venerdì 24 dicembre 2010

mercoledì 8 dicembre 2010

Non vi credo

Non vi credo. Sto parlando a voi, “probi viri” del bergamasco che esibite cartelli inneggianti alla vendetta (“Occhio per occhio dente per dente”, “Non perdoneremo”), che non riuscite a rispettare neppure la famiglia della vittima e sfrecciate in auto davanti alla sua casa urlando “Fuori gli immigrati” (un grande conforto per chi sta soffrendo, vero?), che lasciate commenti sui siti dei quotidiani pontificando sulle culture “altre” che “vedono le donne come oggetti”: pensate per caso di vivere in Norvegia? Avete mai guardato un telegiornale italiano, sfogliato un giornale italiano, preso un caffé in un bar italiano? Avete mai ascoltato il vostro “premier” disquisire di donne? Lui è un esperto di oggettificazione, ma probabilmente lo scusate perché “è la sua cultura”, per quanto violenta e degradante sia.

Una ragazzina di 13 anni è molto probabilmente morta. E’ anche probabile che il suo sequestro ed il suo omicidio avessero moventi di violenza sessuale. Il principale sospettato, immigrato in Italia, è stato rilasciato perché gli indizi a suo carico sono insufficienti. I cartelli cominciano a vacillare, o ne innalzerete altri contro la magistratura, i principi del diritto, l’assurda presunzione di innocenza per chiunque sino a che se ne provi la colpevolezza? Mannaggia, avevano preso l’uomo giusto, uno dei quei disgustosi Mohamed, e lo lasciano andare.

Non credo al vostro sdegno, non credo alla vostra compassione. Nella vostra regione, Milano vanta l’infamante primato di uno stupro al giorno (84° Congresso della Società italiana di ginecologia e ostetricia, novembre 2010). La metà delle vittime sono donne straniere: stuprate, nel 23% dei casi, da italiani. Che proteste avete inscenato, il mese scorso? Avete fatto caroselli automobilistici gridando “Via gli stupratori dall’Italia”? 115 donne, nei primi undici mesi di quest’anno, sono state uccise in Italia dalla gelosia, dalla rabbia inconsulta, dall’idea di possesso dei loro amici, fidanzati, mariti, compagni. Dov’erano i vostri striscioni? Avete raccolto firme, organizzato convegni, sfilato in manifestazione?

Sempre in novembre, ha raggiunto i media la notizia che molti Centri antiviolenza italiani, strangolati da una manovra economica che impedisce agli enti locali di mantenerli in funzione, alle prese con leggi regionali dalle splendide intenzioni ma disattese e non finanziate, stanno chiudendo.

Circa 13.500 donne, nel 67% dei casi italiane, si sono rivolte ad essi nel 2009, con un incremento di oltre il 14% rispetto all’anno precedente: dove andranno l’anno prossimo? La “piacente donna vittima del maschilismo” (sono queste le parole con cui l’onorevolissima e competente Ministra per le Pari Opportunità si presenta) aveva promesso 20 milioni di euro per sostenere i Centri: dove sono? Ma di sicuro voi vendicatori avete già preparato il mail-bombing per chiedere conto a Miss Gradevole Aspetto delle politiche governative per contrastare la violenza di genere, e ricordarle che quelle attuali sono in aperto contrasto con le raccomandazioni delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea.

E probabilmente siete corsi a Bareggio tre giorni fa (4 dicembre 2010) – dopotutto non è così distante da voi – per significare il vostro rigetto al fatto che un marito italiano ha ridotto in poltiglia la moglie italiana a colpi di rastrello. No, certo che no. In mancanza di un marocchino, di un rom, di un albanese, la vostra indignazione non lievita. Se non siete ridotti a macchinette da propaganda, ed ancora alberga in voi un qualche sentimento umano, alla piccola Yara ed ai suoi familiari dovreste chiedere scusa per l’abuso del loro dolore. Ma se non volete farlo, c’è qualcos’altro alla vostra portata, qualcosa che potrebbe aiutare le ragazze, le bambine, le donne che sono ancora vive: cominciate a vederle come gli interi esseri umani che sono, cominciate a rispettarle. Ci sono momenti, signori miei, in cui il silenzio dell’ascolto è davvero impagabile: non perdete quest’occasione.
Maria G. Di Rienzo
tratto da http://lunanuvola.wordpress.com/

mercoledì 10 novembre 2010

Cari veneti, io non dico arrangiatevi Ma ora anche a voi serve l’Italia

di Peppino Caladarola

Ad un meridionale come me verrebbe voglia di dire «Arrangiatevi!» ai veneti colpiti dalla terribile alluvione di questi giorni. Non eravate voi a scrivere sui muri «Forza Etna!» quando il vulcano mandava a valle la sua lava distruggendo case e raccolti? Non eravate voi a incitare il Vesuvio, lo ha fatto anche Guido Bertolaso, per punire i napoletani insultati da striscioni infamanti sugli spalti dello stadio di Verona? Non siete voi a chiedere di abbandonare il Mezzogiorno e l’Italia in nome della purezza etnica e della vostra superiorità economica? Non è il vostro governatore leghista Luca Zaia a dire che «è una vergogna spendere 250 milioni per quei quattro sassi di Pompei»? Non siete voi a mantenere al governo da tre lustri una classe politica che non ha fatto nulla per salvaguardare il vostro territorio?

Sono questi pensieri stupidi e vendicativi che mi sono venuti in mente quando ho ascoltato al Tg7 Enrico Mentana che, con il Corriere della sera, invitava alla sottoscrizione nazionale per un primo aiuto alla gente rovinata dalla furia delle acque.

Da dieci giorni il Veneto è colpito da una tempesta di acqua che ha fatto tracimare fiumi veri e ruscelli che sembravano dormienti. Le immagini di distruzione sono impressionanti. Le scene delle fabbrichette devastate parlano di un disastro senza precedenti. Sembra essere tornati indietro di molti decenni quando si allagò il Polesine in un Veneto che allora sembrava una povera provincia meridionale da cui, negli anni del fascismo, erano partiti quegli altri disperati, di cui parla Antonio Pennacchi in “Canale Mussolini”, che bonificarono le paludi pontine.

Volevamo bene ai fratelli veneti che come i nostri lontani parenti della Sicilia, della Calabria e della Puglia affollavano i bastimenti che portavano in America o anche più lontano quelli che non potevano più vivere in questo paese senza avvenire e senza cuore. Poi abbiamo scoperto un popolo diverso, pieno di rancori e di boria. Siete stati bravi a darvi da fare, a costruirvi un benessere che vi ha staccato dal resto dell’Italia. Alla vostra “diversità” avete creduto facendone addirittura una ideologia politica spietata con chi è stato sfortunato, spesso intere popolazioni, terroni d‘Africa o terroni di Calabria. Ogni anno dalle vostre parti si celebrano riti celtici con una bandiera diversa dalla nostra e se non fosse per quella signora di Venezia che ha esposto fino allo scorso anno il tricolore, voialtri sembravate indifferenti o partecipi. I vostri leader che oggi chiedono soldi allo Stato per soccorrere la vostra economia si sono immaginati un federalismo punitivo verso il Sud.

«Fate come noi, fate da soli», ci avete detto nei convegni accademici e nelle parole dure dei comizi leghisti. Eppure oggi scoprite che da soli non si può, da soli non si va da alcuna parte, che senza l’Italia il Veneto è piccola cosa.

In queste ore vi siete meridionalizzati. Anche voi chiedete allo Stato di essere solidale e virtuoso. Anche voi fate appello agli altri, agli italiani, per uno sforzo che vi sollevi dalla tragedia. Anche voi avete visto la scena dei governanti che scendono dall’aereo, fanno un giro fra le macerie, pranzano in prefettura e poi ripartono. Qualcuno di voi ha fischiato Umberto Bossi e Silvio Berlusconi che si sono fatti ieri un viaggio elettorale davanti alle telecamere accese. Altri hanno applaudito Bossi che ha detto che ci saranno gli “schei” per voi, che ci pensa lui, che sarà il vostro Clemente Mastella. Vi siete fatti trattare peggio di come avveniva nel Sud con gli uomini di panza che speculavano anche e soprattutto sulle disgrazie. Ve li siete meritati questi due uomini di potere che da due decenni dicono di governare soprattutto in nome vostro, uno di loro addirittura celebra una messa pagana sulle rive del grande fiume che bagna anche le vostre campagne, ma non si sono accorti che il territorio era senza difese e che anche voi vivevate con un aneurisma piantato nella terra pronto a esplodere e a invadere le vostre case.

Eppure quella terribile parola, «Arrangiatevi!», mi muore in gola. Non la posso dire, non la so dire. Vorrei spiegarvi che siamo figli dello stesso paese che non sa difendere le “pietre” di Pompei, le vostre fabbriche e le vostre case. Che quegli uomini politici che vi incitano a odiarci sono i nostri nemici e i vostri nemici.

Noi meridionali ci siamo fatti fregare tante volte. Quante passerelle di ministri e presidenti del Consiglio che ci hanno dato una pacca sulle spalle, che hanno arricchito alcuni di noi e se ne sono tornati a Roma carichi di voti e di bugie. La vostra “questione settentrionale” assomiglia alla nostra “questione meridionale” perché è stata alimentata da uno Stato che non ha fatto il suo dovere, da una classe dirigente priva di una visione nazionale, da cittadini che hanno pensato ai fatti loro convinti di essere padroni in casa propria mentre l’Italia perdeva la corsa verso il futuro.

Siamo una nazione di popoli soli che sta smarrendo anche la coscienza di essere una comunità costruita con fatica e sacrifici, che vive dei rancori del Sud e del Nord, delle paure che spingono i vostri sindaci leghisti a negare persino le panchine agli extracomunitari. Non ho cuore di dirvi «Arrangiatevi!». Non ve lo dirà in queste ore Giorgio Napolitano. In fondo anche voi, che siete come noi, avete bisogno dell’Italia.

da Il Riformista 10 novembre 2010

venerdì 5 novembre 2010

Vorrei una chiesa più semplice e più profetica


Cara Settimana,

mi porto dentro un magone che davvero turba e spesso rattrista le mie giornate: certe gravi carenze - a me sembrano tali - della chiesa come isti-tuzione umana. La vorrei più povera, meno trionfalista. Mi disturbano queste vesti paonazze, rosse, dorate che svolazzano, guardie svizzere, gentiluomini di sua santità in cerimonie imponenti, grandiose, costose, così lontane dalle nudità di Cristo in croce e dalla nudità dei tanti crocifissi della terra. E poi tutti quei titoli altisonanti: "santità" - "eminenza" - "eccellenza" - "monsignore"...

