messaggio per la 43ª Giornata Mondiale della Pace, n. 8), guardando alla generazione presente e a quelle future. È impossibile, infatti, parlare oggi di bene comune senza considerarne la dimensione ambientale, come pure garantire il rispetto dei diritti fondamentali della persona trascurando quello di vivere in un ambiente sano.
Si tratta di un impegno di vasta portata, che tocca le grandi scelte politiche e gli orientamenti macro-economici, ma che comporta anche una radicale dimensione morale: costruire la pace nella giustizia significa infatti orientarsi serenamente a stili di vita personali e comunitari più sobri, evitando i consumi superflui e privilegiando le energie rinnovabili. È un’indicazione da realizzare a tutti i livelli, secondo una logica di sussidiarietà: ogni soggetto è invitato a farsi operatore di pace nella responsabilità per il creato, operando con coerenza negli ambiti che gli sono propri.
4. Contemplare la creazione di Dio
Tale impegno personale e comunitario per la giustizia ambientale potrà trovare consistenza – lo sottolinea ancora Benedetto XVI – contemplando la bellezza della creazione, spazio in cui possiamo cogliere Dio stesso che si prende cura delle sue creature. Siamo, dunque, invitati a guardare con amore alla varietà delle creature, di cui la terra è tanto ricca, scoprendovi il dono del Creatore, che in esse manifesta qualcosa di sé. Questa spiritualità della creazione potrà trarre alimento da tanti elementi della tradizione cristiana, a partire dalla Celebrazione eucaristica, nella quale rendiamo grazie per quei frutti della terra che in essa divengono per noi pane di vita e bevanda di salvezza.
Già nel 1983 l’Assemblea di Vancouver del Consiglio Ecumenico delle Chiese invitava i cristiani a una “visione eucaristica”, capace di abbracciare la vita personale e sociale, che si realizza nel creato. Oggi la stessa pace con il creato è parte di quell’impegno contro la violenza che costituirà il punto focale della grande Convocazione ecumenica prevista nel 2011 a Kingston, in Giamaica. Celebriamo, dunque, la 5ª Giornata per la salvaguardia del creato in spirito di fraternità ecumenica, nel dialogo e nella preghiera comune con i fratelli delle altre confessioni cristiane, uniti nella custodia della creazione di Dio. Siamo certi, infatti, che Dio, “tramite il creato, si prende cura di noi” (Ib., n. 13).
Roma, 1° maggio 2010
COMMISSIONE EPISCOPALE PER L´ECUMENISMO E IL DIALOGO INTERRELIGIOSO
COMMISSIONE EPISCOPALE PER I PROBLEMI SOCIALI E IL LAVORO, LA GIUSTIZIA E LA PACE

sabato 28 agosto 2010

L'attacco a Eco e l'indulgenza col potere



Parte la crociata di Cl contro i moralisti
Per i discepoli di don Giussani, ormai giunti alla terza generazione, lo scandalo è "Famiglia cristiana" quando se la prende con Berlusconi

di GAD LERNER

RIMINI - Sono venuto al Meeting di Rimini per capire cos'è questo detestabile "moralismo" che tanto fastidio suscita nei cattolici moderati di Comunione e Liberazione. Per i discepoli di don Giussani, ormai giunti alla terza generazione, lo scandalo è "Famiglia cristiana" quando se la prende con Berlusconi.

E perciò stesso va disdegnata come "L'Unità" o "Il Fatto", a detta di Maurizio Lupi; merita viceversa indulgenza il degrado nei comportamenti dei politici al comando: non siamo forse tutti peccatori? Chi di noi ha il diritto di scagliare la prima pietra? "Sia proibita la vendita di 'Famiglia cristianà sul sagrato delle chiese!", invoca lo storico di Cl, monsignor Massimo Camisasca.

