sabato 28 novembre 2009

Aspettando il nuovo vescovo


IN ATTESA DEL VESCOVO UN PRETE ANZIANO MANIFESTA I SUOI DESIDERI

Cari amici di Settimana,

molteplici sono le attese per il nuovo vescovo della nostra diocesi. Vanno dalla curiosità ai vari tipi di speranza che, per un così alto responsabile, la comunità cristiana certamente nutre.

Da parte mia vorrei, tramite vostro, esprimere quei desideri che nella mia ormai lunga esperienza si fanno vivi nel cuore.

Al nuovo vescovo mi accosto con quel respiro che Gesù e i Dodici danno alla vita della chiesa e di ogni cristiano. Anche in questo tempo il vescovo è successore degli apostoli e collega la nostra vita con quella di Gesù in una speranza che è necessità di vita umana.

Dice il vangelo che non abbiamo bisogno di capi, di maestri, di benefattori. Ce ne sono troppi e tante volte fallaci, ma si fa urgente il nostro desiderio del testimone: «Ma voi non fatevi chiamare "rabbì'', perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate nessuno "padre" sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. E non fatevi chiamare "maestri", perché uno solo è il vostro maestro, il Cristo. Il più grande tra voi sia vostro servo; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato» (Mt 23,8-12).

Un grande mio amico teologo, il compianto mons. Luigi Sartori, indicava nel vescovo il dono di un particolare carisma, il carisma della sintesi.

Nella nostra chiesa diocesana dobbiamo riconoscere l'abbondanza dei doni dello Spirito e la necessità del carisma della sintesi perché i suoi doni ci aiutino a crescere nella speranza, in questo periodo virtù tanto urgente e necessaria.

Coltivo nel cuore il desiderio di un vescovo che sviluppi e faccia esplodere la bellezza di una chiesa sinodale. Per sinodale intendo un'apertura di cuore alla realtà religiosa, sociale ed economica di questo nostro mondo e di questo nostro tempo.

I segni dei tempi sono puntuali indirizzi di una spiritualità che umanizza la nostra vita e, accanto a questi, i segni del territorio. Il nostro Veneto è una terra di tradizioni cristiane: eluderle ci allontana dal dono di grazia e dalla missione della chiesa. C'è però anche una tentazione: è rischioso rinchiudersi in difesa del passato, ed è sterile scatenare paure e coltivare pregiudizi.

Sinodalità, in tutta l'ampiezza del termine, è rapporto e rispetto con le altre religioni: i musulmani ci insegnano il valore della preghiera e del rispetto in nome del Dio benevolo e misericordioso.

L'ecumenismo è un segno profondo di conversione, non all'una o all'altra chiesa, ma alla riscoperta delle chiese sorelle, amate dal Padre, guidate dallo Spirito di Gesù. Nella conoscenza e nel rispetto dei particolari doni di ogni chiesa, siamo chiamati ad arricchire la nostra fede in Dio Padre, Figlio e Spirito Santo.

La nostra diocesi conosce politici che hanno fatto la loro fama insultando gli stranieri e innalzando bandiere di odio razziale. Ma è anche una diocesi che ha sacerdoti e laici capaci di accoglienza e di fraternità nella pratica dei costumi evangelici. La chiesa ortodossa è la seconda come presenza a Treviso. Il rapporto con i sacerdoti di queste chiese è di fraternità. Proseguire per questa strada è una grande avventura dello Spirito per ridare all'Europa il vigore delle sue origini cristiane. Conoscere queste tradizioni è un impegno rispettoso e necessario. Sarà questa una delle strade maestre della rinascita vigorosa della nostra fede e della testimonianza di una carità che proviene dal cuore di Cristo.

Sinodalità è anche rapporto qualitativamente fraterno tra laici e preti, accoglienza e ospitalità tra uomini e donne che nella loro complementarietà testimoniano il dono di Dio. C'è urgenza di riscoprire il senso della famiglia, di penetrare di santo desiderio le nuove generazioni, di rendere evangelici costumi e attese che ormai sono presenti all'orizzonte e che possono diventare realtà umane solo nello Spirito di Cristo.

Sinodalità allora come comunione di cuori che superano gerarchie di potere e di dominio di una realtà che tante volte si impone come peso anche religioso. Non si tratta né di permissivismo, né di nuove regole, ma di un'attrattiva forte dove Gesù diventa l'unico maestro e la parola del vangelo è la sola consolazione alla difficile situazione umana di questo nostro tempo.

I modi della sinodalità si coniugano allora con la parresia, cioè con la virtù tanto cara ai padri della chiesa che domanda la sincerità dei cuori e l'espressione in parole vere e rispondenti alla vita.

È parresia esprimere ciò che il nostro cuore attende dall'alto, in particolare da chi istituzionalmente è chiamato a testimoniare Gesù buon pastore.

È parresia anche confrontarsi e dire con sincerità ciò che si pensa e si vive in un pluralismo che confessa con libertà la multiforme grazia dello Spirito di Dio.

Anche nella nostra diocesi c'è bisogno di parresia come confronto, dialogo per la crescita di una fraternità che a tutti consegna la responsabilità di un amore che si fa vita per tutti. Abbiamo ricchezza di mezzi: giornale diocesano, radio diocesana, scuole catechistiche… È un'organizzazione capillare molto importante. Dare anima a questa chiesa così organizzata, è però compiere scelte precise nella linea della semplicità, della povertà, della comunione reale che rende vera la partecipazione di tutti al cammino che si vuol intraprendere.

Il nuovo vescovo sia confortato non solo dalle grandi possibilità di una solida organizzazione, ma dall'essenzialità della parola evangelica che si fa sempre più urgente e necessaria perché la nostra vita sia immersa nelle Beatitudini. Dal papa Benedetto XVI ricavo un'antica parola da lui sottolineata in un'udienza generale: la filergia, cioè l'amore alla propria professionalità, il gusto di diventare sempre più fratello tra i fratelli, la gioia di riservare per se stesso l'ultimo posto, che è quello scelto dal Maestro.

don Olivo Bolzon (TV)