Tanto che mi sto domandando se le due grosse umiliazioni che ultimamente, come chiesa, abbiamo sofferto: la diffusione della pedofilia fra tanti preti e lo scandalo delle finanze vaticane denunciato e puntigliosamente documentato da un recente volume -diffuso da tempo in migliaia di copie e mai contraddetto autorevolmente -non siano un richiamo che Dio rivolge alla sua chiesa perché ritorni, per quanto oggi possibile, alla sua nativa semplicità. Prego tanto, tanto spesso perché si converta. Anche perché ho ben presente una osservazione fattami in questi giorni: «Voi parlate dei lontani. Ma dovreste chiedervi se sono lontani da Dio o lontani da questa chiesa».

E vero, possediamo la verità che il Cristo ci ha rivelato. Ma non abbiamo finito di scoprirla fino in fondo; a volte l'abbiamo anche gravemente fraintesa. Dobbiamo quindi - noi preti, vescovi, papi - restare discepoli, in vero ascolto, lasciandoci insegnare anche dal mondo, cercando di discernere i segni dei tempi e quindi anche queste nuove culture che sembrano tutte e sempre dissacranti e che invece alle volte sono, possono essere, "semina Verbi". Il concilio l'aveva scritto.

E poi abbiamo ancora un clericalismo e un gerarchismo dominanti e invasivi che continuano ad occupare presuntuosamente competenze tipicamente laicali. Anche questo il concilio l'aveva detto.

Lo stesso primato di Piero - se vogliamo davvero l'ecumenismo che stava tanto a cuore al Cristo fino a quell'ultima sera - aspetta con crescente urgenza di essere ripensato e ridimensionato. Papa Giovanni Paolo II lo aveva promesso. La sinodalità, la collegialità fra papa e vescovi fanno parte del DNA della chiesa che Cristo voleva.

Ancora: mi domando, di conseguenza, se davvero continua ad esserci bisogno di disseminare dovunque il supercontrollo dei nunzi pontifici sulle conferenze episcopali del mondo, continuando un accentramento di potere che non pare fosse nel disegno di Cristo quando volle il "collegio apostolico".

E tanti altri problemi che stanno creando un disagio diffuso, sofferto dentro la chiesa, anche se qualche autentico "profeta" cerca ogni tanto di trasmettere certe attese di Dio e forse anche di tanti cosiddetti "lontani". Cercando almeno di attuare quanto il con-cilio aveva detto. Ma mi domando: dove sono i profeti fra i nostri vescovi?

Enzo Bianchi parlava qualche anno fa di "pavidità ecclesiale"; forse è questa la causa che sembra paralizzare le nostre stesse conferenze episcopali? Lo so; è una domanda tanto impertinente, ma nella mia intenzione è amore per la chiesa di un ormai vecchio prete e speranza che anche il crescente disagio intraecclesiale possa esprimersi.

Come scrive Enzo Bianchi: «Non è credibile una chiesa che si dice in dialogo con gli uomini non credenti e con le religioni, ma non è capace di suscitare in sé dibattiti, confronti seri nella libertà e nell'accoglienza reciproca. Perché ogni cristiano che coltivi la pro-pria appartenenza a Cristo attraverso l'inserimento nell'esperienza orante ed ecclesiale è autorizzato a parlare con la necessaria franchezza nella comunità: il dialogo fra cristiani e non cristiani richiede dunque franchezza e umiltà anche all'interno della stessa communitas» (Per un'etica condivisa, p. 121).

Dio illumini i nostri vescovi e faccia nascere profeti anche fra loro.

don Fernando Pavanello (91 anni) Breda di Piave (TV)

da settimana/26 settembre 2010/n. 34

mercoledì 13 ottobre 2010

La bestemmia di Stato ha rotto l' incantesimo


LE CAMPAGNE contro la bestemmia che imperversava nelle osterie venete, e non solo, anche agli esordi della seconda rivoluzione industriale costituivano un assillo ricorrente dell' episcopato italiano dalla fine degli anni Cinquanta. Ma dinanzi alla bestemmia più infausta nella storia del "paese cattolico" - l' escandescenza ridanciana da Asino di Podrecca in bocca al primo ministro di una nazione che ospita la sede del papato romano, - il Vaticano ha messo da parte i toni concilianti, le pazienze concordatarie, gli equilibrismi tattici e persino gli interessi della sua alleanza concreta con il centro-destra. E ha reagito. Lo stesso "Osservatore romano" che in passato aveva tributato a Berlusconi incensi per molti sorprendenti e comunque compromettenti, ha cambiato inchiostro ed è passato all' invettiva: battute "deplorevoli" - ha scritto il giornale vaticano - che "offendono indistintamente il sentimento dei credenti e la memoria sacra di sei milioni di vittime della Shoah". Un fatto inedito, cui anche il giornale dei vescovi italiani "Avvenire" accompagna la propria riprovazione - "una bestemmia insopportabile" - negandone il carattere privato. Il significato di questa reazione è tema di discussione: un semplice scatto d' ira, doveroso per redarguire l' autore della goliardata e richiamarlo ad un linguaggio appropriato alla carica che riveste e, dopo le dovute penitenze, tutto come prima? Oppure, uno strappo dalle dimensioni più serie, che potrebbero raggiungere, dopo una inquieta tregua, il livello di una crisi istituzionale, come effetto del ritiro del consenso cattolico non solo alla persona del leader ma anche alla sua coalizione? Per discernere la portata non banale di questa che non appare appena una tirata d' orecchi per la trasgressione del fairplay, è consigliabile mettere in testa ad ogni valutazione un dato: è la prospettiva delle celebrazioni ormai alle porte dei 150 anni dell' unità d' Italia. A questo appuntamento storico e politico lo stesso pontefice si augura di poter partecipare, e ciò comporta un clima politico e delle condizioni istituzionali appropriate all' evento. Sarebbe la chiusura simbolica di un ciclo storico, nel quale si è prolungata la "questione risorgimentale", al di là della sua formale liquidazione nei Patti Lateranensi. La presenza del segretario di Stato vaticano cardinale Tarcisio Bertone accanto al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano alla cerimonia del 20 settembre a Porta Pia non era che l' aperitivo di questo evento. La bestemmia di Stato è insorta a rompere l' incantesimo e a turbare la creazione del clima adeguato a questo gesto epocale. Inopinatamente questa caduta ha posto sul tappeto dei rapporti tra Chiesa e Stato in Italia la questione ultimativa: se la presenza della figura del Papa a queste celebrazioni sia compatibile con la permanenza al vertice dell' esecutivo di un personaggio che, nell' esercizio delle sue funzioni pubbliche, offende il sentimento religioso del popolo italiano. È questa la contraddizione radicale che il giornale vaticano denuncia. Non si tratta più di misurare il consenso ad una linea politica, fosse anche sensibile all' agenda bioetica e ai valori "non negoziabili" che stanno a cuore alla Chiesa. Qui è stata posta in questione la soglia invalicabile di un decoro semplicemente laico nella considerazione dei valori religiosi, secondo lo spirito della Carta Costituzionale. Dietro al corsivo vaticano è possibile decrittare poi uno smottamento politico ai livelli elevati della gerarchia ecclesiastica riguardo alla questione italiana. Da tempo il neutralismo politico difeso dal Papa in nome del "primato dello spirituale" nella Chiesa veniva manipolato dalla destra per consolidare i rapporti con il ceto al comando. Il potere di monsignor Fisichella, autore di cicliche dichiarazioni a favore del governo, e della stessa Lega, si era nutrito in questa ambiguità. Nemmeno le politiche securitarie sull' immigrazione, sulle quali incombevano le bestemmie contro la dignità umana dei respinti in mare, avevano potuto innervosire la Santa Sede quanto questo episodio di incontinenza sacrilega. Il massimo della presa di distanza di cui abbia saputo dar prova la Cei è stato il giudizio di "angustia", "di grande sconcerto", di "acuta pena" manifestato dal cardinale Bagnasco nella prolusione al Consiglio di Presidenza dell' episcopato lunedì scorso per le "polemiche inconcludenti" dell' estate tra Berlusconi e Fini. In compenso era uscita inalterata la sostanziale sintonia della Chiesa su alcuni contenuti strategici del suo accordo col governo, in particolare sul "federalismo solidale", su una riforma fiscale ispirata a criteri di equità e sulle misure a protezione della famiglia e della scuola cattolica. È storicamente paradossale, ma politicamente un valore che a far quadrato intorno all' unità della nazione italiana sia proprio l' episcopato di una Chiesa che si era arroccata al momento della sua costruzione fulminando scomuniche ai suoi fondatori. In realtà una lettura più attenta dei risultati delle elezioni politiche del 12 aprile 2008 ha portato la Chiesa a individuare una situazione di gravissimo allarme per il futuro della fede cristiana in Italia. I dati sono stati infine analizzati come indici del trionfo di una visione individualistica, del tutto irriducibile alla dimensione solidaria della fede cristiana, il segnale di una raggiunta egemonia delle dottrine politiche ispirate al materialismo pratico nel Paese, di un suo sostanziale "ateismo" quale Machiavelli era riuscito a decifrare già nel XVI secolo. E materialismo equivale a una riproduzione delle idolatrie secolari, che rendono persino fisiologiche, addirittura allegre le bestemmie contro Dio in un paesaggio di idoli. Le fila di questo riassestamento della linea politica della Chiesa in Italia passano in gran parte per un processo di riacculturazione democratica del movimento cattolico. Una vasta azione di educazione politica alla luce della dottrina sociale della Chiesa è in cantiere alla Cei e la Settimana Sociale dei Cattolici, in programma a Reggio Calabria dal 14 al 17 ottobre, è attesa come l' occasione per una larga consultazione fra tutte, e non solo alcune, forze culturali, spirituali, pastorali e teologiche di cui è ricco il cattolicesimo in Italia. Rispetto al quale il degrado del linguaggio politico dominante ripropone drammaticamente un problema di rappresentanza di valori largamente incompiuta. - GIANCARLO ZIZOLA