La parabola evangelica viene declinata in forme sorprendenti da una folla entusiasta nel tributare applausi indistinti: da Geronzi ai missionari in America Latina. E rivela una sensibilità talmente particolare di questo popolo, reso compatto dall'intimità delle sue liturgie, da configurarlo quasi come una Chiesa privata, ben sintonizzata con gli umori più profondi della destra italiana. Parlo di Chiesa privata perché Cl non solo si contrappone, come e più di sempre, al cosiddetto cattolicesimo democratico. Ma si distanzia dal giudizio critico sulla classe dirigente pronunciato dalla Cei e che perfino il portavoce dell'Opus Dei, Pippo Corigliano, nei giorni scorsi ha consegnato in un'intervista al "Manifesto": "Al momento politici che abbiano una struttura morale tale da interpretare i valori cattolici non se ne vedono. Il punto è che i politici proprio quei valori tentano poi di strumentalizzare". Un atto d'accusa del tutto assente dal Meeting di Rimini.

Proverò a raccontare l'antipatia di Cl per il "moralismo" attraverso alcune istantanee di una festa dominata, come tutti hanno notato, dall'affettuosa confidenza instaurata da Cl con banchieri e imprenditori, pur senza rinunciare, in particolare i giovani, alla centralità degli appuntamenti religiosi, alla politica ecumenica e alla visione internazionale promosse da Carron, del tutto disinteressato alla politica italiana, che resta appannaggio della generazione precedente. I ciellini hanno dato in abbondanza a Cesare quel che è di Cesare, e forse al governo in carica pure qualcosa di più, riservandosi il primato spirituale.

E' Giancarlo Cesana, responsabile laico di Cl divenuto presidente del Policlinico di Milano, a introdurre l'appuntamento più atteso, la lectio del Patriarca di Venezia, Angelo Scola. Tema: "Desiderare Dio. Chiesa e post-modernità". Saranno diecimila, non vola una mosca. Cesana estrae un foglietto per spiegare in due esempi il vizio della post-modernità. Racconta dello studente universitario cui chiese un giudizio sull'aborto: "Ognuno la pensa come vuole", fu la risposta che ancora lo indigna. Del resto, aggiunge, nella Russia comunista, "è lo stesso" non divenne forse l'intercalare più comune?

Preparato il terreno, Cesana vibra il fendente decisivo. Una citazione di Umberto Eco dalle pagine conclusive de "Il nome della rosa", allorquando Guglielmo di Baskerville contempla l'incendio della biblioteca e della chiesa. Eccola.

"Temi i profeti e coloro che sono disposti a morire per la verità, ché di solito fan morire moltissimi con loro, spesso prima di loro, talvolta al posto loro (...) Forse il compito di chi ama gli uomini è di far ridere della verità, fare ridere la verità, perché l'unica verità è imparare a liberarci dalla morbosa passione per la verità".

Applauso scrosciante di riprovazione. Per Cesana quella frase di un romanzo pubblicato trent'anni fa resta, in perfetta buona fede, più grave di qualsiasi misfatto commesso da un politico arraffone della giunta lombarda di Formigoni. Sorriderà distaccato di fronte alle tentazioni umane di un assessore - cosa volete che siano - mentre denuncia implacabile l'agnosticismo dello studente di fronte all'aborto. Colpevole, lui sì. O vittima di Umberto Eco?

Con il patriarca Scola la conversazione si eleva, costellata magistralmente di citazioni cinematografiche e generazionali, come l'"on the road" di Kerouac, richiamo affascinante sebbene gli astanti restino ben lungi dal suo ideale libertario. Neppure il cardinale più amato dai ciellini, difatti, rinuncia alla polemica con i moralisti, i più insidiosi fra i peccatori perché abuserebbero del richiamo a comportamenti esemplari, cioè alla testimonianza.

Ecco come li attacca Scola: "Diventa allora necessario liberare la categoria della testimonianza dalla pesante ipoteca moralista che la opprime riducendola, per lo più, alla coerenza di un soggetto ultimamente autoreferenziale". A chi si riferisce Scola? Forse a coloro che s'illudono di praticare la virtù senza riconoscere la sua implicazione successiva, secondo cui "la Chiesa, in modo diretto o indiretto, diventa condizione indispensabile per desiderare Dio", diventa cioè il luogo "che rende possibile la testimonianza". Come? "Anzitutto, attraverso l'Eucarestia e la liturgia".