Repubblica — 03 ottobre 2010 pagina 1 sezione: PRIMA PAGINA

domenica 10 ottobre 2010

Nessuno tocchi il 55%

Mancano 83 giorni alla scadenza delle detrazioni del 55% per gli interventi per l'efficienza energetica degli edifici e si è rimessa in moto la campagna per rinnovare questo strumento cruciale che fu introdotto nella finanziaria 2007 dal governo Prodi. La detrazione fiscale permette di chiedere la restituzione in cinque anni del 55% della spesa sostenuta per riduzione delle dispersioni termiche degli edifici, installazione di pannelli solari per la produzione di acqua calda, installazione di caldaie a condensazione e costruzione di nuovi edifici ad alta efficienza energetica
Si può aderire all'appello con una firma o con un post, se avete un blog.

domenica 29 agosto 2010

Il lascito di una crisi



di Leonardo Boff, teologo

(traduzione di R. Baraglia)

Nel secolo 16º, quando in Roma era al culmine il potere dei papi del Rinascimento, coinvolti in scandali di ogni ordine, si levò un clamore in tutta la Chiesa per la “riforma del capo e delle membra”. Questo clamore veniva dai laici, dal basso clero e da teologi quali Lutero, Zwinglio e altri ancora. Come risposta venne la controriforma che trasformò la Chiesa cattolica in baluardo contro il movimento dei riformatori, irrigidendo ancor più la sua struttura di potere.

Adesso lo scandalo dei preti pedofili in vari paesi cattolici ha fatto sì che sorgesse pure un forte clamore come richiesta di riforme strutturali nella Chiesa, clamore che non viene soltanto dal basso come al tempo della riforma, ma principalmente dall’alto, da cardinali e vescovi.

Innanzitutto, questo peccato e questo crimine ha generato una disastrosa gestione vaticana. Inizialmente si è tentato di squalificare i fatti come “chiacchiericcio televisivo”. In seguito si è cercato di occultarlo, usando perfino il “sigillo pontificio” col pretesto di salvaguardare la presunta santità intrinseca della Chiesa, in seguito si sono minimizzati i fatti e si è creato un facsimile di complotto di oscure forze laiciste contro la Chiesa e infine, davanti all’impossibilità di qualsiasi via di scusa e di fuga, la verità scomoda è venuta a galla.

Il Papa ha adottato, contro i pedofili, severe misure, considerate insufficienti da molti della chiesa stessa. Infatti non bastano la “tolleranza zero” e le punizioni canoniche civili. Tutto questo viene a posteriori, a delitto compiuto. Non si dice niente come evitare che tali scandali si ripetano né quali riforme introdurre nella vivenza del celibato e nell’educazione del candidato al sacerdozio. Non si mette come prioritaria la salvaguardia delle vittime innocenti: molte di queste rivelano un tenebroso vuoto spirituale, frutto del tradimento che hanno sentito da parte della Chiesa in un misto di colpa e di vergogna.

In seguito alte autorità si sono accusate reciprocamente. Il cardinale Cristof Schönborn di Vienna ha accusato il cardinale Angelo Sodano, quando era Segretario di Stato (il primo posto dopo quello del Papa) di aver occultato la pedofilia del suo antecessore nella sede, il cardinale Hans-Herrman Groër. Vescovi tedeschi hanno criticato la conferenza episcopale per non essere stata sufficientemente vigilante davanti ai notori abusi sessuali del vescovo di Augsburg Walter Mixa, obbligato a rinunciare. Lo stesso si riferisce al vescovo di Bruges del Belgio che ha abusato per otto anni di un suo nipote.

Sconvolgente è l’autocritica fatta da arcivescovo di Canberra Mark Coleridge, che riconosce che la morale della Chiesa riguardo al corpo e alla sessualità è rigida e di stile jansenista e crea nei seminaristi “una immaturità istituzionalizzata”, oltre alla tendenza alla discrezione e al segreto davanti ai delitti, per mantenere il buon nome della Chiesa, frutto di trionfalismo ipocrita. Il primate d’Irlanda Diarmuid Martin si è interrogato sinceramente sul futuro della Chiesa del suo paese, tanto grande il numero dei pedofili nelle istituzioni e per molti e lunghi anni. Riconosce che le riforme sono urgenti, dato che la Chiesa “non può rimanere prigioniera del suo passato” ma deve introdurre cambiamenti fondamentali nella sua struttura che impediscano tali sviamenti. Forse il documento più lucido e coraggioso è venuto dal vescovo ausiliare di Canberra Pat Power. Questi “richiede una necessaria riforma sistemica e totale delle strutture della Chiesa”. Afferma che nella conduzione della Chiesa, completamente maschile, non risiede tutta la sapienza ma che essa deve ascoltare la voce dei fedeli. Con coraggio riconosce che “se le donne avessero avuto più potere di decisione non saremmo arrivati alla crisi attuale.

Potremmo addurre altre voci di alte autorità ecclesiastiche. Ma l’importante è constatare che questo scandalo che ha investito il capitale di etica e di fiducia della Chiesa-Istituzione, paradossalmente ha lasciato un legato positivo: ha suscitato la questione delle riforme di base, approvate dal concilio Vaticano II. Queste tuttavia furono boicottate dalla Curia vaticana e dagli ultimi due Papi che si sono allineati una visione conservatrice contraria a tutta la modernità.

Tutti noi che amiamo la Chiesa con le sue luci e le sue ombre, vogliamo intendere l’attuale crisi come un’opportunità suscitata dallo Spirito Santo perché la Chiesa-Istituzione realmente trovi la forma migliore di trasmettere la buona novella di Gesù e aiuti l’umanità ad affrontare una crisi ancora maggiore quella del sistema-Vita e del sistema-Terra, terribilmente minacciati.

Pubblicato il 5 agosto 2010 da assviottoli

Com’é ambiguo il tribunale di Vito Mancuso

di Enzo Mazzi, cdb Isolotto – Firenze

da il manifesto, 24 agosto 2010

I fasti della Mondadori non sono dovuti solo al cast di brillanti professionisti di cui essa si avvale ma derivano anche dal radicamento più o meno sotterraneo, già a partire dal ben noto lodo Mondadori, nell’humus torbido del sistema di potere berlusconiano. La cosiddetta “legge ad aziendam”, varata di recente, che in forma estragiudiziale solleva quasi interamente l’azienda dal pagamento al fisco di un’enorme somma, 350 milioni di euro, è solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso.

Messa così, diventa un po’ più credibile e forse anche coraggiosa l’esternazione dei turbamenti di coscienza di Vito Mancuso (la Repubblica di sabato scorso – si veda di seguito). L’autore di libri di successo su temi di etica e teologia si domanda come continuare a far parte quale consulente editoriale e autore di un’azienda che calpesterebbe elementari principi etici e di diritto. E quasi in una implicita chiamata in correo chiede di contribuire a risolvere i suoi turbamenti di coscienza ad altri autori della Mondadori e di aziende ad essa collegate: nientemeno che Augias, Citati, Saviano, Scalfari, Zagrebelski ….

Ho stima di Mancuso, condivido molti aspetti della sua etica e rispetto la sua intelligenza, qualcosa però della sua esternazione non mi convince. Sembra che egli dormisse sonni tranquilli fino al momento in cui non ha letto la denuncia della “legge ad aziendam” fatta da Giannini (la Repubblica di giovedì scorso – si veda di seguito).

Eppure era ben noto anche a lui che autori come Carlo Ginsburg e Corrado Stajano avevano mollato la Mondadori fin dall’inizio della proprietà berlusconiana per non essere complici di un sistema di potere corrotto. E non c’è solo questo. M’inoltro in un terreno troppo complesso e ampio per una breve riflessione come questa, ma non si può evitare di scavare un po’ in profondità.

Il successo di aziende editoriali e di autori come Mancuso non piove dal cielo limpido di una capacità intellettuale e comunicativa. E’ sempre interno a un’etica della competizione globale. La quale ha come postulato fondamentale il compromesso con le spietate regole del mercato che produce e deve produrre vincitori, una piccola elite, e vinti, le grandi maggioranze senza volto né voce.

E’ corrotto in radice il sistema del mercato, anche di quello editoriale. Lo dice con lucido cinismo lo stesso John. M. Keynes, noto economista inglese, considerato il padre dello stato sociale, quando, nel 1930, getta per una volta lo sguardo nel lungo periodo e si pone il problema delle Prospettive economiche per i nostri nipoti: “Almeno per altri cento anni dobbiamo fingere noi e tutti gli altri che ciò che è giusto è cattivo e ciò che è cattivo è giusto; perché il male è utile mentre ciò che è giusto non lo è. L’avarizia, l’usura e l’astuzia debbono essere i nostri dèi ancora per un certo tempo, perché essi soli possono farci uscire dal tunnel del bisogno economico e portarci verso la luce del giorno” (da Esortazioni e profezie, Il Saggiatore, Milano 1968).

Che fare? Mancuso su la Repubblica di ieri replica così alla Mondadori: “Voi sapete che oltre al tribunale esteriore esiste un tribunale interiore. Col tribunale esteriore si può venire a patti pagando qualche milione di euro. Col tribunale interiore no”. Caro Vito, il tribunale interiore chiede che si paghi un prezzo per limitare i danni della inevitabile complicità.

Lo sanno bene ad esempio i redattori di questo giornale e dell’Editrice Manifestolibri e i loro autori e lettori, i quali realizzano un prodotto culturale di alto rilievo ma devono fare acrobazie incredibili per restare in piedi con la schiena dritta. Lo sanno quanti impegnano la loro vita non tanto per il loro successo personale quanto per far emergere le soggettività popolari dall’anonimato, dall’invisibilità e dalla afonia.

Custodire il creato, per coltivare la pace


1. Il dono della pace
La Sacra Scrittura ha uno dei punti focali nell’annuncio della pace, evocata dal termine shalom nella sua realtà articolata: essa interessa tanto l’esistenza personale quanto quella sociale e giunge a coinvolgere lo stesso rapporto col creato. L’assenza di guerre costituisce, infatti, solo un elemento di una dinamica che investe la vita umana in tutte le sue dimensioni e che, secondo l’Antico Testamento, si realizzerà in pienezza nel tempo messianico (cfr Is 11,1-9). Anche il Nuovo Testamento evidenzia tale ricchezza di significato, collegando strettamente la pace alla Croce del Signore, da cui sgorga come dono prezioso di riconciliazione: Cristo stesso, secondo le parole dell’apostolo Paolo, “è la nostra pace” (Ef 2,14).
L’uno e l’altro Testamento convergono, poi, nel sottolineare lo stretto legame che esiste tra la pace e la giustizia, messo in forte rilievo dal profeta Isaia: “praticare la giustizia darà pace, onorare la giustizia darà tranquillità e sicurezza per sempre” (Is 32,17). Nella prospettiva biblica, l’abbondanza dei doni della terra offerti dal Creatore fonda la possibilità di una vita sociale caratterizzata da un’equa distribuzione dei beni. È la logica della manna: “colui che ne aveva preso di più, non ne aveva di troppo; colui che ne aveva preso di meno, non ne mancava” (Es 16,18).
2. La pace minacciata
Benedetto XVI ha segnalato più volte quanti ostacoli incontrino oggi i poveri per accedere alle risorse ambientali, comprese quelle fondamentali come l’acqua, il cibo e le fonti energetiche. Spesso, infatti, l’ambiente viene sottoposto a uno sfruttamento così intenso da determinare situazioni di forte degrado, che minacciano l’abitabilità della terra per la generazione presente e ancor più per quelle future. Questioni di apparente portata locale si rivelano connesse con dinamiche più ampie, quali per esempio il mutamento climatico, capaci di incidere sulla qualità della vita e sulla salute anche nei contesti più lontani.
Bisogna anche rimarcare il fatto che in anni recenti è cresciuto il flusso di risorse naturali ed energetiche che dai Paesi più poveri vanno a sostenere le economie delle Nazioni maggiormente industrializzate. La recente Assembla Speciale del Sinodo dei Vescovi per l’Africa ha denunciato con forza la grave sottrazione di beni necessari alla vita di molte popolazioni locali operata da imprese multinazionali, spesso col supporto di élites locali, al di fuori delle regole democratiche. Come osserva il Papa nell’Enciclica Caritas in veritate, “l’incetta delle risorse naturali, che in molti casi si trovano proprio nei Paesi poveri, genera sfruttamento e frequenti conflitti tra le Nazioni e al loro interno” (n. 49). Anche le guerre – come del resto la stessa produzione e diffusione di armamenti, con il costo economico e ambientale che comportano – contribuiscono pesantemente al degrado della terra, determinando altre vittime, che si aggiungono a quelle che causano in maniera diretta.
Pace, giustizia e cura della terra possono crescere solo insieme e la minaccia a una di esse si riflette anche sulle altre: “Il libro della natura è uno e indivisibile, sul versante dell’ambiente come sul versante della vita, della sessualità, del matrimonio, della famiglia, delle relazioni sociali, in una parola dello sviluppo umano integrale” (n. 51).
3. Un dovere gravissimo
È in questo contesto che va letto il richiamo del Papa a una responsabilità ad ampio raggio, al “dovere gravissimo (…) di consegnare la terra alle nuove generazioni in uno stato tale che anch’esse possano degnamente abitarla e ulteriormente coltivarla” (n. 50). Tale dovere esige una profonda revisione del modello di sviluppo, una vera e propria “conversione ecologica”. La famiglia umana è chiamata a esercitare un responsabile governo dell’ambiente, nel segno di “una solidarietà che si proietti nello spazio e nel tempo” (Messaggio per la 43ª Giornata Mondiale della Pace, n. 8), guardando alla generazione presente e a quelle future. È impossibile, infatti, parlare oggi di bene comune senza considerarne la dimensione ambientale, come pure garantire il rispetto dei diritti fondamentali della persona trascurando quello di vivere in un ambiente sano.
Si tratta di un impegno di vasta portata, che tocca le grandi scelte politiche e gli orientamenti macro-economici, ma che comporta anche una radicale dimensione morale: costruire la pace nella giustizia significa infatti orientarsi serenamente a stili di vita personali e comunitari più sobri, evitando i consumi superflui e privilegiando le energie rinnovabili. È un’indicazione da realizzare a tutti i livelli, secondo una logica di sussidiarietà: ogni soggetto è invitato a farsi operatore di pace nella responsabilità per il creato, operando con coerenza negli ambiti che gli sono propri.
4. Contemplare la creazione di Dio
Tale impegno personale e comunitario per la giustizia ambientale potrà trovare consistenza – lo sottolinea ancora Benedetto XVI – contemplando la bellezza della creazione, spazio in cui possiamo cogliere Dio stesso che si prende cura delle sue creature. Siamo, dunque, invitati a guardare con amore alla varietà delle creature, di cui la terra è tanto ricca, scoprendovi il dono del Creatore, che in esse manifesta qualcosa di sé. Questa spiritualità della creazione potrà trarre alimento da tanti elementi della tradizione cristiana, a partire dalla Celebrazione eucaristica, nella quale rendiamo grazie per quei frutti della terra che in essa divengono per noi pane di vita e bevanda di salvezza.
Già nel 1983 l’Assemblea di Vancouver del Consiglio Ecumenico delle Chiese invitava i cristiani a una “visione eucaristica”, capace di abbracciare la vita personale e sociale, che si realizza nel creato. Oggi la stessa pace con il creato è parte di quell’impegno contro la violenza che costituirà il punto focale della grande Convocazione ecumenica prevista nel 2011 a Kingston, in Giamaica. Celebriamo, dunque, la 5ª Giornata per la salvaguardia del creato in spirito di fraternità ecumenica, nel dialogo e nella preghiera comune con i fratelli delle altre confessioni cristiane, uniti nella custodia della creazione di Dio. Siamo certi, infatti, che Dio, “tramite il creato, si prende cura di noi” (Ib., n. 13).
Roma, 1° maggio 2010
COMMISSIONE EPISCOPALE PER L´ECUMENISMO E IL DIALOGO INTERRELIGIOSO
COMMISSIONE EPISCOPALE PER I PROBLEMI SOCIALI E IL LAVORO, LA GIUSTIZIA E LA PACE

sabato 28 agosto 2010

L'attacco a Eco e l'indulgenza col potere



Parte la crociata di Cl contro i moralisti
Per i discepoli di don Giussani, ormai giunti alla terza generazione, lo scandalo è "Famiglia cristiana" quando se la prende con Berlusconi

di GAD LERNER

RIMINI - Sono venuto al Meeting di Rimini per capire cos'è questo detestabile "moralismo" che tanto fastidio suscita nei cattolici moderati di Comunione e Liberazione. Per i discepoli di don Giussani, ormai giunti alla terza generazione, lo scandalo è "Famiglia cristiana" quando se la prende con Berlusconi.

E perciò stesso va disdegnata come "L'Unità" o "Il Fatto", a detta di Maurizio Lupi; merita viceversa indulgenza il degrado nei comportamenti dei politici al comando: non siamo forse tutti peccatori? Chi di noi ha il diritto di scagliare la prima pietra? "Sia proibita la vendita di 'Famiglia cristianà sul sagrato delle chiese!", invoca lo storico di Cl, monsignor Massimo Camisasca.

La parabola evangelica viene declinata in forme sorprendenti da una folla entusiasta nel tributare applausi indistinti: da Geronzi ai missionari in America Latina. E rivela una sensibilità talmente particolare di questo popolo, reso compatto dall'intimità delle sue liturgie, da configurarlo quasi come una Chiesa privata, ben sintonizzata con gli umori più profondi della destra italiana. Parlo di Chiesa privata perché Cl non solo si contrappone, come e più di sempre, al cosiddetto cattolicesimo democratico. Ma si distanzia dal giudizio critico sulla classe dirigente pronunciato dalla Cei e che perfino il portavoce dell'Opus Dei, Pippo Corigliano, nei giorni scorsi ha consegnato in un'intervista al "Manifesto": "Al momento politici che abbiano una struttura morale tale da interpretare i valori cattolici non se ne vedono. Il punto è che i politici proprio quei valori tentano poi di strumentalizzare". Un atto d'accusa del tutto assente dal Meeting di Rimini.

Proverò a raccontare l'antipatia di Cl per il "moralismo" attraverso alcune istantanee di una festa dominata, come tutti hanno notato, dall'affettuosa confidenza instaurata da Cl con banchieri e imprenditori, pur senza rinunciare, in particolare i giovani, alla centralità degli appuntamenti religiosi, alla politica ecumenica e alla visione internazionale promosse da Carron, del tutto disinteressato alla politica italiana, che resta appannaggio della generazione precedente. I ciellini hanno dato in abbondanza a Cesare quel che è di Cesare, e forse al governo in carica pure qualcosa di più, riservandosi il primato spirituale.

E' Giancarlo Cesana, responsabile laico di Cl divenuto presidente del Policlinico di Milano, a introdurre l'appuntamento più atteso, la lectio del Patriarca di Venezia, Angelo Scola. Tema: "Desiderare Dio. Chiesa e post-modernità". Saranno diecimila, non vola una mosca. Cesana estrae un foglietto per spiegare in due esempi il vizio della post-modernità. Racconta dello studente universitario cui chiese un giudizio sull'aborto: "Ognuno la pensa come vuole", fu la risposta che ancora lo indigna. Del resto, aggiunge, nella Russia comunista, "è lo stesso" non divenne forse l'intercalare più comune?

Preparato il terreno, Cesana vibra il fendente decisivo. Una citazione di Umberto Eco dalle pagine conclusive de "Il nome della rosa", allorquando Guglielmo di Baskerville contempla l'incendio della biblioteca e della chiesa. Eccola.