Il percorso è chiaro: se la testimonianza si manifesta nell'osservanza religiosa, chi siamo noi per criticare i peccatori osservanti la pratica religiosa nella Chiesa che resta "santa al di là dei peccati, talora terribili, del suo personale"?

Così vengono "sistemati" i moralisti. E per gradire, poco più tardi, intervenendo di nuovo al Caffè letterario del Meeting, lo stesso Scola rivolgerà un pubblico encomio a Renato Farina: "Sono pochi i giornalisti bravi come lui". Come volevasi dimostrare.

Sbaglierò, ma ho colto perfino un pizzico di compiacimento quando il Patriarca sottolineava con voce sofferta quel "terribili", riferito a certi peccati degli uomini di Chiesa. Perché chinandosi amorevole sul frammento d'anima penitente, il testimone disciplinato susciterà in lei nuovamente il desiderio di Dio, la fede che ci è donata nella Chiesa.

Particolarmente ricercati, non a caso, fra gli ospiti del Meeting primeggiano i figliol prodighi che vengono a raccontare il loro avvicinamento a questa idea di Chiesa (privata?). Come il sottosegretario Eugenia Roccella che si dilunga sul suo passato radicale, femminista, anticlericale. O l'assai più tormentato filosofo Pietro Barcellona, sospinto in depressione dal fallimento del comunismo, verso un approdo cristiano.

Aggirandosi fra gli stand non si trovano solo le aziende in rapporto di business con la Compagnia delle Opere o con i politici ciellini. Bisogna fare la fila per visitare la mostra sulla scrittrice cattolica americana Flannery O'Connor, così come vivacissimi sono i dibattiti critici sulla tecnoscienza. E' nel linguaggio di un conservatorismo moderno che si esprime questa strana indulgenza ciellina per i malfattori, contrapposta alla severità con cui additano i moralisti. Al centro dell'installazione dedicata a don Bosco, per esempio, trovo gli stessi luchetti resi popolari fra i giovani da Federico Moccia: reggono nastri devozionali: "O Maria Vergine potente", "Tu nell'ora della morte accogli l'anima in paradiso". L'imprinting di un movimento cresciuto nella contrapposizione all'Utopia del Sessantotto, compare perfino stampato sulle t-shirt: "Non ho nulla per cui protestare, solo da ringraziare".

Ricordo a Roberto Formigoni il nostro incontro di dieci anni fa, all'indomani di una sua trionfale vittoria elettorale in Lombardia. Dopo aver concesso a Comunione e Liberazione "il merito storico di avere generato me, che sono però dotato di una forza politica autonoma ben maggiore", prometteva un prossimo trionfale sbarco a Roma: "Questo nostro modello conquisterà l'Italia". Non è andata così e oggi lo trovo più cauto. Si accontenta di rivendicare una riuscita "fecondazione di idee". I politici ciellini radunati in Rete Italia contano su Maurizio Lupi, pupillo di Berlusconi, e su Mario Mauro al parlamento europeo; ma patiscono nella loro culla lombarda il fiato sul collo della Lega, da cui non sono riusciti a distinguersi più che tanto sul piano culturale e religioso. Quanto ai politici affaristi con cui militano fianco a fianco nel Pdl, la linea resta sempre la stessa: no al moralismo.

Per difendere la loro Verità dalle insidie del moralismo, dunque, scelgono di prendersela con il "potente" Umberto Eco. Peccato che Giancarlo Cesana non abbia riferito anche la frase che l'autore de "Il nome della rosa" mette in bocca al suo protagonista, subito prima di quella incriminata: "L'Anticristo può nascere dalla stessa pietà, dall'eccessivo amor di Dio o della verità, come l'eretico nasce dal santo e l'indemoniato dal veggente".

da La Repubblica del (28 agosto 2010)

venerdì 6 agosto 2010