"Temi i profeti e coloro che sono disposti a morire per la verità, ché di solito fan morire moltissimi con loro, spesso prima di loro, talvolta al posto loro (...) Forse il compito di chi ama gli uomini è di far ridere della verità, fare ridere la verità, perché l'unica verità è imparare a liberarci dalla morbosa passione per la verità".

Applauso scrosciante di riprovazione. Per Cesana quella frase di un romanzo pubblicato trent'anni fa resta, in perfetta buona fede, più grave di qualsiasi misfatto commesso da un politico arraffone della giunta lombarda di Formigoni. Sorriderà distaccato di fronte alle tentazioni umane di un assessore - cosa volete che siano - mentre denuncia implacabile l'agnosticismo dello studente di fronte all'aborto. Colpevole, lui sì. O vittima di Umberto Eco?

Con il patriarca Scola la conversazione si eleva, costellata magistralmente di citazioni cinematografiche e generazionali, come l'"on the road" di Kerouac, richiamo affascinante sebbene gli astanti restino ben lungi dal suo ideale libertario. Neppure il cardinale più amato dai ciellini, difatti, rinuncia alla polemica con i moralisti, i più insidiosi fra i peccatori perché abuserebbero del richiamo a comportamenti esemplari, cioè alla testimonianza.

Ecco come li attacca Scola: "Diventa allora necessario liberare la categoria della testimonianza dalla pesante ipoteca moralista che la opprime riducendola, per lo più, alla coerenza di un soggetto ultimamente autoreferenziale". A chi si riferisce Scola? Forse a coloro che s'illudono di praticare la virtù senza riconoscere la sua implicazione successiva, secondo cui "la Chiesa, in modo diretto o indiretto, diventa condizione indispensabile per desiderare Dio", diventa cioè il luogo "che rende possibile la testimonianza". Come? "Anzitutto, attraverso l'Eucarestia e la liturgia".

Il percorso è chiaro: se la testimonianza si manifesta nell'osservanza religiosa, chi siamo noi per criticare i peccatori osservanti la pratica religiosa nella Chiesa che resta "santa al di là dei peccati, talora terribili, del suo personale"?

Così vengono "sistemati" i moralisti. E per gradire, poco più tardi, intervenendo di nuovo al Caffè letterario del Meeting, lo stesso Scola rivolgerà un pubblico encomio a Renato Farina: "Sono pochi i giornalisti bravi come lui". Come volevasi dimostrare.

Sbaglierò, ma ho colto perfino un pizzico di compiacimento quando il Patriarca sottolineava con voce sofferta quel "terribili", riferito a certi peccati degli uomini di Chiesa. Perché chinandosi amorevole sul frammento d'anima penitente, il testimone disciplinato susciterà in lei nuovamente il desiderio di Dio, la fede che ci è donata nella Chiesa.

Particolarmente ricercati, non a caso, fra gli ospiti del Meeting primeggiano i figliol prodighi che vengono a raccontare il loro avvicinamento a questa idea di Chiesa (privata?). Come il sottosegretario Eugenia Roccella che si dilunga sul suo passato radicale, femminista, anticlericale. O l'assai più tormentato filosofo Pietro Barcellona, sospinto in depressione dal fallimento del comunismo, verso un approdo cristiano.

Aggirandosi fra gli stand non si trovano solo le aziende in rapporto di business con la Compagnia delle Opere o con i politici ciellini. Bisogna fare la fila per visitare la mostra sulla scrittrice cattolica americana Flannery O'Connor, così come vivacissimi sono i dibattiti critici sulla tecnoscienza. E' nel linguaggio di un conservatorismo moderno che si esprime questa strana indulgenza ciellina per i malfattori, contrapposta alla severità con cui additano i moralisti. Al centro dell'installazione dedicata a don Bosco, per esempio, trovo gli stessi luchetti resi popolari fra i giovani da Federico Moccia: reggono nastri devozionali: "O Maria Vergine potente", "Tu nell'ora della morte accogli l'anima in paradiso". L'imprinting di un movimento cresciuto nella contrapposizione all'Utopia del Sessantotto, compare perfino stampato sulle t-shirt: "Non ho nulla per cui protestare, solo da ringraziare".

Ricordo a Roberto Formigoni il nostro incontro di dieci anni fa, all'indomani di una sua trionfale vittoria elettorale in Lombardia. Dopo aver concesso a Comunione e Liberazione "il merito storico di avere generato me, che sono però dotato di una forza politica autonoma ben maggiore", prometteva un prossimo trionfale sbarco a Roma: "Questo nostro modello conquisterà l'Italia". Non è andata così e oggi lo trovo più cauto. Si accontenta di rivendicare una riuscita "fecondazione di idee". I politici ciellini radunati in Rete Italia contano su Maurizio Lupi, pupillo di Berlusconi, e su Mario Mauro al parlamento europeo; ma patiscono nella loro culla lombarda il fiato sul collo della Lega, da cui non sono riusciti a distinguersi più che tanto sul piano culturale e religioso. Quanto ai politici affaristi con cui militano fianco a fianco nel Pdl, la linea resta sempre la stessa: no al moralismo.

Per difendere la loro Verità dalle insidie del moralismo, dunque, scelgono di prendersela con il "potente" Umberto Eco. Peccato che Giancarlo Cesana non abbia riferito anche la frase che l'autore de "Il nome della rosa" mette in bocca al suo protagonista, subito prima di quella incriminata: "L'Anticristo può nascere dalla stessa pietà, dall'eccessivo amor di Dio o della verità, come l'eretico nasce dal santo e l'indemoniato dal veggente".

da La Repubblica del (28 agosto 2010)

venerdì 6 agosto 2010

mercoledì 28 luglio 2010

Il solare costa meno del nucleare

Il sorpasso al prezzo di 0,16 dollari a chilowattora. L'energia atomica costerà sempre di più

I costi di energia solare e atomica (da Ncwarn.org)
NEW YORK - Oggi negli Stati Uniti la produzione di energia solare costa meno di quella nucleare. Lo afferma un articolo pubblicato il 26 luglio sul New York Times, che riprende uno studio di John Blackburn, docente di economia della Duke University. Se si confrontano i prezzi attuali del fotovoltaico con quelli delle future centrali previste nel Nord Carolina, il vantaggio del solare è evidente, afferma Blackburn. «Il solare fotovoltaico ha raggiunto le altre alternative a basso costo rispetto al nucleare», spiega Blackburn, nel suo articolo Solar and Nuclear Costs - The Historic Crossover, pubblicato sul sito dell’ateneo. «Il sorpasso è avvenuto da quando il solare costa meno di 16 centesimi di dollaro a kilowattora» (12,3 centesimi di euro/kWh). Senza contare che il nucleare necessita di pesanti investimenti pubblici e il trasferimento del rischio finanziario sulle spalle dei consumatori di energia e dei cittadini che pagano le tasse.
COSTI FOTOVOLTAICO IN DISCESA - Secondo lo studio di Blackburn negli ultimi otto anni il costo del fotovoltaico è sempre diminuito, mentre quello di un singolo reattore nucleare è passato da 3 miliardi di dollari nel 2002 a dieci nel 2010. In un precedente studio Blackburn aveva dimostrato che se solare e eolico lavorano in tandem possono tranquillamente far fronte alle esigenze energetiche di uno Stato come il Nord Carolina senza le interruzioni di erogazione dovute all’instabilità di queste fonti.

COSTI NUCLEARE IN CRESCITA - I costi dell'energia fotovoltaica, alle luce degli attuali investimenti e dei progressi della tecnologia, si ridurrà ulteriormente nei prossimi dieci anni. Mentre, al contrario, i nuovi problemi e l'aumento dei costi dei progetti hanno già portato alla cancellazione o al ritardo nei tempi di consegna del 90% delle centrali nucleari pianificate negli Stati Uniti, spiega Mark Cooper, analista economico dell'Istituto di energia e ambiente della facoltà di legge dell'Università del Vermont. I costi di produzione di una centrale nucleare sono regolarmente aumentati negli ultimi anni e le stime sono costantemente in crescita.

Redazione online Il Corriere della Sera
27 luglio 2010

sabato 24 luglio 2010

I Paesi più Felici del Mondo


DI MASSIMO ANGELUCCI

Forbes ha pubblicato il risultato di una ricerca Gallup sui paesi più felici del mondo. I cinque Paesi più felici sono, secondo questa ricerca Danimarca, Finlandia, Norvegia, Svezia e Paesi Bassi.

Si trovano tutti nell'area settentrionale del continente europeo e sono tutti molto ricchi. Questo sicuramente perché la felicità è legata alla ricchezza economica. Secondo Jim Harter, ricercatore della Gallup, ciò accade, probabilmente, perché i bisogni primari dei cittadini sono soddisfatti a un livello superiore rispetto a quanto avviene negli altri Paesi. Misurare la felicità non è facile. Tra il 2005 e il 2009, i ricercatori hanno proposto un questionario a migliaia di persone in 155 Paesi per misurare due tipi di benessere: innanzitutto, hanno posto agli intervistati domande su diversi argomenti per conoscere quanto fossero soddisfatti della loro vita, quindi hanno posto loro le stesse domande chiedendo di valutare il loro stato d'animo del giorno precedente per questi stessi argomenti. Le risposte ottenute hanno permesso di valutare "le esperienze quotidiane" degli intervistati, i soggetti che hanno dato punteggi elevati sono stati qualificati come "sereni". La percentuale degli individui sereni di ogni Paese ha determinato la posizione del Paese all'interno della classifica. E' evidente che i soldi fanno un certo tipo di felicità. La Danimarca, infatti,il Paese più felice del mondo, nel 2009 aveva un PIL pro capite di 27.000 euro. Questo dato è più alto di quello ottenuto da 196 dei 227 Paesi analizzati. Ma sono anche altri i fattori che determinano la felicità, la felicità di tutti i giorni è probabilmente collegata alla soddisfazione di altre esigenze psicologiche e sociali che è impossibile da comprare con un assegno o con una carta di credito. Infatti il Costa Rica è risultato essere il sesto Stato più felice del Mondo, il primo del continente americano, battendo altri Paesi più ricchi, compresi gli Stati Uniti. "Il Costa Rica ha ottenuto un punteggio molto alto per la serenità sociale e psicologica", spiega Harter. "Quasi sicuramente è una situazione comune in tutte quelle società in cui i rapporti umani sono più sviluppati e sono considerati importanti, più dei soldi. E L'Italia? E' al 69° posto, mentre la Spagna, che, a detta dei nostri media, vive povera, assillata dalla crisi e travolta dal tracollo finanziario è al 17° (la classifica è stata stilata prima del mondiale di calcio). Molte considerazioni si potrebbero fare su un tale tema, tutte legittime; tuttavia una cosa colpisce immediatamente di tale classifica. Tutti i Paesi che risultano primi nella graduatoria garantiscono e rispettano in modo prioritario la libertà individuale ed i diritti civili dei cittadini; non solo, ma applicano legislazioni molto tolleranti, garantendo sicurezza e libertà pur riducendo al minimo il peso di norme restrittive e divieti generalizzati. Il benessere economico è dunque importante, e tanto più lo sarebbe in un Paese che distribuisse più equamente le proprie risorse e combattesse meglio la corruzione diffusa ed il malgoverno ma i valori legati al rispetto della libertà ed della dignità umana rimangono la sola condizione imprescindibile per la realizzazione di ogni possibile condizione di felicità. La ricerca della felicità non è e non sarà mai un valore sociale, essa trova fondamento solo in quei diritti individuali ed in quelle aspirazioni spirituali proprie di ciascuna persona.

Il compito prioritario dello Stato rimane dunque quello di promuovere le condizioni sociali che possano favorire la realizzazione di tali diritti e di tali aspirazioni, limitando il più possibile la propria ingerenza nella sfera etica e spirituale dei cittadini. Questo l'avevano ben compreso i filosofi Illuministi.

FONTE: FORBES

giovedì 22 luglio 2010

Pdl, il Partito del Latrocinio

di Paolo Farinella, prete

Dopo il volo del duomo di Milano che navigando tra la folla andò ad insozzarsi in una faccia tumefatta di suo perché appesantita da km 18,50 di mascara artificiale, nacque come reazione il «partito dell’amore». Per mesi abbiamo visto la faccia del sanguinario capo, gridare e urlare che lui e loro non odiano, ma amano fino alla bestemmia in quella bocca spergiura che «L’amore vince l’odio». Non sanno più che pesci pigliare per accreditarsi per quello che non sono e non saranno mai. Il capo e i suoi manutengoli, i servi e le schiave che vivono di rendita, sono esperti nell’odio e nella calunnia, nella falsità e nello spergiuro. Urlano, inveiscono e sbraitano di essere il «partito dell’amore», ma si arrabbiano se si dice che il loro capo è così abietto che per avere un po’ di sesso se lo deve comprare, anzi se lo deve fare comprare pagando professioniste del mestiere. Poveracci, sono tanto il partito dell’amore che si sbranano tra di loro, si infangano, si uccidono.

Costui e costoro sono solo il «Pdl» cioè il «Partito Del Latrocinio» o se volete il «Partito Di Latta» visto che il partito non conta proprio nulla, ma è solo il predellino di un’auto (per giunta non italiana) su cui il capo mafioso poggia il suo piede con tacco rialzato. Credevamo che la vecchia Dc e il ladro contumace Craxi avessero toccato il fondo; invece dobbiamo ricrederci: questi qua che avrebbero dovuto essere «ricchi di suo» e quindi sazi, si sono dimostrati famelici più di tutti coloro che li hanno preceduti. Questa è la vera celebrazione del 150° dell’unità d’Italia: allora Massimo D’Azeglio aveva un progetto: «Abbiamo fatto l’Italia ora dobbiamo fare gli italiani». A distanza di un secolo e mezzo l’Italia è in pieno deliro leghista in corsa verso la frantumazione e gli Italiani sono letteralmente fatti. Fatti e strafatti. Il dramma comico è che chi se li fa è un essere ributtante e laido e lascivo che è riuscito a fare apparire il mostro di Notre Dame come la bella addormentata nel bosco.

Bossi ha incoronato i suoi pargoli trigliati come suoi eredi assicurando loro la prebenda lauta della casta politica e dire che lui era contro «Roma ladrona» e i leghisti amano stare controvento mentre il loro boss mammasantissima orina. Cota sembra che abbia vinto con l’imbroglio e ora si appella al popolo. Hanno tolto l’ici anche ai ricchi e straricchi e ora si accingono a mettere una super tassa sui fabbricati, ma vogliono farla passare come riforma del catasto.

Lo chiamavano partito delle libertà; invece era la cricca del malaffare. Lo chiamavano il popolo della libertà; invece era il gregge della mafia, della ‘ndrangheta e della camorra. Lo chiamavano il capo carismatico; era solo un capobastone e nemmeno tra i più quotati perché manovrato e ricattato dai mammasantissima. Lo chiamavano «meno male che Silvio c’è»; invece era la convergenza di un sistema di cloache che hanno reso la nazione un letamaio e lerciume senza precedenti nella storia.

Ha ricevuto anche il premio come «Statista di rara capacità» per furto con destrezza, per evasione fiscale, per falso in bilancio, per corruzione di giudici e testimoni, per spergiuro sulla testa dei figli. Quando la sentina fuoriesce dalle fogne è il segno che le fogne stanno scoppiando e può cominciare un nuovo progetto di pulizia e di depurazione. Basterebbe che il Pd, il partito che non c’è, battesse un colpo e prendesse il timone dell’opposizione dura e senza compromessi di sorta. Non si fanno accordi di alcun genere con i mafiosi malavitosi di stampo berlusconista. Bisogna solo cacciarlo nella fogna da cui è venuto, lui e il suo parterre dell’amore a pagamento. Il bello deve ancora venire perché il macellaio Verdini ha più trippa di quanta lascia intendere. Restate nei paraggi.
http://temi.repubblica.it/micromega-online/pdl-il-partito-del-latrocinio/

lunedì 12 luglio 2010

Ma quale “Obolo”?


di Don Giorgio Morlin

È con crescente disagio, misto a qualche sussulto d'indignazione, che ho seguito sulla stampa italiana le tristissime vicende di corruzione riguardanti anche alcuni uomini di Chiesa. È un disagio che non riesco a mascherare quando parlo con amici di questi temi. Domenica 27 giugno 2010, come avviene ormai da diversi anni, la Cei, in collaborazione con il cosiddetto Obolo di San Pietro, ha organizzato la Giornata per la Carità del Papa. Tutti i parroci italiani sono stati invitati dai vescovi ad illustrare alle rispettive comunità il significato di tale Giornata e a contribuire con offerte al suddetto Obolo.

Dopo recenti e imbarazzanti esposizioni mediatiche d'illustri ecclesiastici, non sono in grado di sapere se questa proclamazione nelle parrocchie sia veramente avvenuta e quali risultati essa abbia ottenuto. Piuttosto mi preme di sapere come oggi siano realisticamente percepite dall'opinione pubblica nazionale e internazionale due vetuste istituzioni vaticane dal nome medievale e misterioso, quali l'Obolo di San Pietro, appunto, e la Propaganda Fide. Istituzioni che, fino a qualche mese fa, nell'immaginario cattolico erano considerate realtà ecclesiali effettivamente legate alla carità del pontefice e all'incremento delle missioni nel mondo. Ora sono stati scoperchiati alcuni "altarini". Ad esempio, il dicastero vaticano di Propaganda Fide, che sembra abbia un patrimonio immobiliare di 10 miliardi di euro con circa 2mila appartamenti nella sola città di Roma e 50 milioni di utili esentasse, è indagato dai giudici italiani. Fino al Giubileo del 2000 questi appartamenti erano affittati con equo canone a famiglie bisognose della capitale. Dopo il 2000, sembra che l'antico e prestigioso ente ecclesiastico abbia privilegiato e intensificato vantaggiosi rapporti con importanti personaggi della politica e dell'economia nazionale, lucrandone inconfessate prebende di vario genere. Anzi, pare che sia stato proprio nell'anno giubilare che ha preso il via un oscuro intreccio di poteri e sottopoteri, poco ecclesiali e molto affaristici e occulti.

A fronte di questi avvilenti episodi di corruzione e in vista della prossima Giornata Mondiale Missionaria del 2010, mi chiedo quale potrà essere l'appello annuale che la Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli (ex Propaganda Fide) rivolgerà ai cattolici di tutto il mondo nel chiedere aiuti economici a sostegno dei missionari che promuovono la dignità dell'uomo e il messaggio del Vangelo nei posti più poveri e dimenticati della Terra. Mi chiedo anche perché, da un'eccezionale emergenza etica come questa, non possa scaturire un gesto profetico (una specie di purificante kairòs biblico), che faccia finalmente chiarezza e pulizia. Innanzitutto ad opera della Guardia di Finanza. Poi anche, o soprattutto, della Santa Sede. E questo, in nome della giustizia e dello stesso futuro della Chiesa.

Giorgio Morlin

venerdì 9 luglio 2010

Mai vista un'Italia così

- di Stefania Pezzopane* -

L’Aquila smaschera Berlusconi.
La vera faccia del suo Governo è quella violenta e repressiva che abbiamo visto ieri a Roma, e del travisamento delle notizie poi. L’Italia stia in guardia. “Oggi a noi, domani a chiunque”, come diceva uno slogan dei manifestanti.
Il pacifico corteo era il nostro ennesimo tentativo (e ogni volta siamo di più) di far sapere al Paese come stanno veramente le cose dietro clamori e bugie raccontati, sul terremoto del miracolo, da una parte di stampa pericolosamente asservita e troppo visibile.
La consegna per gli uomini dell’ordine era invece quella di bloccare, ad ogni costo. Lo hanno fatto, a costo del sangue dei terremotati, ma col rammarico negli occhi, essi stessi.
Perché non farci arrivare sotto i palazzi del potere solo per dire quello che avevamo da dire? Si trattava non di manifestazione politica ma di rabbia civilmente organizzata dai cittadini spontaneamente e non dalla “sinistra che usa 5000 terremotati come scudi umani contro il Governo” come Il Giornale di Feltri ha riportato per nascondere l’ormai diffuso dissenso verso un Governo che non sa governare e scontenta tutti, tranne abusivi ed evasori.
L’accoglienza dei celerini era già la spia di un piano non pacifico. Chi dissente è comunista e nemico del sistema. Con un simile refrain, figuriamoci se in questo stato di cose i terremotati potevano veder esaurita la soddisfazione ed il diritto di parlare con chi decide della loro vita/morte. Ad incontrare i terremotati ci hanno provato Bersani, Pannella, Di Pietro ed altri, affrontando anche i fischi, altro che scudi umani.
Nessuno della maggioranza ha avuto il rispetto e l’educazione di ascoltare. E nell’Italia del 2010 dopo 16 anni di un Presidente del Consiglio abituato ad assoli e comizi alla cipria e mai a confronti o vere interviste, questo passa per normale. Tutti quelli che hanno manifestato, lo hanno fatto sapendo che essere ricevuti da Berlusconi è pretesa impossibile. Ma chiediamoci perché è pretesa impossibile, una volta per tutte, e non un diritto dei cittadini elettori, che in passato hanno sempre avuto.

Berlusconi compare a L’Aquila nei giorni del terremoto a consolare la vecchietta in lacrime che ha perso tutto, e il giorno dopo mostra la sua infinita bontà regalandole una dentiera nuova, assicurandosi che la stampa lo sappia. E l’Italia si commuove.
Inaugura la nuova Onna di legno, fatta dalla Provincia di Trento e se ne assume il merito a Porta a Porta.
Offre le sue case ai terremotati, ma poi nessuno in realtà vedrà mai i suoi harem in Sardegna o ad Arcore. Ci impone villaggi di cartone su cui hanno mangiato cricche e sciacalli ma non fa una legge che stabilisca la disponibilità di fondi per la ricostruzione della città storica, rimasta abbandonata. Poi però ci infila una bottiglia di spumante nel frigo, questo sì che lo ricordano tutti. Vallo a spiegare ora agli italiani, vittime di questi trucchi, che non siamo degli ingrati. E’ che le tasse da restituire, sommate a quelle correnti non le riusciamo proprio a pagare, perché i nostri negozi non hanno riaperto. Il lavoro non c’è più. Le fabbriche stanno abbandonando il territorio morente, chi non è cassintegrato qui è disoccupato. E non si vive nei villaggi provvisori di lunga durata, si sopravvive. E spesso si muore anche, di suicidio. Ma questo succede negli hotel della costa, dove ancora in migliaia alloggiano o nei camper e nelle sistemazioni di fortuna di chi non è entrato in un alloggio provvisorio perché non bastano per tutti, ma appena per la metà dei senza tetto.
Silvio giura sulle bare dei 309 morti che il popolo aquilano non sarebbe stato lasciato solo.

Ieri il popolo chiedeva solo ascolto. Uno Stato che non ascolta i bisogni dei disastrati ha perso il suo stesso senso.
Poi la beffa della rassegna stampa degli scontri. I quotidiani di Berlusconi e gli ormai suoi tg1, tg5 rete4 hanno raccontato non una versione attenuata della imbarazzante verità, ma una clamorosa bugia che addirittura ribalta i ruoli di vittime e carnefici.
I titoli di questa volgarissima disinformazione parlano di provocatori dei centri sociali se non addirittura di black block infiltrati tra gli aquilani. Ma nessuno li ha visti neppure nelle tante foto che mostrano le prime linee del corteo fatte di persone normali, con anziani panciuti che hanno sfidato i calli e l’artrosi, donne accaldate armate di ventaglio, ragazzi e persino sindaci con la fascia e vigili urbani con gli stendardi dei comuni.
Saremmo al comico, se non fosse spaventoso. Lo Stato che manganella i terremotati ed i simboli degli enti locali. Io stessa sono stata violentemente spinta al muro da un celerino, risparmiata grazie all’On Paola Concia che ha gridato il mio ruolo istituzionale all’agente armato di manganello.
Durante l’intrappolamento sotto il sole di 5000 persone a 39 afosissimi gradi, nel traffico di piazza Venezia, con malori e grida disperate di farci spostare almeno all’ombra di via del Corso, ho avuto il presentimento che un salto verso il peggio era in atto nella fragile democrazia italiana. L’ulteriore conferma è arrivata quando ho visto correre impauriti e sparpagliati i miei concittadini; facce che conosco, mamme, lavoratori, pensionati, su via del corso, inseguiti dai manganelli. Mai vista un’Italia così, sembrava di essere altrove e in altri tempi. Il tremore su tutto il corpo mi ha accompagnata fino a casa, la sera.
L’Aquila è solo il concentrato anticipatore di tutte le tensioni, perché nessun luogo del Paese vive maggiori difficoltà in questo momento. E in nessun luogo la censura dei media asserviti fa più danni materiali e morali. Lo sciopero di domani, della parte sana dell’informazione, sarà infatti anche per noi.

Dove si acuisce la disperazione cova la ribellione. Ed infatti dopo ieri anche chi è rimasto a casa giura che la prossima volta ci sarà. I nostri Governanti cominciano a percepire di non avere più la capacità di fermare il risveglio in corso e soprattutto la credibilità per fornire soluzioni al paese. Resta l’ultima spiaggia della violenza per reprimere il dissenso e la verità, piuttosto che affidarsi a soluzioni democratiche e ragionevoli che non garantirebbero i loro privati interessi.
Il re-gime è nudo.

*Stefania Pezzopane
Assessore Comune dell’Aquila
Vice Presidente del Consiglio Provinciale

mercoledì 30 giugno 2010

Preti pedofili perché il Papa difende Sodano?


di Vito Mancuso (la Repubblica, 30 giugno 2010)

Ieri il papa ha sottolineato che il pericolo più grande per la Chiesa viene dal fronte interno: "Il danno maggiore lo subisce da ciò che inquina la fede e la vita cristiana dei suoi membri e delle sue comunità". Ma allora perché, due giorni fa, ha pubblicamente umiliato il cardinale Christoph Schönborn, finora il più coraggioso degli uomini di Chiesa nel lottare contro il terribile inquinamento interno che è la pedofilia del clero?

Io quasi non volevo crederci, non poteva essere vero che Benedetto XVI, dopo aver più volte affermato di voler fare tutto il possibile per stabilire la verità e perseguire la giustizia nello scandalo pedofilia, avesse costretto l’arcivescovo di Vienna a una specie di Canossa vaticana.

Eppure era vero. Benedetto XVI aveva costretto il presule, nonché stimato teologo di orientamento conservatore a lui molto vicino, a una conciliazione forzata con il cardinal Sodano. La logica del potere romano è la forza che ancora domina la Chiesa cattolica.

Quello che però a mente fredda colpisce di più è il disinteresse mostrato dal papa per il merito delle accuse mosse pubblicamente da Schönborn il 28 aprile scorso contro il cardinale Angelo Sodano, Segretario di Stato sotto Giovanni Paolo II, accusandolo di aver insabbiato il caso Groer.

Hans Hermann Groer (1919-2003), monaco benedettino, arcivescovo di Vienna e cardinale, fu costretto a dimettersi nel 1995 per aver molestato un seminarista minorenne (in seguito a suo carico emersero molti altri casi).

Immediato successore di Groer nella diocesi di Vienna, Schönborn quando accusava Sodano parlava di cose che conosce molto bene. Ma diceva la verità oppure mentiva? È vero o non è vero che Sodano da Roma ostacolò le indagini di Vienna? Il papa semplicemente non se ne è curato, non è entrato nel merito, alla verità ha preferito la forma ricordando che solo a lui è concesso accusare un cardinale. Così il comunicato ufficiale: "Nella Chiesa, quando si tratta di accuse contro un cardinale, la competenza spetta unicamente al papa".

Ma se è così, allora il papa è tenuto ad andare fino in fondo verificando se le accuse di Schönborn a Sodano sono fondate o sono solo calunnie. Lo farà? Non lo farà, per il motivo che dirò alla fine di questo articolo.

Nella predica a conclusione dell’Anno sacerdotale a piazza San Pietro l’11 giugno Benedetto XVI aveva detto di "voler fare tutto il possibile affinché un tale abuso non possa succedere mai più". Alla luce del trattamento riservato a Schönborn queste parole appaiono molto sfuocate, mera retorica di stato. Di che cosa stiamo parlando, infatti? Stiamo parlando (occorre ricordarlo sempre!) di migliaia e migliaia di giovani vittime.

Oltre all’Austria scandali sono emersi ovunque. Negli Stati Uniti finora sono stati pagati indennizzi per 1.269 miliardi di dollari, con il conseguente fallimento di non poche diocesi.

In Irlanda nel 2009 sono usciti documenti come il Rapporto Murphy e il Rapporto Ryan, quest’ultimo sugli abusi del clero dagli anni ’30 agli anni ’70 (notare: anni ’30, altro che responsabilità della rivoluzione sessuale del postconcilio come scrive Benedetto XVI nella "Lettera ai cattolici irlandesi"): il risultato è che la Chiesa irlandese deve versare 2.100 milioni di euro di risarcimenti.

Poi c’è la Germania del papa: abbazia benedettina di Ettal in Alta Baviera, coro di Ratisbona, dimissioni di mons. Mixa vescovo di Augusta per molestie sessuali su minori, collegio Canisius dei gesuiti a Berlino...

C’è il Belgio con le dimissioni del vescovo di Bruges per i medesimi tristi motivi e le perquisizioni delle tombe nella cattedrale di Malines con le conseguenti deplorazioni pontificie.

Ci sono Polonia, Svizzera, Olanda, Danimarca, Norvegia, Inghilterra, Australia...

Don Ferdinando Di Noto, il prete da anni in prima linea contro la pedofilia, simbolo della rettitudine della gran parte dei preti, dichiarava il 18 febbraio scorso che in Italia i casi accertati sarebbero un’ottantina. Da allora, vista la frequenza delle notizie sui giornali, temo che la cifra sia aumentata non poco.

Di fronte a questi dati due cose sono sicure. Primo: se non fosse stato per la forza dei giornali e delle tv tutto sarebbe rimasto sconosciuto e insabbiato; se la Chiesa riuscirà un giorno a fare pulizia al proprio interno lo dovrà alla forza delle scomode verità fatte emergere dalla libera informazione.

Secondo: fino a poco tempo fa la linea tenuta dal cardinal Sodano sul caso Groer era la prassi abituale, come appare anche dalla Epistula de delictis gravioribus inviata il 18 maggio 2001 dall’allora cardinal Ratzinger ai vescovi di tutto il mondo che imponeva il secretum Pontificium per tutte le gravi trasgressioni del clero (notare: il caso Groer risale a sei anni prima!). È proprio questa la peculiarità dello scandalo, non tanto la pedofilia di preti e vescovi, quanto l’insabbiamento da parte delle gerarchie, il fatto incredibile che i vertici ecclesiastici sapevano di questi crimini e, per non indebolire il potere politico della Chiesa, tacevano e insabbiavano.

Per anni e anni. Per interi decenni è stata preferita l’onorabilità della struttura politica della Chiesa rispetto alla giustizia verso le vittime, e quindi verso Dio. Le dichiarazioni del cardinal Sodano che riduceva a "chiacchiericcio" le accuse erano esattamente in linea con questa politica dell’insabbiare, e l’umiliazione inferta dal papa al cardinale Schönborn per averlo criticato è una conferma che questa politica non è terminata. La subdola peculiarità di questo scandalo mondiale è purtroppo ancora in vita.

Salvare la Chiesa prima di tutto. Prima dei bambini e della loro vita psichica e affettiva. Prima dei genitori e del loro inestirpabile dolore. Prima del senso di giustizia di tutta una società. Prima della giustizia di cui rendere conto davanti a Dio. Prima di tutto, la Chiesa e la sua immagine, e il conseguente potere che ne deriva.

Per questo l’ordine era (anzi è, perché altrimenti non si sarebbe salvata l’onorabilità del potente cardinal Sodano) coprire, insabbiare, dissimulare, mentire, negare, comprare. Tra l’ottantina di cardinali della Chiesa solo uno aveva avuto il coraggio e l’onestà di puntare il dito contro il vertice della nomenclatura. Il papa l’ha messo a tacere, l’ha fatto rientrare tra le fila, imponendogli una bella dichiarazione di facciata.

Ma com’è possibile che nella Chiesa tanti crimini siano stati occultati e che all’interesse delle vittime sia stato preferito quello dei loro aguzzini? La risposta a mio avviso consiste nella teologia elaborata lungo i secoli che ha condotto a una vera e propria idolatria della struttura politica della Chiesa, a una sorta di sequestro dell’intelligenza da parte della struttura per affermare se stessa sopra ogni cosa, il cui inizio si può emblematicamente collocare, come già intuito da Dante, nella stesura del falso documento conosciuto come "Donazione di Costantino" da parte della cancelleria papale (documento svelato come falso da Lorenzo Valla nel 1440).

Questa teologia ecclesiastica ha condotto a fare dell’obbedienza alla Chiesa gerarchica il segno distintivo dell’essere cattolico: il cattolico è anzitutto colui che obbedisce al papa e ai vescovi. Se non obbedisci, non sei cattolico. Dante non lo sarebbe più, neppure san Paolo, che ebbe l’ardire di opporsi pubblicamente a Pietro, non potrebbe far parte di questa Chiesa cattolica. Al termine degli Esercizi spirituali così Ignazio di Loyola illustrava il rapporto con la verità che deve avere il cattolico: "Quello che io vedo bianco, lo credo nero se lo stabilisce la Chiesa gerarchica".

Da tempo immemorabile la bilancia è il simbolo della giustizia. Su un piatto della bilancia ci sono le vite di migliaia di bambini, ragazzi e giovani irrimediabilmente deturpate da uomini di Chiesa. Sull’altro, che cosa mette la Chiesa? Oggi è costretta a mettere i nomi dei colpevoli, e tantissimi soldi. Ma si ferma qui, e non basta. Essa infatti deve aggiungere se stessa, la struttura di potere che l’ha fatta precipitare in questo abisso. Solo a questa condizione i due piatti possono tornare in equilibrio e generare la vera giustizia, quella che Gesù diceva di cercare sopra ogni altra cosa.

domenica 27 giugno 2010

COMPAGNI



Cari compagni, sì, compagni, perché è un nome bello e antico, che non dobbiamo lasciare in disuso; deriva dal latino "cum panis", che accomuna coloro che mangiano lo stesso pane. Coloro che lo fanno condividono anche l'esistenza. Mario Rigoni Sterm

Lettera aperta al cardinale Sepe


da donvitaliano in personale

Signor cardinale,

io non sono tra quelli che, come ha fatto il portavoce del Vaticano che ha parlato di una gestione attuale dei beni della Congregazione, di cui lei è stato Prefetto, “diversa dalla precedente”, scaricano su di lei ogni responsabilità delle scelte poco chiare che oggi emergono nelle varie inchieste della magistratura.

Lei oggi è alla ribalta della cronaca per una vicenda che non fa onore alla nostra Chiesa. Una vicenda sulla quale non spetta certamente a me - né a nessun altro che non sia la magistratura - emettere un verdetto anticipato, ma rispetto alla quale, però, mi sento nel pieno diritto di fare e suggerire alcune riflessioni.

Voglio partire - e fermarmi - dalla presunzione della sua innocenza.

In questo momento lei ha su di sé i riflettori accesi e l’attenzione di stampa e televisione. Da innocente, quale occasione migliore per rendere, di fronte ai molti milioni di persone che la ascoltano e la guardano, un’autentica testimonianza cristiana, un messaggio chiaramente diverso da quello che molti inquisiti potenti hanno mandato in questi anni. Lei è un cardinale, un “cardine” su cui poggia la Chiesa, uno dei prescelti a testimoniare fino all’estremo, fino al sangue, che il rosso porpora della sua veste le ricorda continuamente; è uno dei prìncipi della Chiesa e essere principe nella Chiesa è diverso da essere potenti nel mondo, è essere uno dei prìncipi di quel re, Gesù Cristo, che si è lasciato processare dagli uomini come l’ultimo dei delinquenti. Ma tutto questo non devo essere io a ricordarglielo.

Sono certo che lei non si difenderà “egoisticamente” gettando facile discredito su magistrati inquirenti e giornalisti, come solitamente fanno i potenti; e sono certo che lei non si difenderà abusando della sua posizione e del ruolo che ricopre.

Alcuni anni fa, quando lei era stato scelto da papa Giovanni Paolo II per preparare il Giubileo del 2000, e cominciavano ad essere evidenti le contraddizioni e gli sprechi che si stavano manifestando nella preparazione di quell’evento, le scrissi una lettera, ripresa da alcuni giornali, per ricordarle la condizione di precarietà di ogni povero. Con la mia Comunità parrocchiale stavo riflettendo in modo sofferto sulle contraddizioni del Giubileo, quando un vecchio, che leggeva da un quotidiano le notizie che si rincorrevano in quei giorni, sui finanziamenti sproporzionati per il Giubileo, sorridendo mi chieste cosa ne pensassi; di fronte ai miei imbarazzati giri di parole per dipingere luci ed ombre di un fenomeno che, da esclusivamente religioso quale dovrebbe essere, stava diventando troppo economico, mi ricordò un detto delle nostre zone che forse anche Lei conosce: “Scialate puttane che sta arrivando il Giubileo”. Il grande appuntamento del 2000 stava cominciando a prendere la mano degli organizzatori e, nello stesso tempo, a sfuggirvi di mano. Dietro l’imponente macchina messa in moto si intravedeva, purtroppo, la grande tentazione farisaica dell’esteriorità.

Il Grande Giubileo stava diventando un grande circo, sempre più simile alle olimpiadi o ai mondiali di calcio, ma di ben più grandi proporzioni. Era diventato un treno sul quale chiunque aveva la possibilità di gestire qualcosa stava cercando di salire, non importava se con urti e spintoni, non importava a cosa fossero davvero finalizzati i progetti e quale ne fosse l’utilità e la qualità.

Oggi i nodi vengono al pettine. Spero sinceramente che la sua posizione giudiziaria venga chiarita senza ulteriori conseguenze e che lei risulti estraneo alla corruzione e ad altri reati. Credo, comunque, che questa triste vicenda vada vista come provvidenziale e sia lo stimolo per lanciare nella Chiesa, semmai a partire da lei, una approfondita riflessione sul giusto rapporto che deve intercorrere tra i vertici della Chiesa e quelli civili, tra i vescovi e i potenti, tra il Vaticano e i potentati economici e finanziari, tra i beni terreni che la Chiesa gestisce e i poveri, soprattutto in un tempo di crisi economica globale che l’umanità sta subendo.

Approfittiamo per liberarci dalla frenesia delle cose inutili che ci fanno perdere di vista quelle davvero necessarie; approfittiamo per riconciliarci con la terra, che non deve più essere oggetto di sfruttamento, e con gli uomini e le donne che la abitano, che non devono essere più sfruttati. “Spalancate le porte a Cristo” è stato lo slogan dell’ultimo Giubileo: spalanchiamo le porte ai poveri cristi; spalanchiamo, ad esempio, le porte delle case di proprietà della Chiesa, e lasciamoci entrare i tanti, i troppi senzatetto.

Spalanchiamo le porte delle favelas e di tutte le periferie, delle case di cartone dei barboni, dei campi profughi, dei reparti d’ospedale dove chiudono i loro giorni i malati terminali, delle celle dei prigionieri politici, delle case dei disoccupati e degli sfruttati, di ogni luogo dove è vivo il dolore e troppo debole la speranza. Porte attraverso cui poter entrare, porte attraverso cui qualcuno, grazie anche a noi, potrà finalmente uscire.

Se, anziché queste porte, permetteremo ancora che si aprano le porte delle banche, degli uffici dei progettisti e delle mega imprese, dei burocrati, dei politicanti e degli affaristi, se lasceremo che si aprano ancora di più le porte dei ricchi, allora le porte di Dio resteranno davvero chiuse, soprattutto per noi!

Con cristiana franchezza
don Vitaliano Della Sala
Mercogliano, 20 giugno 2010